NIZZOLI, Mario
NIZZOLI (Nizolio), Mario. – Nacque nel 1488 a Boretto, borgo nei pressi di Brescello (Reggio Emilia), da famiglia di condizione modesta.
Scarse le notizie sulla formazione, svoltasi probabilmente tra Reggio Emilia, Modena e Parma, rinomati centri di cultura umanistica. Egli stesso ricorda le assidue letture, dies noctesque,delle opere di Cicerone (Pagani, 1893, p. 558), ma non è da escludere che già negli anni giovanili si sia dedicato allo studio della filosofia. L’acquisita competenza grammaticale e retorica gli consentì di entrare nel 1522 al servizio come precettore del nobile bresciano Gianfrancesco Gambara. In questo periodo avviò un più approfondito studio dei testi ciceroniani, indagandone nei dettagli le strutture lessicali, grammaticali e retoriche. Tali riflessioni confluirono, nel 1535, nelle Observationes in M. Tullium Ciceronem, stampate, a spese di Matteo e Camillo Avogadro, nella residenza a Pratalboino di Gambara, al quale l’opera è dedicata.
Si tratta del primo lessico latino, con oltre 20.000 lemmi, costruito unicamente sulla base delle opere di Cicerone, «magister Latinae eloquentiae». La fortuna delle Observationes fu vastissima: più volte riproposte come Thesaurus Ciceronianus, ne sono note oltre 70 edizioni tra il 1535 e il 1630, tra cui quelle ampliate da Basilio Zanchi e da Celio Secondo Curione. La circolazione è attestata fino al XIX secolo, grazie all’edizione ampiamente rivista da Iacopo Facciolati, data alle stampe a Padova nel 1734 con il titolo di Apparatus Latinae eruditionis (la rassegna delle edizioni in Pagani, 1893, pp. 914-916). Con le Observationes Nizzoli si inserì indirettamente nel dibattito a cui aveva dato avvio, nel 1520, la pubblicazione del Ciceronianus di Erasmo da Rotterdam, mordace critica di un ciceronianismo giudicato ossessivo, nella quale i motivi letterari e retorici si intrecciano con quelli filosofici e religiosi. Pur non aderendo in modo esplicito alla discussione e mostrandosi estraneo alle ragioni confessionali e politiche della polemica antierasmiana, nella lettera prefatoria allude a coloro che tendono a porre in ridicolo i cultori di Cicerone, esemplare modello non solo di chiarezza ed eleganza stilistica, ma anche di autentica sapienza ed eloquenza, grazie al possesso sia della scienza delle cose sia della scienza delle parole.
Nel 1540 era ancora al servizio dei Gambara, quale maestro del figlio di Lucrezio Gambara e di Taddea Del Verme. Ortensio Lando inserì il suo nome nei Sette libri de’ cathaloghi (Venezia 1562, p. 453), indicandolo come precettore della famiglia Lupi di Soragna, nel Parmense, mentre manca evidenza documentaria di un fallito tentativo di ottenere intorno al 1541 un insegnamento a Milano, come riporta, forse malevolmente, Marcantonio Maioragio nelle Reprehensiones del 1549. Tra il 1547 e il 1548 la presenza di Nizzoli è attestata a Venezia, dove fu attivo presso alcuni tipografi, tra cui Paolo Manuzio, con il quale rimase negli anni in rapporti epistolari. Per gli eredi di Pietro Ravani curò una nuova edizione emendata del Thesaurus linguae Latinae di Robert Estienne (Venezia 1550-51), alla quale antepose una prefazione in cui definì il grammatico un observator, il cui compito è individuare nei testi della latinità – in particolare in quelli ciceroniani – le forme eleganti e limpide di una lingua che, lontana da barbarismi, fu efficace veicolo di trasmissione del sapere. Collaborò anche con i Giunta, la cui edizione di Galeno del 1556 è corredata della Explanatio Galeni linguarum, hoc est, obseletarum Hippocratis vocum redatta da Nizzoli.
