PRATESI, Mario
PRATESI, Mario. – Nacque a Santa Fiora, sul versante grossetano del monte Amiata, l’11 novembre 1842, da Igino, cancelliere comunale oriundo di Marradi (Firenze), e da Edda Bandini, senese. Due anni prima era nato il fratello Dante, che entrò nell’esercito e insegnò geografia al Collegio militare di Firenze.
Il trauma per la prematura morte della madre, avvenuta il 22 febbraio 1847, determinò in Pratesi i tratti caratteriali di un introverso e nevrotico solitario sempre alla ricerca vana di un riconoscimento e di un’identità. Il padre – che aveva sposato in seconde nozze Anna Maria Galletti, dalla quale ebbe altri due figli, Plinio e Corinna, e aveva trasferito la famiglia a Siena, dove rivestiva il ruolo di segretario nella Prefettura – lo affidò ancora bambino alla rigida disciplina del Collegio militare di Firenze, poi, in seguito alle sue ribellioni, lo impiegò in un ufficio di polizia, presso la Delegazione del Quartiere di Santa Maria Novella a Firenze. L’esperienza burocratica fu però breve e nella primavera del 1865 Pratesi fuggì a Pisa per frequentare i corsi universitari in qualità di uditore, così da integrare almeno parzialmente le lacune dovute agli studi irregolari e inseguire il sogno della professione letteraria.
Fu un periodo breve, decisivo tuttavia per la sua formazione umana e culturale. Frequentò la casa di Enrico Mayer, conobbe Giacomo Barzellotti, anch’egli amiatino, futuro storico della filosofia, al Caffè dell’Ussaro e nella trattoria di Cencio Mastromei venne a contatto con alcuni giovani reduci dall’impresa dei Mille, come Giuseppe Cesare Abba, Ernesto Pozzi, Carlo Giuseppe Sisti. Con Abba e Barzellotti strinse un’intensa amicizia, testimoniata da una corrispondenza epistolare destinata a interrompersi solo con la morte di Abba nel 1910 e di Barzellotti nel 1917. In questo ambiente, fervido ancora di spiriti risorgimentali, consolidò un repertorio di letture che prevedeva, accanto ai classici e allo studio del poema dantesco, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Percy Bysshe Shelley e George G. Byron. E, soprattutto, si confermò in un’ispirazione civile e patriottica (già esibita nel 1863 con Agli insorti polacchi) che mise a frutto tra il 1866 e il 1869 in alcuni componimenti lirici sparsamente pubblicati e, concentrata sulla polemica contro il passato regime granducale e mai addolcita dalla nostalgia del ‘piccolo mondo antico’, restò sottesa a tutte le opere successive, anche quando l’originario ‘garibaldismo’ fu destinato ad attenuarsi sino alle derive marcatamente conservatrici degli ultimi anni.
Alle prese con difficoltà economiche e con crisi respiratorie talvolta culminanti in episodi di emottisi, nel luglio del 1866 Pratesi fu costretto a lasciare Pisa per tornare a vivere infelicemente nella casa paterna. Nell’estate del 1867 trovò un impiego a Firenze presso Niccolò Tommaseo, ma dovette dimettersi nell’aprile-maggio del 1868 quando si innamorò, fino a vagheggiare un matrimonio, di Caterina, la figlia sedicenne dello scrittore dalmata. La vicenda ebbe pesanti ripercussioni sulla sua salute fisica e psichica, tanto che nell’autunno i familiari si videro costretti a ricoverarlo nell’ospedale psichiatrico San Niccolò di Siena per una degenza durata poi sette mesi.
Dal giugno all’agosto del 1869 fu supervisore agli studenti nel collegio Cicognini di Prato, mentre nel dicembre ottenne un incarico di copista presso l’Archivio di Stato di Firenze, dove intrecciò stabili relazioni amicali sia con il direttore Cesare Guasti, sia con Alessandro Gherardi, destinato a divenire a sua volta direttore dell’istituto archivistico.
Nei tre anni di permanenza a Firenze (dove allargò la cerchia delle sue conoscenze frequentando il «salotto rosso» di Emilia Toscanelli Peruzzi e la casa di Karl Hillebrand e di sua moglie, la musicista Jessie Laussot) si cimentò nelle sue prime prove in prosa: la straordinaria operetta La vita dell’infanzia: memorie dell’amico Tristano pubblicata nel marzo del 1870 sul giornale Il Diritto, che trovò la sua definitiva fisionomia in volume con il titolo Da fanciullo. Memorie del mio amico Tristano dapprima per Le Monnier (Firenze 1872), e quindi nella raccolta In provincia. Novelle e bozzetti edita da Barbera (Firenze 1883); il romanzo, strutturalmente irrisolto e scolastico, Le viole di Marianna, pubblicato a puntate nel settembre del 1871 sul Diritto, poi divenuto Jacopo e Marianna in volume per Civelli (Roma 1872).
