Martone, Mario
Regista cinematografico e teatrale, nato a Napoli il 20 novembre 1959. La sua attività, che ha raccolto prestigiosi riconoscimenti, si è sviluppata tra teatro e cinema in un rapporto di reciproco scambio, all'interno di un mondo immaginario al tempo stesso concreto e visionario, nel quale individuo e comunità si specchiano a vicenda tra contraddizioni del reale e progettualità utopica, storia e memoria. In un contesto di rinnovamento del cinema italiano, M. ha inoltre attuato una riscoperta del dato antropologico e civile del paesaggio, trovando in una città cinematografica per eccellenza come Napoli una nuova centralità metaforica. Con Morte di un matematico napoletano (1992) ha vinto il Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia, mentre con L'amore molesto (1995) ha ottenuto il David di Donatello per la regia.Iscrittosi a Salerno alla facoltà di Lettere e Filosofia e a Bologna al corso di laurea in Discipline dell'arte, della musica e dello spettacolo (DAMS), M. iniziò la sua carriera teatrale a Napoli nel 1977, impegnato in un costante lavoro di sperimentazione di grande inventiva e suggestione che lo impose rapidamente all'attenzione della critica. Fino alla metà degli anni Ottanta, M. adottò un procedimento di costruzione drammaturgica e spettacolare molto vicino alle modalità del cinema, soprattutto nel montaggio delle azioni e nell'uso degli ambienti, delle luci e dei movimenti degli attori. Tutto ciò era apparso evidente fin da Tango glaciale (1982), spettacolo prodotto con il gruppo fondato da M. nel 1979 ‒ il cui nome, Falso movimento, era di per sé un richiamo obliquo al cinema di Wim Wenders ‒ e aveva trovato poi nella complessità visiva e nella scenografia di Ritorno ad Alphaville (1986, ispirato al film Alphaville, 1965, di Jean-Luc Godard), il suo esito teatrale più estremo e barocco, nel quale il trionfo dell'immaginario postmoderno traeva ispirazione sia da Godard sia dall'utopia di La Città del Sole di T. Campanella. Nel 1987 M. ha promosso a Napoli la nascita di Teatri Uniti, una compagnia volta a esaltare la collaborazione del gruppo ma anche l'espressione artistica individuale coinvolgendo, tra gli altri abituali collaboratori, due esponenti dell'avanguardia teatrale come Toni Servillo e Antonio Neiwiller. Questa struttura è stata per M. la base per il naturale passaggio al cinema: Morte di un matematico napoletano ‒ interpretato da Carlo Cecchi, affiancato da una serie di attori come Anna Bonaiuto, Licia Maglietta, Andrea Renzi e Toni Servillo, che hanno poi continuato a lavorare nei successivi film del regista ‒ ha rotto gli schemi intimisti e prevedibili del giovane cinema italiano di quel periodo. Basato sulla ricostruzione congetturale e labirintica degli ultimi giorni di vita di Renato Caccioppoli, geniale matematico morto suicida, il film si divarica tra il disegno di un destino individuale irriducibile, pervaso da un disagio esistenziale, e la metafora collettiva di un'intera città, Napoli, colta nel mezzo di una trasformazione civile e morale tra speranze e disinganni, sul finire degli anni Cinquanta. Dopo la parentesi di Rasoi (1993), dove è impaginato filmicamente il meccanismo di uno spettacolo-affresco che scava nella bruciante lingua napoletana, custode di atavismi storici e culturali, con L'amore molesto (dal romanzo di E. Ferrante) M. ha ripercorso l'itinerario psichico del lato in ombra di una femminilità frustrata e turbata, in un complesso coacervo, sospeso tra passato e presente, di ossessioni familiari e fisicità rimosse, ancora una volta sullo sfondo di una Napoli simbolo del disagio e della ricerca di identità perdute. Un interrogativo, quello sui destini di una collettività, che ritorna nell'apologo onirico di La salita, episodio del film collettivo I vesuviani (1997), nel quale la 'salita al monte' di un ipotetico sindaco della città vesuviana si arricchisce di allegorie memori della lezione di Pier Paolo Pasolini. Ma già nel 1994 M. aveva realizzato una sorta di 'parabola' sul destino individuale dell'artista con Antonio Mastronunzio, pittore sannita, cortometraggio della serie collettiva Miracoli.Quasi a chiudere una trilogia sulle voci segrete e trasfigurate del paesaggio civile e antropologico napoletano, ma rilanciando nel contempo sul piano metaforico interrogativi dalla complessità inestricabile, quali il senso del tragico, la responsabilità, il conflitto, il rapporto realtà-finzione, M. ha realizzato con Teatro di guerra (1998) il suo film con maggiori implicazioni autobiografiche, evidenziando una tensione politica ed etica di bruciante attualità nell'accostamento della guerra in Bosnia e dell'assedio di Sarajevo a una tessitura simbolica di conflitti, tutti riversati all'interno di una compagnia di teatro sperimentale e di una città-teatro attraversata da quotidiane contraddizioni e problemi, quale è Napoli. Qui M. ha immaginato una faticosa messinscena teatrale (realmente avvenuta e filmata) di I Sette contro Tebe di Eschilo, utopicamente eletta a testimonianza di solidarietà da portare nel reale 'teatro di guerra' balcanico, ricavando un meccanismo di specchi e di doppi (teatro-cinema, tragico-quotidiano, interiorità-esteriorità), di grande efficacia.Dal 1999 al 2001 ha diretto il Teatro stabile di Roma.
A. Cappabianca, L'arte della memoria, in "Filmcritica", 1995, 454, pp. 187-89; S. Bouquet, L'amour meurtri, in "Cahiers du cinéma", 1996, 498, p. 81; B. Roberti, Mario Martone, su carta che brucia, Savignano sul Rubicone 1997.