MIELI, Mario
Nacque a Milano il 21 maggio 1952 da Walter e Liderica Salina, penultimo di sette figli (quattro maschi e tre femmine).
Il padre, nato nella comunità ebraica di Alessandria d'Egitto, si era stabilito a Milano a metà degli anni Venti, dove aveva iniziato a occuparsi con successo di commercio di filati. Traghettata tra non poche difficoltà attraverso gli anni del fascismo e della guerra, l'azienda familiare (oltre a Walter, vi si impegnarono e la svilupparono successivamente anche i figli) si impose presto tra le più importanti nel campo della torcitura e lavorazione della seta. La madre, originaria di Milano, era figlia di Carlo, pianista morto giovanissimo al fronte durante la prima guerra mondiale e di Paolina Beretta, violinista. Cresciuta in collegio era diventata in seguito insegnante di lingue. Dopo essersi incontrati e sposati (nel 1936) a Milano, durante la guerra i coniugi Mieli sfollarono a Lora, oggi periferia di Como.
Qui Mario trascorse infanzia e giovinezza, pur non mancando di compiere visite in città, dove il padre continuava a lavorare e risiedere.
Si trasferì definitivamente a Milano al momento dell'iscrizione al centrale e titolato liceo classico Parini, nel quale lo raggiunse due anni dopo la sorella minore Paola, con cui condivise frequentazioni ed esperienze importanti. Lettore appassionato e di intelligenza viva, Mieli espresse sin da allora i suoi desideri polisessuali. Non ancora il personaggio pubblico e carismatico che di lì a poco sarebbe diventato (talvolta suo malgrado), ma già «persona coinvolgente, acuta e paradossale», secondo la testimonianza del suo sodale Milo De Angelis (Accolla - Contieri, 2013, p. 57), dal 1969 Mieli diede vita ad un circolo di poesia, sua altra grande passione del tempo, che fu anche occasione di incontro e confronto tra omosessuali. Furono per il giovane Mario – appena approdato in città e subito contagiato dall'euforia della contestazione – anni intensi, evocati successivamente dal protagonista del suo romanzo autobiografico, Il risveglio dei Faraoni: era il 1970, «di giorno andavo a scuola truccato, partecipavo alle occupazioni, di notte andavo a battere sotto il ponte della “Fossa”, che è un po' il cuore di Milano e quando piove molto sembra Venezia» (Mieli, 1994, p. 49).
Non idoneo al servizio militare perché eccessivamente miope, nel 1971, terminato il liceo, si recò a Londra per perfezionare l'inglese, seguendo una collaudata tradizione familiare. Il vivace movimento omosessuale londinese, che combinava elementi di radicalità politica con la passione per la performance, il teatro, le feste, i pub, le sale da ballo, le librerie gay, la promiscuità sessuale, rappresentò una tappa fondamentale nella vita di Mieli. Ad uno dei general meetings del movimento, inoltre, conobbe il pittore Piero Fassoni, anch'egli italiano nato in Egitto, figura fondamentale della sua vita e con il quale condivise di lì in avanti il tempo londinese, tra mostre, pomeriggi chiusi in casa, balli, LSD.
Proprio come inviato del Gay Liberation Front (GLF), la principale formazione omosessuale londinese, prese parte, di lì a poco, alle prime iniziative del movimento di liberazione degli omosessuali italiano, che coincisero con la nascita del Fuori!. Nato nella primavera del 1971, il Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano dichiarava sin dal nome la corrente radicale a cui si ispirava, impersonata tanto dai GLF inglese e americano, quanto dall'assonante Front homosexuel d'action révolutionnaire (FHAR) all'opera in Francia. «A differenza dei “movimenti omofilli” che li avevano preceduti, questi gruppi erano tutti di sinistra radicale e collocavano per definizione la questione omosessuale all'interno delle lotte che vedevano protagonisti in quegli anni gli studenti, i lavoratori, le donne, le minoranze etniche e razziali» (Rossi Barilli, 1999, p. 48). Non sorprende che la prima iniziativa pubblica intrapresa dal Fuori!, per la quale furono chiamati a raccolta esponenti delle organizzazioni sorelle europee, fu il raid al convegno del Centro italiano di sessuologia dedicato alle devianze sessuali (e alle terapie per curarle, come gli shock elettrici o i trattamenti ormonali) svolto a Sanremo nell'aprile 1972. Circa quaranta tra uomini e donne si presentarono davanti al casinò della città, sede del convegno, con cartelli (tra cui «Psichiatri, siamo venuti a curarvi»), gridando slogans e, nei due giorni seguenti, intervenendo ai lavori del convegno dal tavolo dei relatori. Tra le altre, rimane di quella giornata una fotografia di Mieli, arrivato direttamente da Londra, mentre distribuisce volantini, con «una camicetta di seta con le maniche ampie e svolazzanti e in testa un foulard annodato sopra la fronte come usavano le lavandaie di una volta» (Pezzana, 2011, p. 83), sulle labbra tracce di rossetto.
