MERZ, Mario
– Nacque a Milano il 1° genn. 1925 da Francesco, di professione ingegnere, e da Maria Saltara, docente di musica; ebbe una sorella, Marina. La famiglia, di origine svizzera, si trasferì presto da Milano a Torino, dove il giovane M. frequentò il liceo scientifico.
Dopo l’8 sett. 1943 aderì a Giustizia e libertà: arrestato durante un volantinaggio, fu imprigionato nelle carceri nuove torinesi, dove trascorse alcuni mesi, facendo la conoscenza di Luciano Pistoi e accostandosi alla pratica del disegno, con tecnica a tratto continuo.
Si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Torino, ma abbandonò ben presto gli studi: nel dopoguerra, infatti, il M. si impegnò nel disegno su temi di natura, e la frequentazione di Luigi Spazzapan e di Mattia Moreni lo convinse nella propria vocazione artistica. Nei primi anni Cinquanta intraprese la strada della pittura a olio, proseguendo l’indagine sui soggetti naturali, come fiori o foglie, o sociali, come Il saldatore, più volte ripreso (1956, in Celant, 1983, ill. n. 17, p. 32).
I soggetti, inquadrati in primo piano, sono resi con segni forti e veloci che richiamano l’espressionismo americano e si oppongono alla pittura informale, allora dominante nel panorama italiano.
Data al 1954, alla galleria La Bussola di Torino, la prima personale dell’artista. Nel 1959 il M. sposò Marisa, nota come Marisa Merz (nata nel 1931), sua compagna di vita e d’arte, dalla quale ebbe nel 1960 Beatrice, unica figlia; la coppia si stabilì per alcuni anni sui monti della Svizzera tedesca, con un lungo soggiorno che lasciò durature impressioni visive nell’artista. L’attività pittorica, punteggiata da rare esposizioni pur lodate dalla critica, si protrasse sino ai primi anni Sessanta: nel 1962 la galleria Notizie di Torino gli dedicò un’antologica, introdotta dalla critica Carla Lonzi, che individuava il M. come uno degli artisti più interessanti della sua generazione.
È questo il momento culminante della prima maturità professionale del M. il quale, alla ricerca di nuovi esiti e suggestionato dalla conoscenza del situazionismo di Pinot (Giuseppe) Gallizio, visse poi alcuni anni di ritiro dalla scena artistica. Le riflessioni maturate in questo periodo sfociarono nelle creazioni degli anni 1966-67, quando il M. concepì opere volumetriche, date da strutture di tela od oggetti quotidiani trafitti da tubi di luce al neon, come una corrente energetica che rianima l’inorganico.
Orientato con sicurezza verso un’arte di sintesi tra pittura e scultura, il M., rientrato stabilmente a Torino, divenne figura di spicco del dibattito culturale artistico che animava la città piemontese e che riuniva intorno ad alcune gallerie d’avanguardia (galleria Gian Enzo Sperone, Il Punto, dal 1967 Christian Stein) alcuni giovani artisti di impronta concettuale, quali Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, Alighiero Boetti e Piero Gilardi. Risale al 1967 anche l’incontro, felice dal punto di vista intellettuale, con il giovane critico Germano Celant, che ebbe il ruolo di cardine estetico e di storico del movimento, proprio da lui battezzato «Arte povera», definizione di gran fortuna accolta a livello mondiale. Nel dicembre 1967 il M. partecipò alla collettiva torinese «Con temp l’azione», curata da Daniela Palazzoli presso le gallerie succitate, mentre nel gennaio 1968 il M., prefato da Celant, tenne una personale alla galleria Sperone, in cui presentava alcuni oggetti stranianti, fuori scala, come il Cestone, grande cesto in vimini da appendere. Il 1968 fu un anno cruciale per la vicenda creativa del M., che mise a fuoco alcune forme estetiche destinate a popolarne per sempre l’universo poetico: l’igloo, la scrittura al neon, la lancia.
L’igloo, forse il tema più noto del M., nacque dalla volontà di racchiudere uno spazio in espansione: è forma autoportante in massima tensione che rimanda a simboli archetipici dell’umanità, quali la casa e il cosmo, la vita nomade. Realizzati in materiali differenti (iuta, pietra, vetro, argilla) gli igloo, pur mantenendo l’autonomia strutturale, sviluppano una forte relazione di contesto con l’ambiente circostante. Si ricorda l’Igloo di Giap (1968, in Celant, 1983, ill. n. 33, p. 47), realizzato in terra e recante la frase «Se il nemico si concentra perde terreno, se si disperde perde forza», attribuita al generale vietnamita Vo Ngyen Giap, vincitore sulle truppe francesi nel 1954: il dettato è accolto nella sua verità filosofica, immanente, come un assunto incontrovertibile sui rapporti di forza.
La rapida affermazione del movimento dell’arte povera vide il M. in prima linea: nell’ottobre 1968 ad Amalfi egli prese parte all’evento «Arte povera + azioni povere»; nel febbraio 1969 allestì una personale alla galleria L’attico di Roma, esposizione in cui il M. indagò la risposta dei materiali alla sollecitazione del contesto specifico. Nel marzo 1969, infine, partecipò alla collettiva «Live in your head: when attitudes become form», curata da Harald Szeemann presso la Kunsthalle di Berna, mostra che si rivelò fondamentale per il riconoscimento internazionale del gruppo. Carattere contemplativo e portato alla speculazione, il M. non cessò mai di approfondire, pur accanto a una serrata attività espositiva, l’osservazione diretta del dato naturale: in tale prospettiva va intesa l’adozione, a partire dal 1970, della serie numerica del matematico pisano Leonardo Fibonacci (1175-1235), quale chiave mensurale delle opere del Merz.
