QUARINI, Mario Ludovico
QUARINI, Mario Ludovico. – Nacque a Chieri, nel Torinese, il 29 luglio 1736, figlio di Bernardino e di Laura Elisabetta (Moccagatta, 1958, p. 153), appartenente a nobile famiglia chierese decaduta, che all’epoca conservava ancora un palazzo cittadino, una tomba di famiglia (entrambi distrutti) e uno stemma gentilizio riportato da Vincenzo Promis (Bibliografia storica degli stati della monarchia di Savoia, compilata da Antonio Manno e Vincenzo Promis, I, Torino 1884). Ottenne la patente di architetto civile, conferitagli dall’Università di Torino il 21 febbraio 1759, in seguito alla presentazione del disegno di una chiesa.
Nonostante la buona condizione economica della famiglia, egli non completò la propria formazione a Roma, come gli architetti della generazione precedente: i piemontesi nella città eterna nella seconda metà del secolo furono pochissimi, sia per l’assenza di un sistema ufficiale di finanziamento dei soggiorni di studio, come un’accademia che assegnasse borse di studio o prix du Rome, sia per l’accelerazione che investì il campo della costruzione in Piemonte all’epoca di Carlo Emanuele III (1730-73), per crescere ulteriormente con il figlio Vittorio Amedeo III (1773-96), che necessitava di un consistente numero di tecnici da affiancare agli architetti già attivi al servizio della corte. Fu il caso di Quarini, che dal 1760, da poco in possesso delle patenti, iniziò a collaborare con Bernardo Vittone, appartenente alla compagine degli architetti piemontesi formatisi a Roma presso l’Accademia di S. Luca e in seguito subentrato in Piemonte a Filippo Juvarra in molti dei suoi cantieri, tra cui alcuni chieresi (S. Andrea, 1736-40; S. Bernardino, 1740). La sua conterraneità con Quarini può motivare il suo precoce alunnato.
L’attività di Quarini iniziò infatti a Chieri con la facciata della chiesa di S. Filippo Neri (1759-73), ancora profondamente legata agli schemi delle chiese barocche a doppio ordine in laterizio con l’‘affastellamento’ delle colonne a gruppi e il conseguente effetto di movimentazione dei pur ridotti volumi, esempi diffusissimi sul territorio piemontese ancora lungo tutto il secolo.
Di lì a seguire, per una decina di anni le opere di Quarini sono tutte o quasi da ricondurre all’impegno presso lo studio di Vittone, per il quale eseguì anche incisioni tratte da suoi progetti, dall’arco di Chieri (1761) all’ampliamento del Duomo di Asti (1762). Ad Asti egli si occupò anche di effettuare il rilievo della fabbrica religiosa meglio conservata del Trecento piemontese, del cui restauro fu autore Vittone e che costituisce un interessante sintomo del nuovo interesse della cultura architettonica per gli edifici «gottici», interesse già espresso, seppur confusamente, da Guarino Guarini sia in alcuni dei suoi progetti, sia nell’opera teorica (Architettura civile..., Torino 1737, tav. XIX), non a caso pubblicata postuma a cura di Vittone.
Proprio nella trattatistica si estese la collaborazione tra Vittone e Quarini, avendo quest’ultimo delineato molte delle tavole del secondo trattato del maestro, le Istruzioni diverse concernenti l’officio dell’Architetto Civile (Lugano 1766), occupandosi di intere architetture, perlopiù religiose, elementi decorativi, fontane, installazioni effimere.
Nel 1770 la morte di Vittone determinò una svolta nell’attività di Quarini, che ne proseguì quasi tutti i cantieri avviati insieme ad altri collaboratori, come Giovan Battista Borra o Pietro Bonvicini. A San Benigno Canavese, dove la grande chiesa abbaziale voluta dal cardinale Carlo Vittorio Amedeo Delle Lanze era rimasta incompiuta, Bonvicini intervenne sul suo completamento, mentre Quarini si dedicò al progetto del palazzo abbaziale (1777, ora collegio dei salesiani) e l’anno seguente all’ospizio di Carità della cittadina (oggi municipio), assumendo uno dei temi più frequentemente esplorati da Vittone nel campo dell’assistenza religiosa.