Nei due anni successivi, pur continuando a fare la spola con Londra e a viaggiare altrove, e mentre portava avanti brillantemente gli studi in filosofia all'Università degli studi di Milano (la 'Statale') dove si era immatricolato nel settembre 1971, Mario si impegnò intensamente nella vita dell'organizzazione e della sua omonima rivista, guidate da Torino dal libraio Angelo Pezzana. Presto ne divenne uno dei principali riferimenti sulla scena milanese: dal secondo numero del giornale, uscito nell'estate 1972, Mieli entrò a far parte della redazione e l'indirizzo della casa dei suoi genitori, in via Marco de Marchi, fu indicato come contatto in città. Alle riunioni partecipavano tra gli altri l'architetto Corrado Levi, Fassoni quando era in Italia, il cantante Ivan Cattaneo che, anni dopo, ricordò: «passavamo interi pomeriggi nella sontuosa villa di Mario, quando i suoi non c'erano, ascoltavamo Mozart e Space Oddity di Bowie, ricordo che nella parte strumentale dove c'era un battito di mani, Mario saliva sulla poltrona di velluto rosso e batteva le sue mani, sorridendo e danzando» (Cattaneo, Io e Mario, in Silvestri, 2002, p. 8). La discussione politica si mescolava al divertimento, la messa in scena non mancava e, inoltre, il gruppo milanese del Fuori! si distinse per l'inclinazione verso la pratica dell'autocoscienza (si veda Metodo e contenuti delle prime riunioni del gruppo Fuori! di Milano, in Fuori!, I, 1972, 3, p. 4), mutuata dal femminismo e dalle amiche dei collettivi di liberazione femminili a cui Mieli fu sempre molto legato (tra le quali in particolare l'avvocata e saggista Lia Cigarini).
Nell'ottobre del 1972, alla vigilia di un incontro organizzato tra omosessuali e femministe nella sede della rivista Re Nudo e risolto in una baraonda di interventi e recriminazioni, secondo quanto poi riportato nel romanzo autobiografico Il risveglio dei Faraoni (p. 68), Mario avrebbe avuto un duro scontro con il padre, al quale aveva detto apertamente di essere gay, scelta ineludibile vista la notorietà che andava acquistando in città e sui media.
A quei tempi Mieli aveva già costruito, su una figura esile e quasi efebica, il suo particolarissimo stile, che combinava abiti maschili di pregio ma démodé e capi da donna, accessori e trucco femminili, capelli ricci cotonati, gioielli di famiglia, eccessi da giullare e retorica di un fine intellettuale. Di letture e conoscenze inconsuete per un ragazzo della sua età, espresse subito una rara capacità di interpretazione della realtà, come mostrano gli articoli firmati, ricorrendo anche al nom de plume Mario Rossi, durante i primi anni del Fuori!. Già nel settembre 1972 era lui che, mentre guardava il lettore da un fotografia che lo ritraeva in agosto a Parigi «in casa di compagni del F.H.A.R.», apriva con l'editoriale Per la critica della questione omosessuale il confronto con l'obiettivo di dare al nascente movimento una teoria politica che lo sostenesse e legittimasse. Nel testo, un saggio di filosofia politica straordinariamente denso, un Mieli appena ventenne saldava strettamente la liberazione degli omosessuali alla sovversione del sistema capitalistico. Altrettanto acuto e per certi aspetti profetico rispetto alla capacità del mercato di inglobare e mettere a profitto l'estetica gay fu l'articolo I radical-chic e lo chic radicale (II, 1973, 7, pp. 16-17) dove argomentava anche la sublimazione dell'omoerotismo tra gli esponenti delle sinistre. L'anno seguente, in Dirompenza politica della questione omosessuale (III, 1974, 12, pp. 46-50) espose uno dei pilastri della sua teoria politica, il ruolo rivoluzionario che gli omosessuali avrebbero nel processo di edificazione del «regno della libertà» (di hegeliana e marxiana memoria) a patto, però, che essi sappiano condurre la critica tanto contro il capitalismo, accanto ai proletari, quanto al fallocentrismo, a fianco delle femministe e ad entrambi questi soggetti politici sappiano insegnare la critica al sistema eterosessuale. È emblematico delle posizioni eterodosse di Mieli, anche all'interno del movimento omosessuale italiano, che questi suoi contributi siano stati gli unici pubblicati sulla rivista ad essere preceduti da un 'cappello' redazionale in cui si prendevano le distanze dai suoi argomenti, ritenuti da alcuni troppo drastici e irriguardosi nei confronti della sinistra, istituzionale ed extraparlamentare (si veda ad esempio ivi, p. 46).
