PODIANI, Mario
PODIANI, Mario. – Nato nel 1501 da Luca Alberto (1474-1551) e da una Sebastiana di cui non si conosce il cognome, Podiani appartenne a una famiglia del contado perugino, non nobile ma provveduta, originaria di Poggio Aquilone (di qui l’appellativo cognominale), a pochi chilometri da Marsciano, oggi in provincia di Terni ma nella diocesi di Perugia. Il padre, che ebbe dalla moglie altri tre figli (Faustina, divenuta monaca, Livia e Giovanni Paolo), medico, umanista e, dal 1524, cancelliere di Perugia, svolse un ruolo di rilievo nella vita politica e culturale della città e fu impegnato in numerose ambascerie.
Nel 1516 Podiani divenne canonico della chiesa perugina di S. Croce; più o meno nello stesso periodo, ricevette in collazione la chiesa di S. Luca. Nel 1527, da Giovan Giacomo Gamberana, vescovo di Albenga e vicelegato a Perugia, ebbe in commenda a vita la chiesa parrocchiale di S. Egidio del Poggio Aquilone. Impedito al matrimonio dall’intenzione di non perdere le rendite dei benefici ecclesiastici, Podiani ebbe però tre figli naturali, Calidonia, Tobalda e Pindaro.
La prima prova letteraria a stampa pervenuta di Podiani risale al 1529, quando pubblicò un sonetto nell’opuscolo Legge et ordinamenti facti sopra li vestimenti de le donne et spose peroscine, pubblicato dal tipografo perugino Girolamo Cartolari. Sempre per i tipi di Cartolari, l’anno seguente, vide la luce il maggiore impegno letterario di Podiani, la commedia in volgare I megliacci, chiusa da una canzone alla città che risentiva degli entusiasmi e delle diffuse speranze suscitate da Malatesta IV Baglioni, prima della sua morte prematura (24 dicembre 1531). Al termine dei solenni funerali del condottiero che aveva guidato le truppe fiorentine contro gli imperiali, Podiani tenne l’orazione funebre nella chiesa di S. Domenico (il testo è in Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 5891, cc. 7r-13v).
La commedia I megliacci, ambientata nella contrada perugina di Porta Sole, mette in scena i rapporti fra due famiglie, quelle di Isofilo e di Romingo Francolini, e fra una serie di personaggi che intorno a esse gravitano. Nel quadro si mescolano i diversi elementi della tradizione (innamoramenti, inganni, beffe), come indica il titolo che allude a un cibo grosso e rozzo, ove il sangue di maiale si mescola alla farina di miglio (mancando però, nel caso specifico, fatti cruenti e prevalendo invece dolcezza e sapore). L’ambizioso programma linguistico-letterario sotteso alla commedia (forse rappresentata nel carnevale 1530 nel palazzo Podiani) è quello di mostrare che il volgare perugino è in grado di rivaleggiare con il fiorentino, a patto di rinunciare ai termini più popolari.
Dopo la visita a Perugia di Paolo III (7-30 settembre 1535), che doveva porre termine a un periodo di accese lotte cittadine, ancora per i tipi di Cartolari, Podiani diede alle stampe l’opuscolo De felicissimo Pauli III Pont. Max. adventu Perusiam urbem ac praestitis civitatis officiis libellus, con dedica (8 ottobre 1535) al cardinale Marino Grimani, legato in Umbria. Nella circostanza Podiani aveva promosso l’erezione di un arco di tela, con cartigli esornativi recanti iscrizioni in versi latini, che intendeva imitare quelli di marmo che a Roma salutavano l’avvento dei trionfatori. Nell’opuscolo era contenuta l’orazione De origine et laudibus Perusiae, pronunciata da Podiani dinanzi al papa e seguita da undici componimenti (tre di Giovanni Francesco Cameno e otto di Podiani, uno dei quali in volgare), testimonianza «delle conoscenze antiquarie e delle letture presenti all’autore intorno alle vicende tra favolose e storiche della città» e «dei motivi ispirativi tra passionali e politici dell’entusiastica esaltazione di Perugia» (Ugolini, 1974, I, p. 46). L’accoglienza riservata al pontefice faceva parte della strategia familiare dei Podiani, padre e figlio, per ingraziarsi i suoi favori. Di fatto, il 26 marzo 1536, con la motivazione dell’indebolimento della vecchiaia e del contemporaneo impegno dell’insegnamento nello Studio perugino, i priori affiancarono a Luca Alberto il figlio, che divenne così cancelliere.
Il ritorno a Perugia di Paolo III (17 settembre 1539) avvenne in un clima diverso da quello di quattro anni prima. Deciso in novembre dalle autorità romane l’aumento della tassa sul sale, il 27 dicembre la città inviò tre ambasciatori con una supplica al pontefice (stesa, pare, da Podiani) per evitare l’aggravio fiscale. Ma la missione non sortì effetto e Perugia si ribellò alla gabella inaugurando la cosiddetta guerra del sale e venendo colpita da interdetto (16 marzo 1540). Sulla porta della cattedrale di S. Lorenzo venne issato (5 aprile) un crocifisso ligneo, opera di Polidoro Ciburri, ai piedi del quale i Venticinque difensori della giustizia (la nuova magistratura istituita per rappresentare i cittadini) deposero le chiavi della città, proclamata «civitas Christi» (8 aprile). Nello stesso giorno, sulla scalinata della chiesa, Podiani tenne un appassionato discorso (il testo non è pervenuto), esortando la città alla lotta.