Risale a questi anni la controversia che lo oppose a Maioragio, al quale era stato pur legato da rapporti di reciproca stima. Nel 1546 il giovane docente dello Studio milanese aveva dato alle stampe l’Antiparadoxon libri sex in quibus M. T. Ciceronis omnia paradoxa refelluntur, in cui aveva messo in discussione la natura socratica dei Paradoxa ciceroniani e la loro stessa validità, mentre le dottrine etiche dello scrittore latino erano giudicate vicine allo stoicismo, e quindi contrarie all’autentica philosophia Christi. Nizzoli replicò con una lettera di carattere privato, ma di rapida e vasta circolazione manoscritta, nella quale sottolineò la superiorità della retorica e dell’oratoria sugli oscuri e confusi figmenta e sophismata in cui si avviluppa la dialettica, annunciando di essere impegnato nella redazione di una più ampia opera su tale questione. Immediata fu la risposta dell’avversario, il quale nella Apologia, sive recusatio contra Marium Nizolium (Milano 1547 circa) sostenne che l’eleganza e la padronanza degli strumenti retorici non possono esaurire la verità filosofica, distinguendo quindi nettamente tra eloquentia e veritas e riscattando gli interpreti medievali, considerati barbari da umanisti superficiali come Nizzoli, al quale non erano risparmiate malignità anche di carattere personale. Nizzoli si vide pertanto costretto a dare analoga pubblicità alla sua replica. Vide così la luce l’Antapologia pro M. T. Cicerone et oratoribus contra M. Antonium Maioragium Ciceromagistem (Venezia, s.t, 1547-48), aspra invettiva nella quale non esitò a ricorrere a un brano degli Apophthegmata erasmiani per opporsi alla dialettica di coloro che seguivano, come il Ciceromastix Maioragio, cattivi e barbari maestri quali Walter Burley e Paolo Veneto, incapaci di costruire un autentico discorso filosofico. Ultimo atto della controversia furono, da parte di Maioragio, i Reprehensionum libri duo contra M. Nizolium, redatti a immediata risposta dell’Antapologia (Milano, ma Basilea, J. Oporinus, 1549). Negli ultimi mesi del 1548 era intanto apparsa a Venezia presso Francesco Bindoni e Maffeo Pasini un’altra operetta di Nizzoli, le Defensiones aliquot locorum Ciceronis in libro de Officiis contra disquisitiones C. Calcagnini, il cui vero obiettivo polemico non è tanto Calcagnini, del quale sono discusse 12 delle 25 disquisitiones, quanto ancora Maioragio.
Centrale nelle Defensiones è la distinzione, introdotta a proposito della discussione dedicata da Calcagnini al titolo stesso del De officiis ciceroniano, tra locutio propria e locutio figurata, ossia tra l’uso di termini plurali a designare in senso proprio una molteplicità di individui, e quello di un termine singolare a indicare, in senso figurato, tale molteplicità, un uso sul quale tanti filosofi non hanno esitato a fondare la realtà degli universalia, non accorgendosi che la locutio figurata altro non è che la nota figura retorica della sineddoche. Convinto nominalista, Nizzoli vede in ciò la prova di come le oscurità filosofiche siano spesso originate dall’ignoranza delle regole del linguaggio e possano quindi essere semplificate e risolte grazie alla grammatica e all’oratoria, la cui applicazione è l’unica verifica efficace delle idee.
Pur considerando esaurita la controversia con Maioragio, Nizzoli continuò a riflettere anche negli anni successivi sul rapporto tra filosofia e linguaggio, sulla funzione della retorica e sull’inseparabilità tra il mondo delle cose e il mondo delle parole. Nell’autunno del 1549 si trasferì da Venezia a Parma, dove l’appoggio di Ottavio Farnese gli garantì l’assegnazione dell’insegnamento universitario di lettere greche e latine. Il 29 luglio 1553 fu confermato a vita in tale ruolo e nello stesso anno apparvero a Parma, presso Seth Viotti, i De veris principiis et de vera ratione philosophandi contra pseudophilosophos libri III, dedicati ad Alessandro e Ottavio Farnese.
In questa opera trova compiuta espressione la polemica di Nizzoli contro la filosofia aristotelico-scolastica e la dialettica tradizionale, inficiata da inutili giochi metafisici; in tal senso «un filo coerente e costante lega tra loro la fatica delle Observationes alle polemiche con Maioragio e alla lunga elaborazione del De veris principiis» (Vasoli, 1996, p. 242). Nizzoli sviluppa, infatti, temi già emersi nei precedenti scritti, ponendo l’oratoria e la retorica al centro del proprio progetto di rinnovamento della filosofia e del suo linguaggio. Erede della lezione di Lorenzo Valla, Juan Luis Vivés, Rodolfo Agricola e dello stesso Erasmo, dai quali riprende la critica a sofisti e pseudodialettici, si oppone con forza all’insegnamento dei ‘filosofastri’, ignari persino del significato grammaticale dei termini che usano e prigionieri di false dottrine logiche, in primo luogo, la teoria degli universali reali («universalia stulta et inepta»), che rifiuta in modo radicale, aderendo al nominalismo occamista. A differenza della metafisica, vuoto apparato indifferente al «de utilitate et de pertinentia rerum», l’oratoria e la retorica sono vicine all’uomo, e sulla loro base è pertanto possibile costruire una nuova logica, non più creazione artificiosa, ma scienza aderente al mondo concreto e vivo, grazie a una ritrovata armonia tra linguaggio filosofico e linguaggio ordinario.