Poco comune in quegli anni fu anche la spiccata sensibilità che Mieli mostrò verso la scena internazionale, favorito dalla conoscenza delle lingue (francese e inglese) e dal clima familiare, cosmopolita e culturalmente stimolante, nel quale era cresciuto. Oltre a ritagliarsi il ruolo di animatore e provocatore del dibattito teorico, nel triennio 1972-74 sulle pagine di Fuori! firmò accurati resoconti dei suoi viaggi all'estero (Marocco, Londra, Amsterdam, Parigi, Berlino), molti dei quali furono occasioni per incontrare Fassoni. Nel racconto scritto a quattro mani con il suo compagno di viaggio e amante, Marocco: miraggio omosessuale (I, 1972, 4, pp. 9-10) raccontò la delusione provata visitando Marrakech ad agosto, città spacciata come «un paradiso omosessuale», «miraggio freak» e «meta degli americani del dissenso» e scoperta invece come «un involucro mercificante di menzogne», profondamente omofoba e lacerata dalle differenze sociali e tra i sessi. Ancora più duro, e anticipatore di temi che sarebbero stati apertamente discussi nelle comunità omosessuali (e successivamente in quelle queer) solo trent'anni dopo, il colpo che i due viaggiatori assestarono al mito di Casablanca come capitale mondiale del cambio di sesso, guadagnato grazie alle operazioni condotte sin dalla fine degli anni Cinquanta nella clinica del medico francese George Burou. Mieli e Fassoni presero di mira non solo gli affari milionari prodotti dal mercato degli interventi chirurgici, ma anche l'abbaglio che stava dietro la loro domanda. In sostanza, i cambiamenti di sesso erano giudicati una resa alla cultura patriarcale e maschilista: solo per integrarsi in questa, tra quanti non interpretavano «lo stereotipo di virilità da circo propagandata dal Capitale» c'erano quelli che piuttosto che sostenere la propria inadeguatezza al modello di maschio dominante cedevano «volontariamente la propria sessualità maschile» e compravano a Casablanca la trasformazione di se stessi nello stereotipo della femminilità, magari per finire «sul palcoscenico di Madame Arthur o del Carousel» (p. 9; il riferimento era ai due celebri cabaret di Parigi che negli anni Cinquanta e Sessanta erano diventati il tempio dello spettacolo en travesti). Su questi stessi temi, e di nuovo in compagnia di Fassoni, tornò qualche mese dopo a scrivere da Londra, in una corrispondenza sulla scena omosessuale della città (London Gay Liberation Front, Angry Brigade, Piume & Pailettes, I, 1972, 5, pp. 5-6). Seppur con un'angolazione diversa, ma anche in questo testo Mieli si concentrava sulla costruzione sociale e ideologica della frattura tra maschile e femminile e guardava ammirato i militanti del GLF che usavano il travestitismo come pratica politica, «per manifestare contro la polarità dei sessi […] e per sbizzarrirsi nel gioco fantastico della distruzione dei ruoli» (ibid.).
Dopo Londra, nella primavera del 1973, fu la volta di un soggiorno a Parigi: dove, raggiunto da Fassoni, insieme si immersero nella comunità gay cittadina. Se l'io narrante de Il risveglio dei faraoni passò il tempo parigino tra feste, acidi, cene, mostre, sesso, finendo per ammettere che «fu un mese di débauche» (Mieli, 1994, p. 71), il Mieli militante si occupò, invece, di restituire la dimensione politica del movimento gay parigino, scrivendo un pezzo laconicamente intitolato Paris-Fhar (II, 1973, 10, p. 16). Nel corso del successivo anno e mezzo alternò frequentemente periodi a Milano, in cui non mancava di dare esami con ottimi voti, visite a Lora e Montecarlo, dove i suoi genitori soggiornavano, a puntate all'estero, per lo più in compagnia di Fassoni e di altri omosessuali italiani alla ricerca di città più accoglienti e stimolanti. A giugno, ad esempio, si diresse a Berlino, in occasione di un congresso internazionale gay, non lesinando neanche un tentativo di incursione al di là del muro (cfr. L'omosessualità scavalca il muro, II, 1973, 11, pp. 11-13). Dopo complicati mesi in famiglia, nella primavera del 1974 tornò nuovamente a Londra, a fare incetta di riunioni, feste, happenings, droghe, saune, incontri sessuali, calato in una quotidianità sprezzante delle convenzioni e delle regole che nel racconto di questa esperienza fatto nel suo romanzo autobiografico, gli costò anche un arresto per il furto di due paia di pantaloni (Mieli, 1994, p. 83).
Nel frattempo continuò a coltivare un ruolo di primo piano sulla scena italiana e nel corso del primavera-estate 1974 guidò la scissione del gruppo milanese dal Fuori! nazionale che a maggio si era ufficialmente federato al Partito radicale. Era, questo, l'esito di un processo già iniziato l'anno precedente e che nelle intenzioni di Pezzana, che ne fu il principale artefice, doveva garantire al movimento omosessuale una solida e capillare struttura organizzativa a cui appoggiarsi e la saldatura della lotta per i diritti degli omosessuali a quella più generale per i diritti civili, che in quegli anni (soprattutto con divorzio e aborto) stava acquisendo visibilità inedita. Mieli, che d'altra parte aveva già dato prova della radicalità delle sue posizioni e della convinzione con cui iscriveva la questione omosessuale nell'orizzonte comunista, consumò la rottura con il gruppo dirigente, accusato di riformismo e di occhieggiare alla società e rispettabilità borghese. Diede dunque vita al Fuori-autonomo, che dal canto suo individuava come interlocutori privilegiati i gruppi della sinistra extraparlamentare e che, come ha sintetizzato Gianni Rossi Barilli, fu il capostipite di una folta schiera di piccoli gruppi di omosessuali che sarebbero fioriti a ridosso del movimento del 1977 (1999, p. 73). Oltre che un'estate di scelte politiche importanti, quella del 1974, passata tra Milano, la Calabria, Lora, fu per Mario un'estate di studio e, alla ripresa, di esami universitari. A novembre, un nuovo viaggio a Londra si rivelò decisivo.