L’accoglienza favorevole della critica e la sollecitudine di Clemente Maraini, direttore del Diritto divenuto suo amico intimo, gli procurarono l’incarico di professore titolare di lettere italiane presso i R. istituti tecnici con destinazione Pavia dal novembre del 1872. Poco meno che trentenne Pratesi iniziò così una carriera scolastica che lo costrinse a frequenti trasferimenti attraverso sedi (Viterbo dal novembre 1873, Terni dal gennaio 1877, Reggio Calabria dal novembre 1880) sistematicamente descritte nelle lettere agli amici come selvagge e inospitali, fino ad approdare a Milano nell’ottobre del 1882. Sempre più insoddisfatto di un lavoro del quale avvertiva ossessivamente il fardello e coinvolto nello scandalo per una relazione adulterina con Clotilde Ricci Coronaro, nipote di Massimo d’Azeglio e moglie del compositore milanese Gaetano Coronaro (documentata nel Carteggio inedito da cinque lettere residue scritte alla nobildonna tra il 1889 e il 1890), decise di allontanarsi anche da Milano e nel giugno del 1893, grazie all’intervento di Maraini presso Ferdinando Martini, allora ministro dell’Istruzione, si stabilì a Belluno con l’incarico di provveditore agli Studi. Nonostante la fatica dell’impegno didattico prima e la «stupidità della burocrazia» poi (lettera a Maraini, s.l., 12 dicembre 1895, in Carteggio inedito, 2009) in questi anni ideò e pubblicò le sue opere più significative.
Elaborato l’apprendistato sulle pagine foscoliane e leopardiane nei versi giovanili e nella struttura memoriale del «lungo soliloquio autobiografico» costituito dalle Memorie (C.A. Madrignani, introduzione a M. Pratesi, Da fanciullo. Memorie del mio amico Tristano. Edizioni 1883 e 1872, a cura di C.A. Madrignani - G. Bertoncini, Pisa 1991, p. 7), Pratesi già al momento di affrontare la stesura del primo romanzo aveva individuato la propria misura espressiva in un realismo di matrice manzoniana, filtrato dalla lezione della letteratura rusticale, e stabilito la materia provinciale come coordinata tematica per lui irrinunciabile. L’incontro con la Rassegna settimanale di Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti, nella quale apparvero tra il 1879 e il 1881 quasi tutti i racconti poi riuniti nel volume In provincia, gli offrì l’occasione di sottoporre quella materia a una «valutazione moderna» (Luti, in M. Pratesi, Racconti, 1979, p. XV) che la ancorasse a un intento documentario in grado di evidenziare la realtà dei meccanismi economico-sociali, con una scelta eterodossa rispetto alla contemporanea esperienza del ‘bozzettismo’ toscano. Dopo questo approdo fondamentale della sua scrittura realistica, Pratesi si confrontò direttamente con la contemporanea esperienza naturalista-verista della quale rielaborò alcuni presupposti teorici nel romanzo L’eredità (Firenze 1889), considerato unanimemente dalla critica la sua prova più convincente. Qui la varietà dei temi e dei registri stilistici che è la cifra distintiva della sua invenzione viene ridotta e ordinata all’interno di una costruzione unitaria sottesa da un intento dimostrativo che ne percorre tutto l’intreccio; inoltre, il procedimento narrativo che non rinuncia alle digressioni moralistico-saggistiche del narratore-autore e rifiuta la soluzione tecnica dell’impersonalità raggiunge una sorta di oggettività attraverso la crudeltà imparziale con la quale vengono descritti uomini e cose.
La suggestione del grande modello manzoniano, mai rimosso, tornò però a ispirare e dirigere la stesura del romanzo Il mondo di Dolcetta, pubblicato a puntate nella Nuova Antologia (fra il 16 settembre 1894 e il 16 marzo 1895), poi in volume per Galli (Milano 1895). Il risultato apparve come un ritorno al passato agli amici più intimi, che si costrinsero al silenzio o a caute espressioni di consenso accompagnate comunque da riserve, e ai pochi recensori che si mostrarono parchi di lodi quando non furono autori di vere e proprie stroncature (feroce quella di Enrico Corradini nel Marzocco del 23 febbraio 1896). Eppure, proprio per il sistema di accumulazioni che prevede la coesistenza, spesso disorganica, di storia e cronaca, fatti e commento, memoria e polemica, analisi psicologica ed effusione lirica, modellate da un pessimismo moralistico che si dilata a coinvolgere anche la storia, Il mondo di Dolcetta è l’opera più rappresentativa di Pratesi che si ostinò a considerarla il suo capolavoro, tanto da volerla ripubblicare a distanza di molti anni, in una versione parzialmente riveduta, prima a puntate dal 1° gennaio al 16 ottobre 1916 nella Rassegna nazionale, poi nello stesso anno in volume per i tipi della rivista.
