GUARNACCI, Mario
Nacque a Volterra il 24 o 25 ott. 1701, secondo degli otto figli di Raffaello Ottaviano, gentiluomo di camera del granduca Cosimo III e commendatore dell'Ordine di S. Stefano, e della patrizia senese Maria Girolama Bargagli. Compì i primi studi presso gli scolopi della città natale sotto la guida del p. A.M. Rossellini; apprese invece da autodidatta rudimenti di spagnolo, francese e inglese, sufficienti a leggere nelle versioni originali i testi che lo interessavano.
Dall'età di 17 anni proseguì gli studi a Firenze chiamatovi dallo zio, Niccolò Silla Guarnacci. Studiò filosofia e teologia presso le Scuole pie, apprese le matematiche da L. Lorenzini, allievo di V. Viviani, e perfezionò latino e greco con A.M. Salvini, del quale scrisse poi la biografia (Vita di A.M. Salvini, in Vite degli Arcadi illustri, V, Roma 1751). Ebbe per compagni di studi R. Maffei, A.F. Gori e G. Lami. Nei primi mesi del 1720 si trasferì a Pisa, dove studiò diritto civile e canonico frequentando le lezioni di B. Tanucci e di G. Averani, ma senza ottenere la laurea. Durante le vacanze ebbe occasione di frequentare varie accademie letterarie fiorentine, specie gli Apatisti, dove lesse una propria traduzione in versi dell'Ecuba di Euripide, poi edita a Firenze nel 1725. Negli stessi anni tradusse anche alcune tragedie di Sofocle e le Troadi di Seneca.
Superata una grave malattia, dal 1726 fu a Roma per perfezionarsi in giurisprudenza con la speranza d'un impiego nella Curia papale. Nel 1730, asceso al soglio pontificio il fiorentino Lorenzo Corsini col nome di Clemente XII, il G. ottenne la prebenda della badia di S. Girolamo in Pisa (con una rendita di 200 scudi annui); nel 1731 divenne cameriere d'onore del papa e nello stesso anno auditore del card. A. Salviati, prefetto della Segnatura di giustizia e legato di Urbino. Il 30 apr. 1733 il G. fu annoverato tra i prelati romani e nel novembre del 1734 divenne canonico di S. Giovanni in Laterano; nello stesso anno fu nominato "prelato della nazione" della chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini.
Socio di più accademie letterarie, dal 1738 alla morte fu console dell'Accademia dei Sepolti di Volterra. Col nome arcadico di Zelalgo Arassiano scrisse molte poesie in greco e italiano in parte pubblicate (Poesie di Zelalgo Arassiano, Lucca 1769).
Nel 1740 il G. fu incluso dal nuovo papa Benedetto XIV tra i Dodici uomini della Segnatura di giustizia e nel novembre 1743 divenne segretario della congregazione di Fermo. Dallo stesso Benedetto XIV ebbe l'incarico di proseguire la grande biografia dei papi e cardinali lasciata incompiuta da Alfonso Chacón e G. Arduino. Dopo alcuni anni di lavoro e spoglio degli atti concistoriali e dei commentari del cerimoniale pontificio il G. pubblicò le Vitae, et res gestae pontificum Romanorum et S.R.E. cardinalium a Clemente X usque ad Clementem XII (Romae 1751).
L'opera, arricchita da splendide incisioni, gli guadagnò il favore del pontefice ma fu fonte di invidie e gelosie nei suoi confronti all'interno della corte romana, nonostante il G. avesse cercato di "essere scarso in lodi e di dire la verità" (lettera ad A.M. Bandini datata Roma, 6 giugno 1750).
Nel 1754 Luigi XV di Francia gli assegnò una pensione "di brevetto" sull'abbazia di Clairac; l'anno successivo il granduca di Toscana Francesco Stefano di Lorena gli conferì la commenda dell'Ordine di S. Stefano.
A partire dalle vacanze del 1738 e nell'autunno degli anni successivi il G. partecipò a Volterra alle ricerche di antichità etrusche insieme con i fratelli Pietro, canonico e cavaliere dell'Ordine di Malta, e Giovanni, canonico e cavaliere di S. Stefano; almeno dal 1739 gli fu compagno di scavi e ritrovamenti anche l'amico A.F. Gori.