Fu durante questo animato soggiorno nella capitale britannica che iniziò a interessarsi seriamente di psicanalisi e scoprì la coprofagia, in un periodo di crescente irrequietezza che lo condusse anche ad un nuovo arresto, a dicembre, quando seminudo e allucinato fu trovato ad aggirarsi nell'aeroporto di Heathrow in cerca di un poliziotto con cui fare sesso. Condotto prima in carcere e poi in una struttura psichiatrica (una sezione del Marlborough Day hospital), assistito dai familiari venuti dall'Italia in attesa del processo, dopo la condanna ad una multa venne ricondotto a Milano e anche qui ricoverato in una clinica psichiatrica, dove rimase per oltre un mese. Una volta dimesso, anche dietro consiglio dello psichiatra che lo aveva in cura, riprese la sua vita e i genitori lo sistemarono in un appartamento autonomo. L'anno seguente trascorse tra gli ultimi esami, viaggi ad Amsterdam e di nuovo a Londra e la preparazione della tesi in filosofia morale, seguito dal professor Franco Fergnani. Si laureò con lode il 27 febbraio 1976; poco dopo lasciò l'appartamento che gli avevano trovato i genitori e interruppe la terapia psichiatrica.
Il 1976 proseguì a ritmo serrato per Mieli: ad aprile, icona ormai della corrente eversiva del movimento gay, prese parte a Roma al quinto congresso nazionale del Fuori!, dove si celebrò la definitiva polverizzazione del Fronte unitario. A Pezzana che si preparava alle imminenti elezioni (giugno 1976) e «esaltava l'ingresso nell'agone elettorale, Mario Mieli illustrava la via transessuale, esoterica e schizofrenica alla rivoluzione; a chi desiderava comunicare un'immagine seria e omologata del movimento si rispondeva urlando “El pueblo unito è meglio travestito!”» (Rossi Barilli, 1999, p. 81). Dal tavolo dei relatori, Mieli prese infatti la parola definendosi transessuale e nominando anche la sua esperienza psichiatrica («sono stato definito uno schizofrenico paranoide, sono stato in ospedale, in manicomio per questo motivo»); intimamente fedele alla pratica del rovesciamento del personale in politico, aveva poi parlato dei nessi tra la condizione di omosessuale e quella di schizofrenico (si veda la trascrizione del suo intervento in 5° congresso nazionale del “Fuori!”, in Fuori!, V, 1976, 16, pp. 16 s.).
Il 1976, tuttavia, fu anche l'anno in cui segnando una distanza ancora maggiore dalle forme e dai luoghi della militanza politica canonica, che si stavano riproducendo anche nelle formazioni della sinistra extraparlamentare in cui molti omosessuali militarono nel ritorno di fiamma 1976-77, Mieli scelse nuovi mezzi espressivi e di lavoro su se stesso. Durante i primi mesi dell'anno fu tra i fondatori (con buona parte dell'ex Fuori-autonomo) dei Collettivi omosessuali milanesi (COM), sigla che raccoglieva una galassia di piccole esperienze che lavoravano molto sull'autocoscienza. Tra le altre cose i COM, dopo l'estate, occuparono un vecchio edificio del centro storico milanese, a via Morigi, che anche Mieli frequentò intensamente. Ispirandosi poi alla scena nordeuropea, dove il teatro di strada faceva parte dello strumentario del movimento gay già da tempo, diversi elementi dei COM, tra cui Mieli, Levi, Mario Rovere (fonte inesauribile di personaggi irresistibili) si raccolsero in un collettivo teatrale, Nostra signora dei fiori (che mutuava esplicitamente il nome dall'opera di Jean Genet). A marzo dello stesso anno andò in scena per la prima volta La traviata Norma, ovvero: Vaffanculo … ebbene si!, poi replicato molte volte a Milano e in altre città, tra cui Roma e Firenze e ampiamente recensito dalla stampa. Con l'ausilio di musiche che spaziavano da un'aria del Macbeth alla parodia di Dio è morto di Guccini, hit del periodo, passando per gli stornelli romani e la rivisitazione del Tango delle capinere, in scena salirono 17 gay, travestiti, che fingevano di essere il pubblico venuto ad assistere ad uno spettacolo di avanguardia di eterosessuali e che da subito forzavano gli spettatori a giocare la loro parte.