Nonostante l’insuccesso, Pratesi continuò a scrivere in una sorta di accanita, disperata e vana ricerca di consenso. Tranne in alcune pagine di viaggio che integravano una proposta già felicemente sperimentata nella raccolta Di paese in paese (Milano 1892), non riuscì però a confermare la qualità dei risultati precedentemente raggiunti, né con i due nuovi romanzi (Le perfidie del caso, Milano 1898, e Il peccato del dottore, Milano 1902), dove il pur notevole tentativo di affrontare il problema moderno dell’angoscia esistenziale viene vanificato da una cupa prospettiva metafisica che non concede possibilità di analisi o riscatto, né con i numerosi racconti pubblicati tra il 1905 e il 1920 nella Nuova Antologia.
All’isolamento cui ormai lo costringeva il disinteresse dei critici e dei lettori rispose con una scelta di autoisolamento. Nel 1906 andò in pensione anticipatamente e si stabilì a Firenze nella via San Leonardo, in un «placido porto» «dopo tante orrende tempeste» (lettera a Gino Bandini, Belluno, 20 luglio 1905, in Carteggio inedito, 2009).
Qui morì il 3 settembre 1921.
Fonti e Bibl.: Una prima bibliografia degli scritti di Pratesi apparsi in giornali e periodici vari e delle edizioni delle singole opere fu allestita da M. Guidotti in Un’aurora dall’Amiata, Siena 1956 (poi Id., Il romanzo toscano e M. P., Firenze 1983). Si veda, a parziale integrazione, la Nota bibliografica in M. Pratesi, Racconti, a cura di G. Luti - J. Soldateschi, con introduzione di G. Luti, Roma 1979. Per una bibliografia più dettagliata e aggiornata si veda da ultimo A. Urbancic, Reviewing M. P. The critical press and its influence, Toronto 2014.
Le lettere a Pratesi di vari e numerosi corrispondenti e, in misura più ridotta, lettere di Pratesi (per un totale di 1600 documenti) sono conservate, per concessione degli eredi dello scrittore, nelle Special Collections della E.J. Pratt Library della Victoria University di Toronto: Carteggio inedito di M. P., a cura di A. Urbancic - V. Colella, Toronto 2009 (http://pratesi.vicu.utoronto.ca/index. html). Le lettere si trovano in Fonds 69, Serie 1, che contiene anche, nella Serie 2, agende, diari e libri, nella Serie 3 fotografie, nella Serie 4 documenti di famiglia (la catalogazione è consultabile in http://library.vicu.utoronto.ca/collections/special_collections/f69_mario_pratesi).
Il carteggio Abba - Pratesi è conservato nel fondo Gino Bandini presso l’Archivio di Stato di Firenze. Venti lettere di Pratesi a Giacomo Barzellotti sono nel Carteggio Barzellotti, 287, I-XX, presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze, mentre sempre a Firenze, presso la Biblioteca nazionale, sono conservate 120 lettere di Pratesi a Emilia Peruzzi (Carteggio Emilia Peruzzi, 158, 16-21), nonché lettere di e a Pratesi nei fondi Vannucci, XII, 77-78, XVII, 30; Tommaseo, 117, 17, 18; Martini, 22, 16; Barbèra, 1, 138; Vari, 441, 168; De Gubernatis, 102, 9; Vari, 471, 72 (a Telemaco Signorini); 142, 229-234 e 428, 139-153 (a Francesco Protonotari). La corrispondenza con Abba compare ora nell’Edizione nazionale delle Opere di G.C. Abba, VIII, Epistolario, I-II, a cura di L. Cattanei - E. Costa, Brescia 1999. Le venti lettere a G. Barzellotti sono state riprodotte in G. Fatini, Un romanziere amiatino. M. P., in Annuario 1931-32 del liceo-ginnasio Carducci Ricasoli, a cura di G. Fatini, Grosseto 1933, pp. 5-46. Alcune lettere inedite di Pratesi a Manfredo Vanni sono state pubblicate da M. Ramuzzi in Ausonia, 1961, settembre-ottobre, pp. 33-44. R. Melis ha pubblicato infine Di paese in paese. Lettere di M. P. a Emilia Toscanelli Peruzzi, in Una brigata di voci. Studi offerti a I. Paccagnella per i suoi sessantacinque anni, a cura di C. Schiavon - A. Cecchinato, Padova 2012, pp. 457-468.
Per la bibliografia della critica si rimanda ai repertori sopra citati, integrabili con le bibliografie poste a conclusione dei volumi: M. Pratesi, L’eredità, a cura di G. Bertoncini, Napoli 1990, e R. Toppetta, M. P.: l’alba inquieta di Tozzi e Pratolini, Roma 1985.