MAFFEI, Mario
Nacque a Roma da ser Gherardo di Giovanni e da Lucia Seghieri nel 1463, secondo la datazione ricavata dalla lapide sepolcrale nella cattedrale di Volterra, che lo dice morto a 73 anni nel 1537. La data è tuttavia messa in discussione da Paschini (1953, p. 356), che ipotizza un errore di trascrizione e fa risalire la nascita alla seconda metà del 1459. Minore dei fratelli Antonio e Raffaele, dopo la morte del padre, avvenuta nel 1466, fu sotto la tutela di Raffaele. A Roma compì studi umanistici prevalentemente rivolti alle discipline filosofiche. Così ricorda Raffaele nella dedicatoria al M. degli Opera Basili Magni (Roma 1515, c. Iv), e non per caso dedicò al fratello anche il compendio De prima philosophia (ibid. 1518), mentre un riferimento agli studi aristotelici coltivati dal M. "ab ipsis unguiculis" è pure nel proemio a Giulio II del XXVI libro dei Commentarii Urbani (Roma, J. Besicken, 1506, c. 496r).
Come già Raffaele, anche il M. intraprese sulle orme paterne la carriera curiale. Figura nel diario di J. Burckard, in data 5 giugno 1493, come scrittore della Penitenzieria; in tale veste risulta presente all'incoronazione di Alfonso II re di Napoli nel maggio 1494, e ancora nelle liste del maggio 1497 (dove è menzionato anche tra gli officiales Collectorie plumbi) e del maggio 1499. Il 22 dic. 1499 fu fatto canonico di S. Pietro e, sicuramente regnante Giulio II, fu investito della carica di aedituus Vaticanus, ovvero di custode della basilica, ruolo forse già ricoperto in precedenza. A tale ruolo si riferirà Paolo Cortesi nel De cardinalatu, esaltando in M. quelle doti di sottile ingegno e di prontezza alla facezia, che sempre gli furono riconosciute nelle vaste relazioni stabilite a Roma nell'arco di oltre un trentennio.
Sicuramente dovette essere introdotto presto da Raffaele tra gli intellettuali di Curia, divenendo per esempio assiduo di Ermolao Barbaro, ambasciatore di Venezia a Roma. A questa prima fase pare da riportarsi un dialoghetto inedito di argomento speculativo, dedicato dal M. a Iacopo Grasolario, segretario del doge Giovanni Mocenigo (Perugia, Biblioteca comunale Augusta, Fondo vecchio, J.115, cc. 104r-111r).
È soltanto nei primi anni del Cinquecento che la presenza intellettuale del M. si fa più incisiva, in corrispondenza con il sodalizio che lo legò a Iacopo Sadoleto (a Roma dal 1498). La prima testimonianza del loro rapporto risale al 24 genn. 1507, quando il M. tramite Sadoleto inviava saluti ai comuni amici Bernardino Capella, Camillo Porzio, Blosio Palladio e Tommaso "Fedra" Inghirami, trovandosi egli impegnato in una nunziatura straordinaria, durata oltre un anno, presso Luigi XII di Francia (lettera in Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 2517, c. 45). Dalla missione fu richiamato da Giulio II con breve del 22 luglio 1507, affinché tornasse a ottemperare ai suoi uffici nella Penitenzieria e nella basilica in vista della grande ripresa di investimenti e lavori per la nuova Fabbrica di S. Pietro.
Il fitto scambio amicale ed epistolare con Sadoleto è testimoniato dai mss. Barb. lat., 2517, passim e Ottob. lat., 2413, cc. 36-45. L'amicizia era destinata ad accompagnare il M. sino ai suoi ultimi giorni, e Sadoleto, ormai alle soglie del cardinalato, in una tarda lettera del 29 marzo 1536, avrebbe ricordato come quel rapporto fosse nato malgrado l'atteggiamento scostante del M., e che egli, più giovane, lo aveva invece costantemente ricercato (Sadoleto, Epistolae, II, pp. 401-404). Ma già nell'autunno del 1516 era stato il M. a chiedersi le ragioni di un sodalizio così tenace, in cui Sadoleto lo aveva scelto "quasi antesignanum" nonostante il forte divario di temperamento e la refrattarietà che il M. affettava rispetto alle muse. Nonostante i dissensi, che pure vi furono, soprattutto in seguito, riguardo alla prolungata assenza del M. dalla sede episcopale, mai sarebbe venuta meno la solidarietà umana e la stima, che indusse Sadoleto a dedicare al M. il suo De laudibus philosophiae, sollecitandone anche un giudizio (cfr. lettera del Sadoleto al nipote Paolo, ibid., p. 328).