La performance fu una riuscita satira che metteva a nudo e ribaltava i più diffusi cliché e pregiudizi sugli omosessuali («Anche io ho avuto un amico eterosessuale: una cara persona»), ma che non risparmiò neanche il compromesso storico e la strada dell'integrazione intrapresa da parte del movimento («Certo però che [gli eterosessuali] all'inizio avevano una bella carica dirompente. Pensate ad Adamo ed Eva … Poi è arrivato il compromesso storico e ha compromesso pure loro»), e ammiccava al femminismo («Enzino: Pare che gli eterosessuali vivano a coppie. Quasi sempre lui lavora e lei sta a casa. E lo serve per tutta la vita.... […] Gimmy: Io però ho saputo che le donne hanno cominciato a ribellarsi. Ma i maschi non vogliono mollare il loro potere. Bambola: Dio che guerra fratricida!» (Collettivo teatrale Nostra Signora dei Fiori, La traviata Norma, ovvero: Vaffanculo … ebbene si!, Milano 1977, pp. 6, 7, 12). Già nell'estate il gruppo teatrale si sciolse, ma una sua parte, tra cui Mieli, formò la compagnia Immondella e gli Elusivi, che si esibì prima al teatro Arsenale di Milano e poi, a dicembre 1977, al primo festival di teatro e cinema gay di Parma, con la pièce Questo spettacolo non s'ha da fare: andate all'inferno!, senza riscuotere però il successo della prima.
Fu alla vigilia dell'estate del 1976, inoltre, che Mieli compì uno dei suoi gesti più noti, miscela di provocazione, ironia, intelligenza politica. A cavallo tra maggio e giugno si svolse al Parco Lambro di Milano uno dei più difficili, e ultimo per quel tornante, festival del proletariato giovanile organizzati dal mensile di 'controinformazione' Re Nudo. Tra le cento e duecentomila persone parteciparono alla Woodstock italiana che, nelle intenzioni degli organizzatori, doveva fondere musica e impegno politico. I COM, come diversi gruppi femministi, decisero di prendervi parte. Gesti di aperta ostilità e atti di violenza, tuttavia, vennero da subito indirizzati tanto verso le femministe quanto gli omosessuali: il banchetto informativo dei COM venne rovesciato e Cattaneo, salito sul palco a cantare Darling (testo di Mieli) venne sepolto da una selva di fischi e insulti dopo aver dichiarato la propria omosessualità. Il giorno successivo, Mieli salì sul palco e prese il microfono. Canottiera e pantalone bianco, circondato dai suoi compagni (tra cui lo stesso Cattaneo), chiarì: «non ce ne andremo. Vuol dire che da oggi non batteremo soltanto, ma combatteremo». Lasciò la scena lanciando slogan di grande impatto, tra cui «Lotta dura contro natura».
Negli stessi mesi in cui si cimentava con il teatro e le azioni pubbliche, che frequentava il centro occupato di via Morigi, Mieli lavorò alla rielaborazione della sua tesi di laurea, al cui impianto aggiunse elementi biografici, compresa l'esperienza psichiatrica, nonché le attente osservazioni delle comunità gay accumulate nei soggiorni all'estero. Alla vigilia dell'estate del 1977 uscì il libro che lo fece considerare, all'estero e tardivamente, il principale teorico del movimento gay italiano e, secondo alcuni, l'apripista degli studi queer: Elementi di critica omosessuale, con la prestigiosa casa editrice Einaudi. Riprendendo e approfondendo suggestioni che aveva coltivato sin dai primi articoli comparsi su Fuori! e in accordo alla tecnica del rovesciamento delle categorie già sperimentata nella sua carriera teatrale, in questo lavoro chiamava in soccorso il concetto freudiano di polimorfismo sessuale originario, la «disposizione erotica polimorfa e “indifferenziata” infantile, che la società reprime e che, nella vita adulta, ogni essere umano reca in sé allo stato di latenza oppure confinata negli abissi dell'inconscio sotto il giogo della rimozione» (Mieli, 1977, p. 14). Nella sua visione, dunque, l'eterosessualità non è affatto naturale e normale, ma il prodotto storico della «educastrazione», di un processo culturale e sociale che inibisce «la pluralità delle tendenze dell'Eros e l'ermafroditismo originario e profondo di ognuno» (ibid., p. 8). Se l'omosessualità, poi, è stata storicamente eretta a paradigma del perverso, nell'opera di Mieli diventa allora anche la condizione da cui partire e da conquistare nel cammino verso l'emancipazione umana. Questa, a sua volta, coincide ad un tempo tanto con la transessualità (nel senso del polimorfismo sessuale da riconquistare), quanto con il comunismo, vale a dire è «gaio comunismo», secondo la felice formula da lui coniata. Figlio del suo tempo, infatti, nell'ultima parte del suo libro Mieli inscriveva il percorso di liberazione sessuale nel processo di smantellamento del sistema capitalistico, dal momento che a sorreggere quest'ultimo era in fin dei conti «la struttura maschilista-eterosessuale della società e la repressione-sfruttamento dell'Eros» (ibid., p. 237). Se questi sono gli aspetti della teoria di Mieli più ripresi e digeriti nel dibattito politico e filosofico a ridosso e dopo la pubblicazione di Elementi, ve ne sono altri talmente distonici nei riguardi della cultura e della morale occidentale da essere stati decisamente lasciati in ombra. Nel corso del libro sono infatti poste in posizione strategica, tra le vittime dell'educastrazione e quindi tra le pratiche da recuperare perché utili allo svelamento del nostro io profondo, anche esperienze come la coprofilia, l'urofilia, il sadismo, il masochismo, la pedofilia; pratiche che tanto più sono demonizzate dalla società, tanto più devono essere recuperate quali veri e propri centri di resistenza. Allo stesso tempo è ravvisabile in questo testo la centralità che Mieli affidò allo stato di alterazione psichica quale mezzo per aprire la percezione oltre la norma. Il riferimento, a partire dalla sua esperienza, è a nevrosi, follia, paranoia, delirio e, soprattutto, alla schizofrenia, anch'essa come l'omosessualità carattere latente in ogni essere umano e mezzo privilegiato per accedere a una conoscenza superiore delle cose e dei loro nessi e per «la (ri)scoperta di quella parte di noi che Jung definirebbe “Anima” oppure “Animus”» (ibid., p. 173). Inoltre, per Mieli l'omosessualità sarebbe anche la condizione che permette di raggiungere una dimensione di conoscenza più profonda, simile alla 'follia': «La paura dell’omosessualità che distingue l’homo normalis è anche terrore della “follia” (terrore di se stesso, del proprio profondo). Così, la liberazione omosessuale si pone davvero come ponte verso una dimensione decisamente altra: i francesi, che chiamano folles le checche, non esagerano» (ibid., p. 166).