Nel comportamento di Podiani, secondo Francesco A. Ugolini, Stanislao da Campagnola e più recentemente Michele Camaioni, non sarebbero estranei l’influsso della predicazione perugina di Bernardino Ochino (1536, 1538, 1539), con i suoi accenti radicali e, per quanto riguarda il rapporto con le autorità, persino eversivi, e la penetrazione di idee della Riforma.
Sedata la rivolta, il papa fu inflessibile con i suoi promotori: Podiani fu costretto alla fuga (con lui, alcuni giuristi dello Studio: Marcantonio Bartolini, Pier Filippo Mattioli, Giulio Oradini); il padre tentò inutilmente, anche tramite Pietro Aretino, di ottenere il rientro del figlio.
A partire dall’esilio le notizie divengono scarne e frammentarie. Nel 1542 Podiani era a Gubbio, fuori dello Stato della Chiesa ma prossimo al confine, pronto a varcarlo se non fosse stata concessa la grazia. La condizione di esule si protrasse sino al 1544; dopo questa data, evidentemente rientrato clandestinamente in città con modalità e per fini che rimangono ignoti, fu imprigionato e in carcere tentò il suicidio. Alla morte del padre (14 febbraio 1551) Podiani era già a Roma. Dopo l’elezione di Giulio III Del Monte (7 febbraio 1550) compose, fra il 5 marzo 1550 e il 20 novembre 1551, un carme gratulatorio, Thybris (Perugia, Biblioteca Augusta, Mss., 601 H.87), evidentemente per entrare nelle grazie del nuovo pontefice. Ma la sua situazione non cambiò. Se a Podiani si riferisce un passo delle Memorie di Perugia di Raniero Franchi, nel 1568 egli era ancora in vita e «in quegli anni dimorava in Roma, segretario di qualche prelato o mettendo in vario modo a partito la sua perizia di umanista» (Ugolini, 1974, I, p. 99). Certamente aveva rivisto alcune composizioni del bresciano Fausto Sabeo, primo custode della Biblioteca vaticana fra il 1522 e il 1558; e frequentò il circolo letterario intorno a Giovanni Girolamo Catena.
Nel 1583 Podiani doveva essere già morto perché in quell’anno il diarista perugino Giovanni Battista Crispolti dà notizia della predicazione quaresimale perugina di suo figlio Pindaro, cappuccino, probabilmente da identificarsi con Francesco da Perugia, ricordando il padre come non più in vita. L’inflessibilità di Paolo III e dei suoi successori nell’impedire il ritorno in patria di Podiani rese impossibile anche la sua sepoltura nella tomba familiare, che era stata preparata da Luca Alberto nella chiesa di S. Francesco del Monte (oggi S. Francesco in Monteripido). Così la damnatio memoriae e l’oblio del tempo resero progressivamente «sempre più sbiadita e indistinta» la sua figura (Ugolini, 1974, I, p. 8).
Fonti e Bibl.: G.B. Vermiglioli, Bibliografia storico-perugina, Perugia 1823, pp. 127-130; Id., Biografia degli scrittori perugini e notizie delle opere loro, II, 2, Perugia 1829, pp. 237-244; O. Scalvanti, Il Crocifisso della porta di S. Lorenzo a Perugia, in Bollettino della R. Deputazione di storia patria per l’Umbria, VIII (1902), pp. 185-211; F.A. Ugolini, Un ribelle perugino del Cinquecento: dati biografici e reliquie letterarie di M. P., in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli studi di Perugia, IX (1971-72), pp. 1-184; Id., Il perugino M. P. e la sua commedia I Megliacci(1530), I, Dati biografici e reliquie letterarie; II, I Megliacci: introduzione e testo; III, Commentario a I Megliacci con repertorio lessicale, Perugia 1974; Stanislao da Campagnola [U. Santachiara], Un Crocifisso di legno contro Paolo III Farnese durante la guerra del sale del 1540, in Laurentianum, XXXIV (1993), pp. 49-66; P. Aretino, Lettere, Libro II, a cura di P. Procaccioli, Roma 1998, pp. 314-316, 336, 404; G. Petrella, L’officina del geografo. La Descrittione di tutta Italia di Leandro Alberti e gli studi geografico-antiquari tra Quattro e Cinquecento; con un saggio di edizione (Lombardia-Toscana), Milano 2004, pp. 110 s., 527 s., 530, 534, 537 s., 540; E. Mattesini, Letteratura giocosa e dialetto nell’Italia centrale tra Cinque e Settecento, in Contributi di filologia dell’Italia mediana, XXII (2008), pp. 197 s., 207; M. Camaioni, Riforma cappuccina e riforma urbana. Esiti politici della predicazione italiana di Bernardino Ochino, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, LXVII (2013), pp. 89-94.