Certamente ampio fu il favore di cui il M. godette presso Giulio II, che gli conferì un canonicato in Laterano, e la cui strategia per la Lega di Cambrai il M. sostenne nel 1509 con un'orazione in lode del re di Spagna, non conservata ma ricordata in una lettera del 15 marzo 1510 a Paolo Riccobaldi Del Bava, marito della nipote Lucilla, figlia di Raffaele (Ottob. lat., 2413, c. 4). A tale orazione si riferisce verosimilmente anche Pierio Valeriano (G.P. Dalle Fosse) nel De litteratorum infelicitate, ricordando la difesa veneziana di Antonio Marostica contro un'invettiva del M. avversa alla Serenissima. Allo stesso Riccobaldi il 3 ag. 1510 il M. scrisse di aver ottenuto dal papa una pensione annua di 500 ducati (Ottob. lat., 2413, c. 4v).
Il carteggio con Riccobaldi, dal M. ufficialmente adottato nel 1525, divenne regolare e frequente (Roma, Biblioteca nazionale, Autografi, A.95: le 313 lettere inviate, per la gran parte datate, partono dal 1511, e sono continue dal 1515 fino al 1536; limitato, invece, il gruppo delle missive di Paolo: ne sono conservate una trentina, risalenti al 1535-36. Non meno rilevante per assiduità la corrispondenza del M. con il prete Martino Virgoletta, ibid.). Le vicende private del M. emergono, nelle corrispondenze durante il conclave del 1523 o nel 1526-27, all'approssimarsi del sacco di Roma, in tutta la loro rilevanza storico-documentaria. Tra gli episodi familiari, la nascita del pronipote, figlio di Paolo e Lucilla, che su insistenza del M. fu battezzato col nome di Giulio (in alternativa a Leone, comunque in omaggio a un pontefice, cfr. ibid., A.95.5) con padrini il cardinale Giulio de' Medici e Sadoleto.
Il M. godette del favore di Leone X, alla cui elezione egli assistette tra i segretari conclavisti, e che in una lettera a Giulio de' Medici del 15 luglio 1519 avrebbe indicato il M. come suo "praelatus domesticus" (Ottob. lat., 2413, c. 30v). Se già all'esordio del pontificato Leone X mandò al M. il suo cappello cardinalizio, in segno augurale per una porpora che il M. non avrebbe mai avuto, il 3 ott. 1514 gli fece ottenere in commenda la badia camaldolese dei Ss. Giusto e Clemente a Volterra, nonché la facoltà di trasmetterla a Giovan Battista Riccobaldi Del Bava, fratello di Paolo (come avvenne nel 1526). Dopo la morte di Iacopo Gherardi, il 5 nov. 1516, il M. fu nominato vescovo di Aquino, senza dover rinunciare ai suoi uffici nella Penitenzieria.
Negli anni del pontificato leonino il M. fu al centro della vita culturale romana, e un aspetto non secondario di questa sua posizione era l'attenzione verso le sue residenze, su cui spesso si concentravano i suoi progetti e le sue energie creative. Possedeva varie case: due in Parione (dove abitualmente risiedeva), una a S. Eustachio, una in Campo Marzio e una in Trastevere; aveva inoltre due vigne sull'Aventino. Poli di attrazione mondana e intellettuale, in esse il M. compose una collezione pregevolissima di statue e iscrizioni antiche, come attesta la dedica degli Epigrammata antiquae Urbis pubblicati nel 1521 da G. Mazzocchi, silloge epigrafica al cui allestimento il M. dovette dare un contributo rilevante (alle cc. CIr-CIIr le 14 epigrafi della sua casa in Parione).