Nonostante la densità dei contenuti e la sapienza di cui faceva mostra, Elementi di critica omosessuale venne facilmente recepito negli ambienti omosessuali grazie ad una scrittura brillante, arricchita da aneddoti, boutades e riferimenti a personaggi e luoghi degli ambienti della sinistra e omosessuali del tempo, e favorita dal dialogo costante e personale che l'autore intrattenne con il lettore. Pubblicato nell'arco di una manciata di anni anche all'estero (in spagnolo nel 1979, l'anno dopo in inglese e nel 1982 in olandese), anche se in Italia il libro non ebbe grande successo di critica e vendite, bastò tuttavia a consolidare l'immagine di Mieli come uno degli esponenti di punta degli ambienti omosessuali.
Dopo la sua pubblicazione Mieli divenne l'interlocutore ideale – personaggio di colore, ma al tempo stesso un intellettuale con grandi capacità retoriche – per TV e rotocalchi, ormai inevitabilmente costrette a fare i conti con l'omosessualità, soprattutto giovanile.
Trascorsa l'estate tra Amsterdam e Parigi, e aggiungendo alla passione per la coprofilia quella per l'alchimia, già in settembre il settimanale Panorama lo offriva ai lettori come uno dei sette personaggi chiave di quell'autunno, affibbiandogli la corona di 'profeta del sesso futuro' e presentandolo come «l'omosessuale, il gay più discusso, più celebre e aggressivo d'Italia in questo momento» (L. Santin, Sette casi per l'autunno, in Panorama, 20 settembre 1977, pp. 64-73, 71). D'altra parte passarono pochi giorni e nuovi accadimenti rinforzarono l'immagine di un Mieli provocatore, sfrenato, che non faceva sconti a nessuno nel cammino verso il «gaio comunismo», meno che mai a quei segmenti della sinistra extraparlamentare che avrebbe voluto suoi compagni di lotta e che invece nei fuochi, gli ultimi, del movimento del 1977 scopriva una volta di più arrendevoli e troppo cauti. Arrivato in allegra compagnia da Milano a Bologna per prendere parte al convegno contro la repressione organizzato dal movimento studentesco (22-24 settembre) – durante il quale la città si riempì per tre giorni di assemblee, cortei, happening, spettacoli – Mieli diede una delle più memorabili prove di sé proprio sul finale. A corteo concluso e confluito pacificamente in piazza VIII Agosto, già insoddisfatto perché lo spezzone degli omosessuali era stato relegato in coda, eluse il servizio d'ordine, salì sul palco e di fronte a 50.000 persone sottrasse il microfono a Dario Fo, che si accingeva a concludere la convention. Vestito con una gonna di raso gialla, golfino verde, calzette rosse («come una contadinella inerme» dirà lui stesso in una lettera resoconto, Care checcacce del Lambda, in Lambda, II, 1977, 8, p. 7), invitò in modo colorito gli astanti a non rimanere «come pecore» in quella piazza a sentire 'il solito' Fo, ma a recarsi nella vicina Piazza Maggiore che nelle giornate precedenti era stata luogo di raduno e festa dei partecipanti e che in quel tardo pomeriggio era stata loro interdetta, da poliziotti in tenuta antisommossa, per permettere al vescovo di celebrare la messa per il Congresso eucaristico (in corso a Pescara). Troppo estremo persino per quella piazza, Mieli fu soverchiato da grida e fischi, fino a quando, belando, girò le spalle e si alzò la gonna, mostrando il fondo schiena ad una folla ormai in escandescenze.
