MOSCHI, Mario
MOSCHI, Mario. – Nacque il 6 maggio 1896 a Val di Rose, piccola frazione di Lastra a Signa, presso Firenze, da Galileo, impresario edile, e da Antonia Frosini.
Fu lo scultore Oreste Calzolari, all’epoca attivo presso la Manifattura di terrecotte di Signa, a scoprire il suo precoce talento, a fornirgli i primi rudimenti sulla tecnica della scultura, infine a convincere la famiglia a fargli intraprendere studi artistici. Così, dal 1910 al 1915, il giovane frequentò l’Accademia di belle arti di Firenze, dove gli insegnamenti di Augusto Rivalta, Emilio Zocchi e Domenico Trentacoste rafforzarono in lui l’amore per le forme armoniose e nitide della tradizione.
Sino alla fine degli anni Venti, la produzione di Moschi è improntata a un marcato eclettismo, dettato forse dal suo temperamento impulsivo e dalla frequentazione dell’ambiente culturale fiorentino dominato dalle personalità, eclettiche, di Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, Ardengo Soffici e Ottone Rosai. Una significativa testimonianza di questa fase è offerta dal confronto fra alcune opere eseguite in uno stretto giro di anni: il Ritratto della madre (Firenze, Galleria d’arte moderna) e il Ritratto della sorella (Firenze, collezione privata), risalenti al 1915-16, in cui la trattazione tenerissima della cera è memore di Medardo Rosso; la statua Il seminatore (perduta), che nel 1916 valse all’artista la vittoria al concorso Baruzzi di Bologna e che si presentava come una salda fusione di realtà e bellezza ispirata alla poetica sociale dello scultore belga Constantin Meunier; infine, il coevo gruppo del Soldato austriaco che calpesta i cadaveri dei soldati italiani (perduto), modellato durante la leva, che, per assolvere meglio ai fini della propaganda bellica, si richiamava a effetti di crudo verismo.
Negli anni immediatamente seguenti al primo conflitto mondiale, Moschi aprì a Firenze il suo primo studio e iniziò a dedicarsi all’arte squisitamente italiana della medaglia che coltivò con passione per tutta la vita, perché essa rappresentava un modo ulteriore di perseguire la tradizione, anche attraverso la celebrazione dei suoi più noti esponenti: tra gli esiti in questo senso più significativi, si ricordano le medaglie per i centenari di Dante (1921), Niccolò Machiavelli (1927), Lorenzo il Magnifico (1949) e Michelangelo (1964).
Nel 1923 – appena rientrato a Firenze da Nizza, dove grazie al maestro Trentacoste aveva diretto per un anno una fabbrica di marmi artificiali – l’artista fu tra i più apprezzati partecipanti alla prova di primo grado del concorso per il Monumento alla madre italiana, destinato alla cappella Capponi nella chiesa di S. Croce. Il bozzetto presentato in quest’occasione (perduto) e I giochi dell’amore e il Il nido, opere (perdute) con le quali, nel 1924, espose per la prima volta alla Biennale di Venezia, rivelano come l’iniziale eclettismo del suo stile si fosse risolto in un peculiare sincretismo, capace di accogliere spunti molto vari, da Michelangelo all’arcaismo di Émile Bourdelle e Ivan Meštrović, allora in voga. Misurato interprete della monumentomania celebrativa della Grande Guerra che dominò gli anni Venti, eseguì, tra gli altri, il Monumento ai caduti di Rifredi (1925-1927) e quello ai Caduti di Poggio a Caiano (1928-30).
Nel Monumento ai caduti di Rifredi – che per primo determinò il riconoscimento pubblico dell’artista e pare suscitasse il plauso di Libero Andreotti – i volumi delle figure sono più saldi e distesi e gli spunti (stilistici, compositivi e formali), ancora vari, non più impiegati come motivi cristallizzati e riconoscibili, appaiono frutto di una lezione infine meditata. Ma soprattutto nel Monumento ai caduti di Poggio a Caiano l’artista supera la sua maniera sincretica e approda a quel ‘realismo architettonico’ che sarà la cifra peculiare del suo stile maturo: esso rappresentò per lui il personalissimo esito della difficile ricerca del connubio fra tradizione e modernità, che lo accomunava al critico Ugo Ojetti con il quale era in contatto e che, non a caso, ebbe parole di lode per quest’opera, nei cui rilievi tutto appare subordinato a una superiore volontà architettonico-decorativa e armonizzato in virtù di un modellato carezzato e teso, reinterpretazione in chiave moderna della lezione di Jacopo della Quercia.