Non meno sollecito dovette essere l'impegno profuso dal M. nella raccolta libraria, ereditata a fine Cinquecento insieme con i libri di Raffaele, da Mario Maffei nipote di P. Riccobaldi: una settantina di codici, individuati da stemmi e note di possesso, parzialmente confluiti per la mediazione di G. Sirleto nel fondo Ottoboni della Biblioteca Vaticana.
In quegli anni, peraltro, il M. fungeva da vero e proprio sovrintendente di Giulio de' Medici per i lavori nella villa Madama, che era stata avviata su progetto di Raffaello nel 1518-19. Ispirò anche i soggetti pittorici tratti da Ovidio per la loggia, come documentano due lettere, del 4 e 17 giugno 1520, con le quali il cardinale affidava alla "tutela et cura" del M. "l'edificio, l'acquedotto et la loggia et tutto, tutto Falcone" (ovvero la tenuta ai piedi di Monte Mario). Ancora al Medici, nel 1523 divenuto papa Clemente VII (e non, come si credeva, a Giulio II), è indirizzata una lettera più tarda, databile tra il 1524 e il 1527, nella quale è evidente l'intrinseca familiarità tra i due.
Da non trascurare, inoltre, malgrado l'esiguità delle testimonianze, l'autorevolezza del M. in fatto di composizione epigrammatica, se lo stesso Leone X gli richiese di approntare un distico da porre sotto la finestra dello Studium Urbis (cfr. la lettera non datata a Paolo Riccobaldi da Roma, Biblioteca nazionale, Autografi, A.95.64). Di tale produzione restano pochi componimenti nell'epigrammatario di Angelo Colocci (Ottob. lat., 2860, cc. 110v, 119r, 184), nonché l'attestato del De poetis urbanis di Francesco Arsilli, che loda il M. "versu pergrato et scommate". La propensione al motto salace e al "giocolino" verbale costituì davvero una costante del temperamento sociale del M., sempre richiamata nelle corrispondenze, dalla lettera di Antonio Lelio del 23 dic. 1515 ("il vostro male è di sorte che non vi ha facto dismenticare e giocolini"), fino all'epistola di Blosio Palladio del 23 ag. 1530 (sul favore del pontefice che "sempre vuol leggere le sue lettere, sì che V.S.a ci metta su del sale et giocolini", Pescetti, 1932, pp. 74, 79). Le testimonianze al riguardo sono copiose e autorevoli: da Marco Antonio Altieri, che nei Nuptiali poneva il M. tra gli uomini piacevoli da invitare a pranzo per le loro "facete et ridicule dicterie", al Castiglione del Cortegiano (II, 70), a Filippo Beroaldo il Giovane che nei Carmina alludeva ai "salsis Marii iocis" (l. II, 12, v. 23), al Sadoleto della celebre epistola al Colocci del 1529, che rievocava nostalgicamente come dal M. "potissimum exhilarabantur coenae nostrae, cum et in lacessendo acute, et in respondendo, omnes ex eius verbis atque vultu effluerent lepores" (Epistolae, p. 314).
Una fama di "homo satirico" (così l'ambasciatore Alfonso Paolucci alla duchessa di Ferrara Lucrezia Borgia, il 26 dic. 1518, in Ferrajoli, 1905, p. 71), che ha finito per schiacciare il M. tutto su un'immagine riduttiva di "buffone aulico" (Id., 1984, p. 382), e che sarà invece da leggere come solo uno tra gli aspetti della posizione del M. nella cultura romana; ben più qualificante il ruolo svolto come animatore dell'Accademia Romana dal 1516, dopo la morte di Fedra Inghirami, di cui Raffaele informò il M. nella lettera del 19 sett. 1516, peraltro esortandolo a vivere in modo più coscienzioso (Barb. lat., 2517, c. 14; Vat. Lat., 7928, c. 69v). Una centralità evidenziata anche dagli stretti rapporti del M. con figure quali Gian Matteo Giberti, spesso evocato nelle lettere, e Alessandro Farnese, per la contiguità con il quale vale la celebre citazione dell'Ariosto nel Furioso (XLVI, 13, dove il M. è evocato nella "dotta compagnia" dei Fedra, Capella, Porzio, Beroaldo, Evangelista Maddaleni, Blosio Palladio e Valeriano, tutti sodali del M., in particolare Capella, di cui nel 1524 egli sarebbe stato, insieme con il Sadoleto, esecutore testamentario, come ricorda il cenotafio nella chiesa di S. Stefano Rotondo a Roma).
