MARTONE, Mario
Regista teatrale e cinematografico, nato a Napoli il 20 novembre 1959. Affermatosi fin dagli anni Ottanta a livello internazionale come importante regista nell’ambito della ricerca teatrale, poi come figura di primo piano tra i registi teatrali e lirici del nostro Paese, M., tra gli anni Novanta e l’inizio del millennio, si è imposto come uno dei più apprezzati e rigorosi esponenti del nostro cinema oltre che della regia teatrale a livello internazionale. Apprezzamento riconosciutogli con numerosi premi e partecipazioni ai festival più importanti, nonché con la nomina a direttore artistico del Teatro di Roma tra il 1999 e il 2001 (dove ha voluto la costruzione dei nuovi spazi del Teatro India), poi a condirettore del Teatro Stabile di Napoli (2003-04) e quindi del Teatro Stabile di Torino (dal 2007).
La sua attività sulla scena è stata in questi anni in continua osmosi con quella cinematografica. M. ha realizzato un film come L’odore del sangue (2004), dal romanzo omonimo di Goffredo Parise, mentre lavorava a un progetto teatrale collettivo su Petrolio (2003-04) di Pier Paolo Pasolini per lo Stabile di Napoli. Entrambe occasioni per interrogarsi sulle radici profonde dell’Italia contemporanea, sulle irrisolte questioni etico-politiche, sul rapporto tradizione-innovazione, sulle aporie del potere. Nel film tutto ciò diventa una lucida e inquieta radiografia del malessere, del rapporto tra i sessi, dell’intreccio tra passato recente (con tutti i misteri degli anni delle lotte politiche e dei neofascismi) e disorientamento presente; e nel progetto teatrale pasoliniano una riflessione a più voci sulla possibilità di integrare la potenza del desiderio con l’utopia di una comunità. Individuo e comunità e mito e tragico sono i due poli intorno a cui M. in questi anni ha focalizzato la sua attenzione. In campo teatrale tali temi emergono nella trilogia messa in scena negli anni: Edipo re (2000), Edipo a Colono (2004), La serata a Colono (2013, di Elsa Morante), in cui il mito tebano viene ripercorso precipitandolo in una disseminazione spaziale che chiama in causa il pubblico coinvolto prima sui palchi del Teatro Argentina con la platea sventrata e popolata da un coro di extracomunitari, poi nell’itinerario del calvario edipico lungo gli spazi all’aperto e al chiuso del Teatro India, infine su un palcoscenico e una platea trasformati nell’ambiente di un ospedale psichiatrico, dove, sul letto di contenzione, si svolge l’agonia di Edipo (un grande Carlo Cecchi). In campo cinematografico con il dittico Noi credevamo (2010), vincitore di sette David di Donatello, e con Il giovane favoloso (2014; David di Donatello al miglior attore protagonista, Globo d’oro per il miglior film, Nastro d’argento per la migliore regia) M. compie un viaggio nell’Italia dell’Ottocento, ripensandone il destino di comunità incompiuta nel primo film, dove il Risorgimento viene ‘rovesciato’ nella tensione tra illusione/disillusione, utopia/ragion di Stato e visto, sulla scorta del romanzo di Anna Banti, dalla prospettiva del nostro Sud e da quella dell’amicizia e della maturazione di tre giovani irredentisti; e, nel secondo film (che ha riscosso un grande successo di pubblico), rileggendo con coraggio e libertà una figura come quella di Giacomo Leopardi (uno straordinario Elio Germano), rendendolo vitale e attuale, quasi fosse un giovane ribelle dei nostri giorni, accompagnandolo in un ‘viaggio in Italia’ illustrato come un romanzo moderno dalla sceneggiatura scritta con Ippolita Di Majo. Anche questo percorso ha trovato un riflesso nella messinscena ardita e visionaria delle leopardiane Operette morali (2014) trasformate in una dinamicissima drammaturgia. In questa dialettica tra teatro e cinema, e nell’ambito della sua riflessione sull’Ottocento, si pone il suo personale itinerario di regista lirico. M. ha ripensato i melodrammi rossiniani e verdiani, e le opere ‘italiane’ di Wolfgang Amadeus Mozart, in messinscene essenziali costruite su idee spaziali sintetiche e simboliche, dove il gioco dei cantanti si scioglie in una recitazione sempre in dialettica con il pubblico. La visione di una città come Napoli presa a epitome di una ‘disperata vitalità’ che dinamizza tradizione e innovazione viene rimessa in gioco sia nella parte napoletana, apocalittica e carnevalesca, del film su Leopardi, sia in una serie di affreschi corali per la scena, I dieci comandamenti (2000, di Raffaele Viviani), L’opera segreta (da Anna Maria Ortese ed Enzo Moscato), Carmen (2015), una variazione sull’opera di Georges Bizet di Moscato su musiche dell’Orchestra di Piazza Vittorio, splendidamente recitata e cantata da Iaia Forte: tutti spettacoli ricchi di un afflato musicale collettivo e lucidamente politico-popolare, il primo, di accensioni caravaggesche, oltre che di melanconia leopardiana, il secondo, di una vena quasi da ‘musical’ brechtiano, il terzo.
Bibliografia: Mario Martone. La scena e lo schermo, a cura di R. De Gaetano, B. Roberti, Roma 2013.