Anche a Montanaro, nel Torinese, Quarini portò a compimento il progetto di Vittone per il completamento del campanile (1771) e della parrocchiale di S. Nicolao (1773), dopo averlo affiancato sovrintendendo all’esecuzione in cantiere, in entrambi i casi avviando un processo di ‘semplificazione’ del linguaggio vittoniano che permette di parlare di una svolta neoclassica nei modi di Quarini.
In realtà gli elementi decorativi, effettivamente di ispirazione romana, sono probabilmente da ricondurre alla committenza di Delle Lanze, presente anche a Montanaro, e rimandavano a posizioni gianseniste e di aspirazione alla purezza da ricercarsi nella cerchia romana del cardinale Alessandro Albani.
Anche nella natia Chieri Quarini proseguì incarichi inizialmente affidati a Vittone, come nel caso del palazzo comunale (1771, oggi sede di scuola privata), esteso e ampliato rispetto al primo progetto, a sua volta riplasmazione di case medievali.
La composizione dell’ingresso principale è campita da un sistema di paraste che culminano in un attico a balaustrini terminato con un cartiglio, riferimento ancora romano all’assetto dell’arco di trionfo; la profusione di decorazioni tende a separare Quarini dal rigore del maestro, atteggiamento che si ripete anche nell’organizzazione di una delle sale interne del palazzo, quella delle Insinuazioni, dove le citazioni si riferiscono piuttosto a Juvarra e ai quartieri militari torinesi (1729).
Nel 1772 venne completata da Quarini anche la chiesa dell’ospizio di Carità di Chieri, dove un altro collaboratore di Vittone, Ignazio Amedeo Galletti, ultimò il complesso generale, frutto di una delle grandi campagne per il «chiudimento dei mendicanti» promosse dal padre gesuita André Guevarre con il sostegno della corte e che Quarini avrebbe sperimentato ulteriormente in occasione del completamento dell’ospizio di Carità di San Benigno Canavese (1778), risolto, sulle tracce del maestro, secondo il rigoroso schema funzionalista di divisione dei sessi per l’alloggiamento e per il lavoro.
Questa esperienza, oltre alla conoscenza diretta dei cantieri per le fabbriche per l’assistenza, gli fruttò l’incarico per il rifacimento dell’ospedale di Carità di Fossano, nel Cuneese (1779 circa, cantiere dal 1782), che come tutte le aree periferiche al tempo iniziava a essere interessata dal capillare intervento di aggiornamento dei servizi affidati alle congregazioni religiose per l’assistenza delle fasce di popolazione più povere e per il loro controllo.
Il progetto, la cui edificazione si protrasse ancora per tutta la decade seguente, ricalca fedelmente il modello vittoniano del Collegio dei catecumeni di Pinerolo (1740-43), sia nell’organizzazione interna, sia nel partito compositivo, almeno in una prima versione, poi modificata per assecondare le modeste possibilità economiche della congregazione.
A Fossano, ancora all’inizio della decade, Quarini trovò l’occasione di sviluppare autonomamente un altro dei temi sperimentati a fianco di Vittone, il riallestimento del vetusto e impraticabile palazzo di Città (1779-80).
Qui intervenne con un equilibrato uso del linguaggio classico, risolvendo il prospetto mediante un sistema di paraste a ordine gigante, prive di capitelli e a loro volta inquadrate in uno schema che comprende il ritmo delle aperture ad arco del piano terreno a corsi di bugne, finestre, cornici e specchiature ai piani superiori, definendo inoltre, a conclusione della sequenza avviata da Vittone, una tipicità degli ambienti interni di rappresentanza e di servizio che avrebbero caratterizzato di lì in poi tutte le sedi comunali delle piccole città piemontesi.