Due mesi dopo, fu uno degli ospiti d'onore della rubrica RAI Come mai ? dedicata ai giovani, proprio per discutere del libro, dalla cui immagine di copertina prendeva il via il dialogo in studio. Seduto su una sedia, vistosamente truccato e agghindato, mentre polemizzava con l'articolo di Panorama che lo aveva a suo dire presentato come una «starlette del porno», Mieli espose le sue convinzioni «che ogni uomo è anche donna e che ogni donna è anche uomo e che esiste una pluralità di tendenze nell'eros» (27 novembre 1977) e parlò dei rapporti tra il movimento omosessuale e quello femminista.
Se il biennio 1976-77 fu decisivo nella biografia di Mieli, al massimo della notorietà e capace di essere presente con eguale verve in ambito teorico, sulla scena politica e in quella teatrale, fu proprio in quegli anni che la sua utopia rivoluzionaria si scontrò con le strade imboccate dai movimenti, sempre più interpreti di una cultura politica lontana da quel motto «il personale è politico» che per Mieli era l'unico modo per attuare un cambiamento radicale della società.
Il 1978 fu per lui un anno tormentato, imbrigliato in un amore difficile con un ragazzo più giovane e durante il quale si eclissò progressivamente dai luoghi del movimento, pur continuando a perlustrare nuove strade per promuovere la presenza degli omosessuali nella società e il dialogo tra questi e la sinistra, meglio ancora il suo amato proletariato. Rispose ad entrambe queste esigenze la sua partecipazione a Diversi in periferia di Enzo Di Calogero e Nereo Rapetti, andato in onda il 27 maggio sulla RAI nell'ambito del programma di approfondimento Tabù tabù, nel quale Mieli si presentava in tuta bianca da operaio, ma con i tacchi ai piedi e truccato, mentre ai cancelli dell'Alfa Romeo intervistava e dialogava con gli operai su costumi e repressione sessuale.
Si trattò, ad ogni modo, del canto del cigno del Mieli militante, nel senso tradizionale del termine.
Gli anni successivi, fino alla sua morte, si svolsero su un registro diverso, a tratti poco comprensibile. Sembrò dominare, di pari passo alla delusione per il movimento omosessuale e della sinistra extraparlamentare, la volontà d'intraprendere una via solitaria nella ricerca dell'emancipazione. Mieli si attribuì in diverse sedi il ruolo di messia, di nuovo Cristo, e se prima si rivolgeva a soggetti collettivi, nell'ultimo periodo parve scegliere una comunicazione più personale. Deluso dalla politica, gli sembrò che l'unica «possibilità di liberare a fondo l'essere umano, e quindi la sessualità, [fosse] la strada alchemica», citando come suo ispiratore Jung (Cossolo, 1979, p. 22). «L'utopia di sé descritta in Elementi approda così alla magia mistica, in cui allucinazione e realtà si fondono, e ironia e follia sono impossibili da separare» (Rossi Barilli, 2006, p. 165). Lavorò, sicuramente già dal 1979 e per diversi anni, alla scrittura del controverso Il risveglio dei Faraoni (Milano 1994) le cui bozze furono poi pubblicate per iniziativa di alcuni amici e sotto l'egida del Centro iniziativa Luca Rossi. Del testo, che riproduce volutamente un viaggio delirante nella vita del protagonista, Mieli disse esplicitamente che si trattava «di un romanzo autobiografico che spiega alcune scoperte che ho fatto lungo la strada alchemica […] Racconta i più importanti incontri con uomini, omosessuali di alta spiritualità che hanno reso più felice, più rosea e più seria la mia vita. Si tratta dunque della storia di una checchina borghese che a poco a poco diventa alchimista» (Cossolo, 1979, p. 22). Il romanzo conduce talvolta il lettore in una dimensione allucinata, infarcita di esoterismo, nella quale è difficile separare fatti e suggestioni; al suo interno, ad ogni modo, è dominante il rapporto difficile tra il protagonista e il padre, e questo ha fatto sì che dopo la morte dell'autore lievitasse il valore testimoniale ad esso attribuito.
Gli stessi contenuti del romanzo, anche se in forma di videoarte, confluirono in Non è mai troppo ovvio (1980), dove davanti all'obiettivo di una cinepresa Super8 Mieli si travestiva e truccava da donna con cura, si recava poi in bagno per eseguire la rituale pratica coprofagica e, infine, dopo essersi lavato i denti, indossava un mantello nero e si recava davanti al colonnato della Basilica di San Pietro. Calcò di nuovo le scene all’inizio della primavera 1981 con il monologo Ciò detto, passo oltre, presentato a Milano. Performance che starebbe a indicare una seconda fase del suo teatro, caratterizzata dal passaggio dalla coralità del teatro militante della prima ora alla solitudine in scena, ma soprattutto «dalla commedia al dramma, dall'ironia al grottesco, dall'orgia alla tragedia» (F.P. Del Re, La performance totale di Maria M., in Accolla - Contieri, 2013, p. 85). L'opera è nettamente divisa in due parti, nella prima Mieli è in scena vestito da uomo, anche se parla di sé al femminile, e si trova nel suo appartamento, dal quale racconta le incomprensioni con gli altri coinquilini, in particolare con quelli del terzo piano, urtati e disturbati dalle sue abitudini e frequentazioni. Per inciso è da notare, ulteriore indizio di una cortocircuitazione di contenuti e testi che caratterizza questa fase, che gran parte di questo monologo si ritrova ne Il risveglio dei Faraoni (p. 288). Nella seconda parte, in abiti femminili, mette in scena un lamento rabbioso nei confronti di una figura maschile, con continui riferimenti al suicidio. Tratto comune del monologo è il continuo scivolamento nel delirio, nell'assurdo, tra riferimenti impliciti (a fatti e persone della sua vita) e rimandi mistici (al Giudizio universale, a Cristo).