Naturale che la fama di mondanità goduta dal M. negli anni di Leone X si tramutasse, sotto il pontificato di Adriano VI, in motivo di irrisione satirica. Esplicito il riferimento al M. in più di una pasquinata (Pasquinate romane, p. 300; Pasquino e dintorni), e certo non sereni dovettero essere i rapporti del M. con il severo papa olandese, che pure stimava Raffaele e accolse nella carica di cameriere segreto e segretario apostolico il nipote P. Riccobaldi. Sicché il M. sempre più spesso tornava a Volterra, dove provvedeva al completamento dei lavori della villa di San Donnino (presso la località di Villamagna) e del suo magnifico giardino.
Le lettere inviate al Riccobaldi durante il conclave del 1523, che a Roma il M. seguì assai da vicino data la familiarità con il Giberti e con il "compare" Giulio de' Medici, in procinto di essere eletto, ben rivelano il livore accumulato contro Adriano VI, ripetutamente apostrofato sino al vituperio ("Sat habeo che Dio m'ha liberato da quel manigoldo, adultero, sacrilego, latro, sanguinario, putido et nefario", lettera al Riccobaldi del 10 ott. 1523, Roma, Biblioteca nazionale, Autografi, A.95.14/2). Con esultanza è invece salutata la travagliata elezione di Clemente VII nella lettera del 25 novembre ("il papa era facto quello che desiderava el core tuo et mio, et quello che doveva desiderare ogni bon italiano, anzi ogni bono christiano", ibid., A.95.14/16).
Dal nuovo pontefice, tuttavia, il M. non ottenne i favori sperati, come la residenza in Vaticano (nonostante l'offerta di un locale liberatosi per la partenza da Roma del cardinale L. Campeggi, che il M. non ritenne adeguata alle proprie necessità, lettera del 2 febbr. 1524, ibid., A.95.16/4). Fu tuttavia ricompensato qualche mese più tardi, il 9 settembre, con la nomina al vescovato piuttosto ambito e remunerativo di Cavaillon, in Provenza, caldeggiata da Sadoleto e Giberti.
Già nel corso del 1526 egli progettava il ritorno alla quiete agreste di San Donnino, dove poter godere dell'affetto di Lucilla e Paolo, che il 28 maggio 1525 era stato dal M. ufficialmente adottato e integrato nel casato Maffei (con sostituzione del nome). Il trasferimento da Roma avvenne nel novembre 1526, sicché dalla specola volterrana il M. apprese del sacco di Roma del maggio 1527, durante il quale erano state depredate anche le case di sua proprietà, mentre egli si occupava dei lavori del palazzo di famiglia nel centro di Volterra. Un impegno che si estese anche alla Fabbrica della chiesa della badia di S. Giusto, quindi ai progetti per il monumento sepolcrale di Raffaele a S. Lino, realizzato nel 1538. In quegli anni il M. era immerso nell'amministrazione di rendite e proprietà, sempre assente dalla diocesi di Cavaillon, dove ancora nel novembre 1529 Sadoleto lo spronava a recarsi (nel 1533 anche Giberti, in una lettera a Gian Francesco Bini, avrebbe espresso "rimordimento", "vedendo quanto il bono homo si è poco ricordato di essere vescovo", Paschini, 1953, p. 373). Di nuovo Sadoleto lo invitò in Francia, allorché il M. si trovava a Bologna, al seguito di Clemente VII nel congresso imperiale del marzo-aprile 1530 (cfr. la lettera al Riccobaldi del 16 marzo, ibid., A.95.34/3).