Verso la fine del terzo decennio, Moschi iniziò la sua proficua collaborazione con la città di Arezzo, dove fra il 1928 e il 1939 eseguì un nutrito gruppo di opere su commissione del podestà Pier Ludovico Occhini, a cominciare da alcune sculture d’ispirazione déco per il parco di villa La striscia, dove risiedeva; seguirono, fra le altre, il Monumento ai caduti del liceo Petrarca, modellato in stucco nel 1936, e successivamente convertito in bronzo per interessamento del ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai; la neoquattrocentesca Madonna del canarino, rilievo marmoreo per il tabernacolo di via della Minerva; due grandi tondi a rilievo in gesso con le effigi di Vittorio Emanuele III e di Benito Mussolini per il foro Boario (Arezzo, Archivio storico comunale), che testimoniano le rinomate capacità dell’artista nel campo della medaglia.
Negli anni Trenta, s’intensificò la partecipazione di Moschi a mostre nazionali (anche in veste di promotore e organizzatore) e internazionali. Sul fronte della produzione scultorea, al di là di ogni retorica di regime, l’artista privilegiò i temi sportivi, affrontando i quali ebbe modo di perfezionare la tendenza architettonica del suo stile, modellando i corpi degli atleti (sia in bronzetti sia in opere di grandi dimensioni) come compatte e solide architetture, esito di un’interpretazione della realtà in plastici volumi composti entro armoniosi ritmi decorativi.
Realizzò molte rappresentazioni di tennisti, tuffatori, bocciatori, tiratori di fune e calciatori, apprezzati soprattutto per il peculiare dinamismo, forse ispirato all’artista dalla consultazione delle fotocronache sportive pubblicate sui quotidiani e sulle riviste specializzate; suscitarono particolare ammirazione il Calciatore, modellato nel 1931 e poi collocato nell’ingresso alla tribuna dello stadio di Firenze, e il Calciatore (Stop in corsa), che nel 1933 venne esposto a Firenze, alla I Mostra del Sindacato nazionale fascista di belle arti e, nel 1934, alla Biennale di Venezia; la stessa opera vinse i concorsi artistici legati alle Olimpiadi di Berlino del 1936, dove fu acquistata dal governo tedesco.
Fra il quarto e il quinto decennio, quando il dibattito sull’opportunità d’inserire decorazioni pittoriche o scultoree negli edifici di nuova costruzione era vivissimo, Moschi collaborò spesso con alcuni dei più noti architetti di quegli anni – talvolta impegnati nell’elaborazione di un’interpretazione mediterranea del razionalismo – eseguendo rilievi che si distinsero per la realizzazione nei materiali più vari (marmo, laterizio, porfido, travertino), per i richiami compositivi e iconografici alla tradizione, per la studiata sintesi costruttiva, infine per la congruenza rispetto alla collocazione.
Si ricordano, a Firenze, il rilievo marmoreo con Michelangelo che dirige i lavori delle fortificazioni durante l’assedio di Firenze, eseguito nel 1935 per una delle sale d’onore nella palazzina reale alla stazione di S. Maria Novella, progettata da Giovanni Michelucci; due sovraporte per la Scuola di applicazione per la Regia Aeronautica edificata su progetto di Raffaello Fagnoni, fra il 1937 e il 1938; due grandi metope per il portale dell’Istituto agricolo coloniale per l’Africa italiana costruito a partire dal 1938, su progetto dell’ingegnere Aurelio Ghersi; infine, a Trieste, il grandioso altorilievo in pietra d’Istria rappresentante l’Allegoria del fascismo e le sanzioni, eseguito a partire dal 1939 per l’avancorpo destro dell’Università, progettata ancora da Fagnoni e da Umberto Nordio.