Col tempo il museo di casa Guarnacci, in due sale del piano terreno del palazzo in piazza S. Michele, andò progressivamente arricchendosi. Tuttavia nei primi anni Cinquanta, per problemi economici o, più verosimilmente, per contrasti in seno alla famiglia, questa cercò ripetutamente di vendere il museo alla corte di Vienna attraverso il conte E. de Richecourt, con l'intercessione del Gori e di Filippo Fabbrini; l'imperatore, però, dimostrò scarso interesse all'affare (lettera del G. al Fabbrini datata Roma, 27 genn. 1753, in Firenze, Biblioteca nazionale, Lettere autografe, IV, 74).
Le invidie e i contrasti romani e la salute assai precaria (nel 1755 un colpo apoplettico lo aveva ridotto quasi in fin di vita) costrinsero nel 1757 il G. al ritorno in patria. Tuttavia egli mantenne le cospicue prebende e il canonicato lateranense, ai quali, alla morte del Lami (1770), aggiunse il decanato del tribunale della Segnatura.
In patria acquistò il palazzo Maffei e nel 1759, vinta una causa col nipote ex fratre Giovan Gastone, vi trasferì la biblioteca e il museo, arricchito grazie agli scavi delle terme di San Felice e di Vallebuona. Come asserì l'amico Gori, il museo del G. era diventato sempre più la vera palestra per il rinnovamento e rilancio degli studi etruschi, al quale contribuirono anche G. Lami, S. Maffei, G. Passeri. Temendo lo smembramento della raccolta dopo la propria morte, con donazione del 15 sett. 1761, confermata da testamenti del 1762 e del 1770, il G. la cedette al "pubblico della città di Volterra", fatta eccezione per le sculture greche e romane, acquistate a Roma. La sua attività attrasse sugli scavi etruschi volterrani l'attenzione del governo toscano. Già nel 1748 la reggenza aveva istituito una deputazione per gli scavi (ideata dal G. di concerto con gli amici L.A. Cecina e G. Riccobaldi del Bava); nel 1773 Pietro Leopoldo visitò ed elogiò il museo e la biblioteca, assicurando personalmente il fondatore che entrambi sarebbero restati patrimonio della città.
Il G. espresse la propria ammirazione per la civiltà etrusca nei tre tomi delle Origini italiche o siano Memorie istorico-etrusche sopra l'antichissimo regno d'Italia, e sopra i di lei primi abitatori nei secoli più remoti (Lucca 1767-72).
Il primo ponderoso volume era composto da vari saggi dedicati alla storia italica: il G. affermava che il regno degli Italici (o Etruschi, o Pelasgi) si era esteso su quasi tutta la penisola finché le incursioni dei Galli non ne avevano indebolito le difese favorendo l'affermarsi della dominazione romana. Negli altri due volumi, dedicati ad arte, religione e cultura etrusche, volle dimostrare, contro le opinioni di Dionigi d'Alicarnasso e di Orazio, che ne sostenevano l'origine greca, e sulla scorta di Polibio e di Plinio, che le arti, scienze e lingua greche derivavano e tutto dovevano al genio tirrenico. Il libro, letto nelle principali accademie europee, suscitò un'ondata di commenti di vario tenore. Lami, pubblicando nel suo giornale lunghi estratti dell'opera, definì il G. "nuovo Colombo, ritrovatore di mondi ignoti e discopritore di mari creduti finora inaccessibili" (Novelle letterarie, XXIX [1768], col. 648); nel 1774 l'Accademia etrusca di Cortona lo nominò lucumone. Altri studiosi invece, fra i quali C. Antonioli, dalle colonne del Giornale dei letterati di Pisa (1771, pp. 54-77), contestarono le sue teorie giungendo fino all'uso di epiteti forti e ingiustamente offensivi (lettera del G. al card. Gualtieri de' Rossi, datata Volterra, 2 nov. 1772, in Firenze, Biblioteca nazionale, Lettere autografe, IV, 73). Egli si difese in Delle origini italiche. Esame critico con un'apologetica risposta (Venezia 1773). Una seconda edizione dell'opera, riveduta, corretta e accresciuta dall'autore e con aggiunto un elogio di lui uscì postuma a Roma (1785-87) con dedica al nipote, il cavaliere Paolo Buonamici, che il G. aveva chiesto e ottenuto dal papa di adottare per evitare l'estinzione della famiglia e la dispersione del patrimonio.