L'ultima produzione con la quale si misurò fu la sceneggiatura per il film Una favola spinta di Guido Tosi, prodotto dalla sede RAI della Lombardia e pensato come il primo di tre lavori dedicati alla città di Milano. Il film, andato in onda una sola volta nel giugno 1984, per molti aspetti evoca Il risveglio dei Faraoni, con il quale condivide le stesse atmosfere allucinate e morbose, ma anche alcuni precisi riferimenti a scene e luoghi della vita di Mieli (Montecarlo, Milano) e ad una relazione molto complessa con la famiglia, in particolare con la figura paterna. Girato quasi tutto in notturna, il film ruota intorno ad un ragazzo (la cui somiglianza con Mieli è innegabile), fatto rapire e 'correggere' (lo vediamo tra l'altro legato nudo ad un letto di contenzione) dal padre, ricco industriale, intenzionato a farne il rampollo del suo impero a dispetto delle inclinazioni del giovane.
In una intervista amatoriale girata a casa del regista nel Natale 1982, in compagnia anche dell'attrice Daniela Piperno, coprotagonista del film, Mieli appariva sereno e soddisfatto del lavoro realizzato, così come della prossima uscita de Il risveglio dei Faraoni; soprattutto parlava con fiducia dell'imminente arrivo di una fase aurea per l'umanità.
Qualche mese dopo, tuttavia, ritirò il consenso alla pubblicazione del libro presso Einaudi, dove esisteva ormai allo stato di bozze.
Il 12 marzo 1983, si suicidò poco prima di compiere 31 anni nel suo appartamento di via Guerrazzi a Milano.
A giugno, il Coordinamento degli omosessuali romani decise di intitolargli il Circolo culturale in cui si era appena costituito per rafforzarsi istituzionalmente.
Milano, Ufficio ricerche anagrafiche del Comune; Università degli studi di Milano, Ufficio Statistiche; Bologna, Archivio Expanded Music, riprese video Cineamatori militanti, Convegno contro la repressione Bologna 1977; Roma, Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, Centro di documentazione Marco Sanna; Roma, Centro sperimentale di cinematografia. Cineteca nazionale, Alberto Grifi, Il festival del proletariato giovanile al Parco Lambro, 1976 (video).
F. Cossolo, M. M. ed una "Ultima conversazione” con Felix Cossolo, in Lambda, IV, 1979, 24, p. 22; D. Quarta, La traviata Norma. Espressioni formali di una minoranza nel movimento del ’77, in RIDS (Romansk Instituts duplikerede småskrifter), 81 (1981), pp. 3-26; An., Asfissiato M. M. Morto un leader del Fuori, in La Repubblica, 15 marzo 1983; An., Suicida a Milano M., artista contro la violenza, in La Stampa, 16 marzo 1983; S. Casi, L'omosessualità e il suo doppio. Il teatro di M. M., in Rivista di sessuologia, XVI (1992), 2, pp. 158-168; G. Rossi Barilli, Il movimento gay in Italia, Milano 1999; G. Silvestri, Oro Eros Armonia. L'ultimo M. M., Roma 2002; G. Rossi Barilli, M. M., in Gay. La guida italiana in 150 voci, Milano 2006, pp. 163 s.; A. Pezzana, Un omosessuale normale, Roma 2011, in part. pp. 82-86; A. Pini, Quando eravamo froci: gli omosessuali nell'Italia di una volta, Milano 2011, ad ind.; M. M. trent'anni dopo, a cura di D. Accolla - A. Contieri, Roma, 2013.
Per una lettura critica dell'opera di Mieli, e per le risonanze che avrebbe avuti con gli studi queer si vedano – oltre ai saggi di Teresa De Lauretis, Simonetta Spinelli, Tim Dean, Christopher Lane, David Jacobson, Claude Rabant in appendice all'ed. 2002 di Elementi di critica omosessuale – anche: C. Loiacono, La gaia scienza. La critica omosessuale di M. M., in Zapruder, 13 (2007), pp. 96-103; M. Prearo, Le radici rimosse della queer theory. Una genealogia da ricostruire, in Genesis, XI (2012), 1-2, pp. 95-114.
La sorella Paola sta lavorando alla riedizione dei suoi testi e già nel 2002 ha curato, con Rossi Barilli, quella di Elementi di critica omosessuale, uscita per l'editore Feltrinelli.
Ringrazio Enrico Salvatori, curatore del focus dedicato a Mieli nel corso dell'edizione 2012 del Biografilm festival (Bologna, 8-18 giugno) per aver condiviso le sue ricerche ed avermi permesso di visionare materiali video di difficile reperibilità.