Nel mutato clima artistico del secondo dopoguerra, che escluse dal panorama ufficiale coloro che si erano compromessi con il regime (nel 1941 Moschi aveva ottenuto una cattedra di scultura per chiara fama, a Lucca) e che privilegiò il recupero delle avanguardie storiche e le nuove tendenze dell’astrattismo, l’artista rimase isolato, soprattutto perché volle mantenersi fedele alla tradizione. Così, mentre si facevano sempre più rare le occasioni di esporre in mostre prestigiose (al 1942 risale la sua ultima presenza, dopo quasi vent’anni ininterrotti, alla Biennale di Venezia), intensificò i suoi contatti con il più compiacente mercato statunitense (del 1947-49 sono alcuni gruppi monumentali per il Forest LawnMemorial Park di Los Angeles); inoltre, grazie all’amicizia e all’appoggio di personalità della cultura fiorentina quali Piero Bargellini e Rodolfo Siviero, vicini alla sua poetica, eseguì, quasi con spirito provocatorio verso il gusto imperante, copie di sculture del passato, fontanine e nuovi tabernacoli ricchi di allusioni alla tradizione quattrocentesca, destinati al centro storico fiorentino appena restaurato. Nel 1948 fu tra i fondatori del Gruppo Donatello, fautore di iniziative di protesta contro le arbitrarie ricostruzioni post-belliche di alcune strade di Firenze e di una mostra annuale all’aperto, il cui scopo era quello di promuovere l’arte figurativa.
Fra gli ultimi lavori si segnalano, per l’impegno monumentale e i richiami alla scultura del XV e del XVI secolo, il rilievo per l’avancorpo sinistro della facciata dell’Università di Trieste con La glorificazione del lavoro e della cultura (1956-58); la scultura raffigurante La Medicinaper l’ingresso dell’Università di Cagliari (1962), i rilievi per le porte della chiesa del Sacro Cuore di Sassari (1968); il bassorilievo bronzeo con La strage degli innocenti in memoria dell’eccidio nazista di Civitella della Chiana (Civitella della Chiana, chiesa dei Ss. Pietro e Paolo, 1969).
Morì a Firenze il 26 maggio 1971.
Fonti e Bibl.: presso gli eredi, a Firenze, si conservano il carteggio di Moschi, un ampio archivio di foto d’epoca delle sue opere e un dattiloscritto di 13 pagine, probabilmente da lui stesso redatto, fra il 1970 e il 1971, in vista di una pubblicazione monografica mai realizzata. A. Tasolini, Artisti italiani di oggi. M. M. scultore, in Rassegna illustrata italiana, febbraio 1929, pp. 13 s.; C.E. Accetti, Un classico «Stop in corsa» sul campo della Biennale veneziana, in Il calcio illustrato, 1° agosto 1934, p. 11; G. Costetti, M. M., in Illustrazione toscana e dell’Etruria, s. 2, XIII (1935), pp. 33-35; K. Schück, M. M. ed alcune sue sculture in Arezzo, Firenze, s.d. [ma 1939?]; F. Sapori, Scultura italianamoderna, Roma 1949, pp. 365-367, 464; V. Johnson, Ritratti di medaglisti contemporanei. M. M., in Italia numismatica, febbraio 1969, p. 34; S. Corsani, M. M. scultore: omaggio alla memoria dell’illustre concittadino, prefazione di A. Nocentini, Lastra a Signa, 1975; C. Sirigatti, M. M., in Artista. Critica dell’arte in Toscana, 1996, pp. 138-161; Id., A Firenze, quattro targhe ed un monumento ai caduti di M. M., in Libero. Ricerche sulla scultura del primo Novecento, X (1997), pp. 10-18; Id., M. M. L’occhio, la memoria, la mano, la sincerità, Signa 2005; Id., Nel silenzio, lo squillo della vittoria, in Artista. Critica dell’arte in Toscana, 2009, pp. 46-57.