Ancora in provincia e su temi religiosi, Quarini venne incaricato degli ingrandimenti e rifacimenti di ben tre chiese parrocchiali: l’oratorio di S. Michele a Buttigliera d’Asti, la chiesa di S. Cassiano e S. Ippolito a Grugliasco e la cattedrale di S. Maria e S. Giovenale a Fossano, progetti avviati negli anni 1778-79 e protrattisi per almeno un decennio. In tutti questi casi il carattere principale consiste nello ‘scollamento’ tra interni molto ornati, affidati a stuccatori e quadraturisti che rivestono letteralmente invasi definiti da gusci sottili di ispirazione vittoniana, ed esterni rigorosi, spesso affidati a coppie di colonne a inquadrare l’ingresso e a sostenere una copertura a timpano, realizzati in laterizio a vista, come si sarebbe poi definito di lì a vent’anni il modello della parrocchiale in tutta l’Italia settentrionale, grazie alla penetrazione di modelli classici, ma filtrati dal razionalismo e dal gusto francese.
Negli stessi anni la sua attività si affacciò anche nella capitale, con piccoli incarichi della corte per strutture effimere e tavole di disegni commemorativi, come nel caso delle luminarie e feste per le nozze della principessa Maria Teresa di Savoia e del conte Carlo Filippo di Artois (1773), a seguito del quale pubblicò tre album di disegni (Album delle feste di Stupinigi, s.d.) e guadagnò un certo prestigio nel campo delle chinee e feste di luce, che progettò anche in occasione della nascita della principessa Clotilde di Savoia (1779) e che non avrebbe abbandonato più.
Il doppio registro dei primi incarichi per la corte e delle numerose commesse in provincia in ambito sia religioso sia civile gli fornì il prestigio necessario per essere nominato architetto di Sua Maestà nel 1785, ruolo a suo tempo ricoperto dallo stesso Vittone e da Benedetto Alfieri.
Fu l’occasione di mettere mano alle intenzioni del sovrano Vittorio Amedeo III di destinare il palazzo Madama ad appartamenti confacenti ai figli e di prevederne perciò un esteso ampliamento e una riplasmazione che vennero assegnati a Quarini e a Carlo Amedeo Rana, messi in competizione tra loro e le cui proposte vennero dettagliatamente esaminate dal congresso degli Edili, vista l’importanza, anche per il decoro urbano, che un intervento sull’antica porta romana, poi castello degli Acaja e infine palazzo di corte riplasmato da Juvarra, più volte previsto ma mai realizzato, avrebbe assunto.
Scomparsi i disegni di Rana, l’accurata disamina delle proposte dei due evidenzia una grande attenzione della corte, per voce del congresso, per la distribuzione degli ambienti legati al cerimoniale e alla qualità abitativa, nonché per le soluzioni di riplasmazione dell’esterno che dovevano fare i conti, principalmente, con la facciata juvarriana a ponente, mentre la massiccia mole trecentesca a levante era puntualmente nascosta. Quarini presentò due distinti progetti per risolvere il tema mantenendo nel primo la porzione originale juvarriana allineata ai nuovi corpi di fabbrica che ne proseguono la scansione, sormontati da porzioni sopraelevate culminanti in timpani che tendono a disassare l’attenzione dal fulcro preesistente; nel secondo le sopraelevazioni sono spostate alle estremità e la parte juvarriana viene evidenziata mediante la sovrapposizione di un volume centrale che ripete la sequenza finestroni-colonne-balconata sottostante e sposta così l’occhio sul nucleo originario.
I prospetti retrostanti, di rivestimento della facciata trecentesca, ripetono entrambi, assecondando il ritmo di quelli a ponente, la cadenza settecentesca, aumentandone l’apparato decorativo con profusioni di statue, urne, simboli araldici e cartigli.
La decisione della commissione propendette nel 1788 per la soluzione di Rana esautorando Quarini, che tuttavia dovette proseguire autonomamente nell’elaborazione di ulteriori ipotesi i cui elementi decorativi – la quadriga che completa il corpo sopraelevato centrale e la vittoria collocata nella medesima posizione in un disegno alternativo – fanno supporre un ripensamento in chiave napoleonica e dunque un successivo lavoro da sottoporre ai nuovi governanti.
I progetti di Quarini per la zona di comando e senza un vero committente non si fermarono alla riplasmazione di palazzo Madama, ma toccarono anche la galleria che lo univa a Palazzo Reale (poi distrutta in un incendio in epoca napoleonica) e lo stesso Palazzo Reale.