Nel 1670 Gottfried Wilhelm Leibniz ripropose il De veris principiis et de vera ratione philosophandi a Francoforte, corredandolo di una lunga Dissertatio praeliminaris sullo stile del discorso filosofico, in cui, pur criticando alcuni aspetti della posizione di Nizzoli, espresse profondo apprezzamento per un’opera giudicata di grande attualità. Nel 1674 seguì una seconda edizione, con il titolo di Anti-Barbarus philosophicus, sive philosophiae Scholasticorum impugnata, libris IV de veris principiis. A Leibniz va quindi il merito di aver riportato, a oltre un secolo di distanza dalla sua prima pubblicazione, l’attenzione su un trattato non solo a lungo dimenticato, ma anche sottovalutato nel suo significato autenticamente filosofico, per essere confinato – come osservano ancora alcuni interpreti settecenteschi – «nelle basse officine della filosofia» (A. Buonafede, Della restaurazione di ogni filosofia ne’ secoli XVI, I, Venezia 1785, p. 18).
Il soggiorno parmense di Nizzoli si interruppe nell’autunno del 1562, quando accolse l’invito del duca Vespasiano Gonzaga a dirigere l’Accademia della appena fondata Sabbioneta e a leggervi quotidianamente i classici greci e latini, con un compenso di 300 scudi annui. Il 6 dicembre pronunciò nella pubblica piazza la solenne Oratio habita in principio Academiae Sabulonetanae tam Graecae quam Latinae (Parma, S. Viotti, 1563), «in lode di Vespasiano, in esaltamento della nuova Città, e in commendazione delle lettere» (Affò, 1780, p. 54). Nei primi mesi del 1564 Alfonso II d’Este, emanò un editto che ordinava a tutti i sudditi dei suoi Stati al di fuori dei confini (come era allora Nizzoli) di rientrare nel ducato, pena l’arresto e la confisca dei beni. Malgrado il governatore di Brescello Bartolomeo Moroni avesse accolto la sua supplica di continuare a risiedere a Sabbioneta, pochi mesi dopo Nizzoli si vide così costretto a rivolgersi allo stesso Alfonso II per scongiurare la condanna, essendo stato «quasi tutto il tempo di sua vita fora di Bessello» (Pagani, 1893, p. 557). La risposta fu probabilmente favorevole, perché nell’estate del 1564 Nizzoli era ancora residente in territorio gonzaghesco. Il 29 luglio indirizzò però una lettera al duca Vespasiano, per chiedere di essere sollevato dal suo quotidiano e impegnativo insegnamento, a causa dell’avanzare dell’età, del vacillare della memoria e del declinare della vista, difficoltà alle quali si accompagnavano offese subite da oggi ignoti denigratori.
È quindi probabile che Nizzoli abbia preferito fare ritorno volontariamente a Brescello, dove la morte lo colse nel 1566.
Sepolto nella chiesa di S. Maria Maggiore, la lapide ne ricorda le Observationes in M. Tullium Ciceronem. Per quanto non si abbia notizia precisa di un suo matrimonio, le fonti menzionano i nomi di due figli, Orazio, morto nel 1610 come arciprete di Brescello, e Mercurio, tra i corrispondenti di Paolo Manuzio. Si ha notizia della redazione di una Principum Sablonetae series seu chronologia, probabilmente non ultimata e andata perduta (Racheli, 1849, p. 686), come non conservato è il Liber figurarum menzionato da Nizzoli in una lettera del 2 dicembre 1562 a Manuzio, nel quale aveva analizzato figure, tropi, e «omnia argumenta, et omnes argumentationes tam rhetoricas, et oratorias, quam dialecticas et philosophicas» (Pastorello, 1960, p. 191).
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