Passato a San Gimignano nel maggio, come commissario pontificio, il M. si trovava tra Montalcino e Siena nell'estate 1530, impedito dal rientrare a Volterra per i tumulti che colpirono la città, sotto l'assedio di Francesco Ferrucci. Se del resto egli, ormai anziano, si trovava a patire un doloroso esilio da Volterra, pure non perdeva quell'ottimismo di fondo che aveva sempre improntato la sua indole (nella lettera al Riccobaldi del 20 sett. 1530 da Montalcino, dopo aver chiesto notizia dei beni depredati, concludeva: "ricordati che tanta maninconia ha l'uomo quanta ne piglia", ibid., A.95.35/2).
Il M. rientrò a Volterra nel giugno 1531, per recarsi finalmente a Cavaillon nel settembre, da dove visitò il Sadoleto a Carpentras. Ancora a Roma tra la fine del 1531 e l'aprile 1532, si occupò delle sue dimore (andò ad abitare in quella di Trastevere) e diede ausilio al papa in certe controversie con i canonici di S. Pietro, ormai in un clima di congedo dalla corte pontificia. Tornato nuovamente a Volterra il 6 maggio 1532, andò a risiedere a San Donnino nei due anni seguenti e rinunciò al priorato di S. Salvatore di Monte al Pruno in favore dei canonici della cattedrale di Volterra.
Non è provato che egli fosse nuovamente ospite di Sadoleto a Carpentras nel settembre 1534, dove avrebbe appreso della morte di Clemente VII e della successione di Paolo III (così Falconcini, pp. 227-230; ma l'epistola gratulatoria al nuovo papa, datata Carpentras, 12 dic. 1534, è tradita nel ms. Barb. lat., 2517, cc. 82r-83r, dove è presente con altre epistole del M. ai pontefici, e non collima con le altre attestazioni, se il M. giungeva a Roma da San Donnino il 30 ottobre, come nella lettera a Paolo in Autografi, A.95.44/6).
Fu questo l'ultimo soggiorno romano del M., rassegnato ormai a non poter "corteggiare" per le condizioni di salute, che appena gli permettevano di raggiungere a piedi S. Pietro (lettera a Paolo del 3 dic. 1534, ibid., A.95.45/3), sicché nel maggio 1535 fece definitivamente ritorno nel Volterrano dove, tra dicembre 1536 e gennaio 1537, apprendeva della porpora conferita a Sadoleto (la gratulatoria in Falconcini, pp. 231-233).
Il M. morì a Volterra il 24 giugno 1537; lasciò gran parte dell'eredità alla cappella della cattedrale, dove fu tumulato nel sepolcro marmoreo fattogli innalzare da Paolo e dal pronipote Giulio.