Almeno cinque versioni di progetti per conferire maggiore dignità alla spoglia facciata del palazzo – tema sul quale si erano già misurati Alfieri e Vittone – esplorano, fermo restando il ritmo delle aperture, vari gradi di intervento che vanno dalla semplice apposizione di un portale a colonne alla riscrittura della facciata mediante sequenze di paraste di ordine gigante, a una versione con tetti ‘alla francese’, fino al rivestimento in pietra con sequenze di colonne ad avanzare l’intero filo di fabbrica.
Ancora nel 1788 un’altra delusione toccò l’architetto regio: anche il suo progetto per l’edificazione della nuova torre civica, peraltro poi non costruita, non venne accettato. In sintesi, i lavori di Quarini per la corte e le istituzioni a essa legate si limitarono a interventi di riallestimento interno – decorazione dell’Accademia delle scienze (1784-85); teatro per il castello di Moncalieri nella manica di Levante (s.d.); progetto per ridurre il primo piano della Regia Università a uso di museo (s.d.) – o a installazioni effimere – padiglione per la residenza del conte di Cigliè (1784); padiglione nel giardino del castello di Moncalieri (s.d.).
Fu nelle residenze private collinari che Quarini poté impiegare ancora la propria impronta, soprattutto decorativa: la villa il Brambilla (poi Bellardo, 1789), commissionata dal tesoriere G.B. Dota, e la villa il Priè (poi villa Rey, 1790), per il marchese Angelo Carron di Aigueblanche.
Gli impianti a volumi articolati di entrambe le ville sono estremamente semplici, con un riferimento al sistema degli ordini solo allusivo (il Brambilla) e limitato a lesene (il Priè), mentre gli interni sono distribuiti per avvantaggiarsi il più possibile dell’ambiente circostante salubre e luminoso della collina, con qualche citazione delle sale passanti dei palazzi urbani o fluviali (atrio della villa il Prié).
Le ultime opere di Quarini segnano un ritorno ai temi sacri: l’altare e la riplasmazione della parrocchiale di S. Sperato a Cagliari (progetto non realizzato, 1791) e il portale della chiesa di S. Bernardino a Chieri (1792), dove l’avvio dell’affermazione di linguaggi classicisti, che iniziano a provenire nuovamente dall’ambiente romano, si fa sentire.
Morì a Torino nel 1800.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Cartografia; Torino, Archivio storico della città di Torino, Carte sciolte; Torino, Politecnico, Biblioteca centrale di architettura, Disegni di facciata e di progetti di ampliamento per Palazzo Madama.
V. Moccagatta, L’architetto M.L. Q. e le sue opere, in Atti e rassegna tecnica della Società degli ingegneri e degli architetti di Torino, n.s., XII (1958), 5, pp. 153-194; C. Brayda - L. Coli - D. Sesia, Specializzazioni e vita professionale nel Sei e Settecento in Piemonte, ibid., n.s., XVII (1963), 3, pp. 73-173; A. Cavallari Murat, Architettura dipinta e architettura costruita nel confronto Galliari-Quarini del 1786-87, in Studi piemontesi, 1979, vol. 8, n. 2, pp. 325-334; U. Bertagna, Il centro di comando nelle sue tipologie essenziali: Palazzo Madama e la Reggia nei progetti di riplasmazione di fine secolo, in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna 1773-1861 (catal.), a cura di E. Castelnuovo - M. Rosci, Torino 1980, pp. 1092-1108; R. Pommer, Architettura del Settecento in Piemonte. Le strutture aperte di Juvarra, Alfieri e Vittone, a cura di G. Dardanello, Torino 2003; L. Viola, L’Abbazia di Fruttuaria e il comune di San Benigno Canavese, Nichelino 2003; L. Morosi, Bernardo Vittone e Mario Quarini. La formulazione di un archetipo per i palazzi comunali del Settecento in Piemonte, in Studi piemontesi, 2009, vol. 38, n. 2, pp. 425-440; Id., Documenti inediti sull’architettura della carità in Piemonte: M.L. Q. a Fossano, in Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, 2011, n. 145, 2, pp. 217-230.