Nel testamento il G. associò al museo la propria ricchissima e preziosa biblioteca (circa 7000 volumi) e nel 1779 definì la natura giuridica pubblica dell'ente, fornendolo di una rendita annua di 120 scudi. Ricchissimo, ma avaro all'eccesso, sprezzante della nuova passione per i philosophes e sempre più chiuso nel suo personalissimo sogno di un primato culturale etrusco, il G. morì a Volterra il 21 ag. 1785.
Fonti e Bibl.: Fondamentale per la ricostruzione della vita del G. è la raccolta dei manoscritti dei suoi lavori, conservati nella Biblioteca Guarnacci di Volterra: Mss., 5570: Scritti vari (4 filze); 5571: Della verità della religione cristiana, cattolico-romana, Poesie di Zelalgo Arassiano; 5572: Versioni dell'Ecuba di Euripide; 5816: Origini italiche; 12091, Arch. 2: Lettere e documenti appartenenti all'archivio della famiglia Guarnacci (secc. XVI-XVII). Vedi anche, nella stessa biblioteca, Mss., 5570, cc. 98v-109v: G.M. Riccobaldi del Bava, Vita di monsignor M. G. (1772); 12334: P.B. Falconcini, De claris viris Volaterranis qui praesertim saeculo XVIII floruerunt commentaria; Archivio Maffei, LI, p. 389. Inoltre: F. Ferroni, In morte dell'ill.mo e rev.mo mons. M. G. patrizio volterrano…, Firenze 1785; Elogio storico di mons. M. G., in M. Guarnacci, Origini italiche, Roma 1785-87, III, pp. V-XXIV; L. Ruggieri Buzzaglia, Pubblico Museo e Biblioteca Guarnacci in Volterra, Firenze-Volterra 1877; R.S. Maffei, Tre volterrani: Enrico Ormanni, Giovan Cosimo Villifranchi, M. G., Pisa 1881, pp. 50-78; A.F. Giachi, Saggio di ricerche storiche sopra lo Stato antico e moderno di Volterra, Firenze-Cecina-Volterra 1887, pp. 138 s.; M. Battistini, Monsignor M. G. e un fatto avvenuto nel 1770 a Volterra, in Il Corazziere, XXXII (1913), 16-17, p. 2; L. Pescetti, Tiraboschi e G., in Rassegna volterrana, II (1925), 3, pp. 112-114; L. Gasperetti, Appunti sulle "Origini italiche" di M. G. e sull'utopia della "sapientia antiquissima", ibid., pp. 127-140; G. Pilastri, Anton Maria Salvini, M. G. e… il cacio di Volterra, ibid., III (1926), 1, pp. 37-42; L. Pescetti, Le onoranze funebri a mons. M. G., in Il Corazziere, XLV (1926), 48, p. 2; Id., Compiacenze e disappunti di eruditi settecenteschi, ibid., XLVI (1927), 20, p. 2; M. Riccobaldi del Bava, Monsignor G., le "Origini italiche" e il Museo di Volterra, in L'Illustrazione vaticana, II (1931), pp. 37-42; E. Fiumi, La collezione di urne del Museo Guarnacci nel XVIII e XIX secolo, in Urne volterrane 2. Il Museo Guarnacci, I, Firenze 1977, pp. 10-12; R. Galli, Mons. G. in pericolo. Tentato omicidio?, in Volterra, XIX (1980), 1-2, pp. 24 s.; A. Chiodi, M. G. erudito settecentesco fondatore della Biblioteca pubblica di Volterra, tesi di laurea, Univ. di Pisa, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1983-84; Libri antichi a Volterra: tesori della Biblioteca Guarnacci, Poggibonsi 1985 (contiene: A. Chiodi, Dal privato al pubblico. La libreria di mons. M. G. e la Biblioteca Guarnacciana, pp. 7-9; G. Cateni, Archeologia e antiquaria nella Biblioteca di M. G., pp. 19 s.); G. Cateni, G., M., in Diz. della civiltà etrusca, a cura di M. Cristofani, Firenze 1985, p. 133; Id., Il collezionismo archeologico a Volterra: M. G., in La scoperta degli Etruschi: quaderno di documentazione, Roma 1992, pp. 143-151; A. Marrucci, I personaggi e gli scritti, in Diz. di Volterra, a cura di L. Lagorio, Pisa 1997, III, pp. 1030-1034.