Sistema numerico astratto che si ritrova nelle leggi naturali dello sviluppo di alcuni organismi (per esempio nel guscio della lumaca, nella pigna), la progressione di Fibonacci dà corpo al concetto di proliferazione e tende, nella sua rappresentazione grafica, alla spirale: su queste basi il M. ideò numerose installazioni volte all’integrazione dell’opera d’arte con lo spazio espositivo.
Significativo, in tal senso, il caso della progressione di Fibonacci al neon realizzata per il Guggenheim Museum di New York (febbraio 1971) e snodata lungo la balaustra della rampa interna, in aperto dialogo con la spirale architettonica disegnata da Frank Lloyd Wright.
Acclamato dalla critica più esigente, nel 1972 il M. espose alla XXVI Biennale di Venezia e a «Documenta 5» a Kassel su invito di Harald Szeemann, con l’installazione Accelerazione (1972, in Celant, 1983, ill. n. 71, p. 85), in cui una motocicletta appare lanciata verso l’infinito grazie alla fuga dei numeri Fibonacci, come una scia al neon che invera il sogno. Un soggiorno berlinese, nel 1973, fu occasione di nuove esperienze progettuali: il M. si interessò al tema del tavolo, quale luogo della socialità e come porzione di spazio piano sollevata, isolata.
Il tavolo, vero o dipinto su tela, diviene il protagonista di una triade concettuale che descrive l’intero mondo: l’igloo, ossia lo spazio ideale e raccolto, la serie di Fibonacci, cioè la crescita armonica, il tavolo o la civiltà dell’uomo. Dall’intreccio di tali immagini simboliche, insieme con alcune altre come i giornali e le fascine di legna, origina l’attività artistica più intensa del M., lungo gli anni Settanta e Ottanta, segnata dal ritorno alla pittura, sul tema degli animali, e dal costante ripercorrere il proprio repertorio, con coerenza interna, ma sempre in rapporto dialettico con i luoghi, in tante occasioni espositive.
Il gran numero di mostre collettive e personali cui il M. intervenne negli anni Ottanta, rende arduo darne conto; ma giova qui ricordare la retrospettiva tenutasi al palazzo delle Esposizioni di San Marino nel 1983, a cura di Celant; quella realizzata da H. Szeemann presso la Kunsthaus di Zurigo nel 1985 e, infine, la monumentale antologica del Guggenheim Museum di New York nel 1989, quando l’intero edificio gli fu dedicato e nella rotonda centrale trovò posto un igloo di grandi dimensioni. Nel 1985, a chiusura di un lungo processo teoretico, il M. raccolse gli scritti, editi e inediti, nel volume Voglio fare subito un libro (Aarau 1985, ed. ital. Firenze 1986), curato dalla figlia Beatrice.
Sempre più interessato a una ampia condivisione sociale della propria utopia, a partire dalla metà degli anni Ottanta il M. intese proporre la sua opera su scala urbana, realizzando delle installazioni di grande pregnanza estetica e di contenuto.
È il caso della sequenza di Fibonacci inerpicata nel 1984 sulla cupola della Mole Antonelliana (dal 2000 è installazione permanente con il titolo Il volo dei numeri) o della progressione denominata Manica lunga da 1 a 987 realizzata per il Castello di Rivoli, presso Torino, in occasione della personale del 1990; nel 1994 una serie numerica lunga oltre un chilometro, la Suite de Fibonacci, fu interrata lungo il percorso tramviario di Strasburgo.
In armonia con la notorietà mondiale il M. fu insignito di importanti onorificenze, tra le quali si ricordano il premio Arnold Bode conseguito a Kassel nel 1981, il premio austriaco Oskar Kokoschka (1983); il titolo di cavaliere di gran croce della Repubblica italiana (1996) e la laurea honoris causa dell’Università di Bologna (2001), infine, a poche settimane dalla morte, il Premium Imperiale della Japan Art Association per la scultura (2003).
Il M. morì a Milano il 9 nov. 2003.
Fonti e Bibl.: M. M. (catal., Repubblica di San Marino, Palazzo delle Esposizioni), a cura di G. Celant, Milano 1983 (con ampia bibl. e antologia critica); M. Meneguzzo, Verso l’arte povera 1963-1969: storia tra poetica e strategia, in Verso l’arte povera. Momenti e aspetti degli anni Sessanta in Italia, Milano 1989, pp. 14, 20-22, 29; M. M. Terra elevata o la storia del disegno (catal., Castello di Rivoli), a cura di R. Fuchs, Torino 1990; F. Poli, Minimalismo, Arte povera, Arte concettuale, Roma-Bari 1995, ad ind.; B. Pietromarchi, M. M. Igloo, Roma 2001; M. M. (catal., Fundación Proa, Buenos Aires 2002), a cura di D. Eccher et al., Torino 2003; M. M. (catal., 2005), a cura di M. Beccaria et al., Torino 2006 (con ampia bibliografia e nota biografica); La scultura italiana del XX secolo (catal., Fondazione Arnaldo Pomodoro), a cura di M. Meneguzzo, Milano 2005, pp. 286 s.; G.M. Accame, Pagine di connessione, in Vertigo. Il secolo di arte off-media dal futurismo al web (catal., Bologna), a cura di G. Celant - G. Maraniello, Milano 2007, pp. 250, 257 s.
M. Picciau