Fonti e Bibl.: Oltre ai mss. vaticani citati e al fondo Autografi della Biblioteca nazionale di Roma (Autografi, A.93-97), lettere del M. si trovano a Volterra, Biblioteca Guarnacciana, Archivio Maffei, bb. 105, 110, XLVII.2.1; Forlì, Biblioteca comunale, Autografi Piancastelli, b. 1340; P. Cortesi, De cardinalatu, in Castro Cortesio 1510, cc. 23r, 83r; F. Beroaldo, Carminum libri III, Romae 1530, passim; P. Valeriano, De litteratorum infelicitate libri duo, Venetiis 1620, p. 106; I. Sadoleto, Epistolae, II, Romae 1760, passim; A. Ferrajoli, Due lettere inedite di Francesco Berni, in Giorn. storico della letteratura italiana, XLV (1905), pp. 67-73; J. Burckard, Liber notarum, a cura di E. Celani, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXXII, passim; E. Barbaro, Epistolae, orationes et carmina, a cura di V. Branca, II, Firenze 1948, p. 59; Pasquinate romane del Cinquecento, a cura di V. Marucci - A. Marzo - A. Romano, Roma 1983, I, pp. 199, 300; Pasquino e dintorni. Testi pasquineschi del Cinquecento, a cura di A. Marzo, Roma 1990, p. 23; M.A. Altieri, Li nuptiali, pubblicati da E. Narducci, con introduz. di M. Miglio, Roma 1995, p. 185; Coryciana, a cura di J. Ijsewijn, Romae 1997, p. 350; B. Falconcini, Vita del nobil'uomo, e buon servo di Dio Raffaello Maffei, detto il Volterrano, Roma 1722, pp. 219-235; C. Incontri, Infortuni occorsi alla città di Volterra nell'anno 1529 e 1530, a cura di M. Battistini, Volterra 1920, passim; G. Fatini, Spigolatura ariostesco-volterrana, in Rassegna volterrana, I (1924), pp. 107-114; L. Pescetti, M. M. (1463-1537), ibid., VI (1932), pp. 65-91; P. Paschini, Una famiglia di curiali. I Maffei di Volterra, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, VII (1953), pp. 356-376; L. Pescetti, Le prime nozze di Lucrezia Borgia in un'inedita lettera di Jacopo Gherardi a M. M., in Rassegna volterrana, XXI-XXIII (1955), pp. 1, 6; B.L. Ullman, Studies in the Italian Renaissance, Roma 1955, pp. 373-382; J. Ruysschaert, Recherches des deux bibliothèques romaines Maffei des XVe et XVIe siècles, in La Bibliofilia, LX (1958), pp. 306-355; R. Lefevre, Due lettere di Giulio de' Medici su villa Madama, in L'Osservatore romano, 18 maggio 1958, p. 4; Id., Note sulla "vigna" del cardinal Giulio a Monte Mario, in Studi romani, IX (1961), pp. 394-403; Id., La "vigna" del cardinale Giulio de' Medici e il vescovo d'Aquino, in Strenna dei romanisti, XXII (1961), pp. 171-177; Id., Un prelato del '500, M. M., e la costruzione di villa Madama, in L'Urbe, n.s., XXXII (1969), 3, pp. 1-11; Id., Villa Madama, Roma 1975, pp. 107-117; C.L. Frommel, Die Peterskirche unter Papst Julius II. im Licht neuer Dokumente, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XVII (1976), pp. 93-95; J.F. D'Amico, Papal history and Curial reform in the Renaissance. Raffaele Maffei's "Breuis Historia" of Julius II and Leo X, in Archivum historiae pontificiae, XVIII (1980), pp. 170 s.; A. Ferrajoli, Il ruolo della corte di Leone X (1514-1516), a cura di V. De Caprio, Roma 1984, pp. 379-387; C.L. Frommel, Villa Madama, in Raffaello architetto (catal., Roma), a cura di C.L. Frommel et al., Milano 1984, pp. 311-356; J.F. D'Amico, Renaissance Humanism in papal Rome: Humanists and churchmen on the eve of the Reformation, Baltimore-London 1985, pp. 85-88, 111 s.; Id., The Raffaele Maffei monument in Volterra: small town patronage in the Renaissance, in Supplementum festivum. Studies in honor of Paul Oskar Kristeller, a cura di J. Hankins et al., Binghamton, NY, 1987, pp. 469-489; Id., Roman and German Humanism 1450-1550, a cura di P.F. Grendler, Aldershot 1993, passim; A. Spotti, Le lettere di Martino Virgoletta a M. M., in Un'idea di Roma. Società, arte e cultura tra umanesimo e Rinascimento, a cura di L. Fortini, Roma 1993, pp. 113-120; A. Marrucci, M., M., in Diz. di Volterra, III, Pisa 1997, pp. 1099-1101; A. Spotti, M. M. a Martino Virgoletta: note a un carteggio della Biblioteca nazionale di Roma, in Roma nella svolta tra Quattro e Cinquecento. Atti del Convegno, 1996, a cura di S. Colonna, Roma 2004, pp. 151-158; P.O. Kristeller, Iter Italicum, Cumulative Index I-VI, ad nomen.