ROSSI, Mario
ROSSI, Mario. – Figlio di Gustavo, nacque a Roma il 29 marzo 1902. Non si hanno notizie della madre.
Studiò nel conservatorio di Santa Cecilia, diplomandosi nel 1925 in composizione sotto la guida di Ottorino Respighi e in direzione d’orchestra nella classe di Giacomo Setaccioli. Durante gli anni della formazione (dal 1923 al 1926) si dedicò intensamente alla concertazione della musica vocale, dirigendo la corale della Sala degli operai di Roma. L’attività rientrava nei progetti educativi dell’Opera nazionale dopolavoro e puntava ad avvicinare alla pratica musicale i lavoratori. Il repertorio si estendeva dall’antico (Claudio Monteverdi, Adriano Banchieri) al contemporaneo, e contemplava anche un’ampia selezione di canti popolari italiani. Fu probabilmente Respighi a introdurre Rossi nell’ambiente dell’Augusteo, dove il giovane musicista ricoprì l’incarico di maestro sostituto dal 1926 al 1936.
Il primo invito alla direzione stabile di una formazione sinfonica venne dal Maggio musicale fiorentino, dove Rossi debuttò nel 1937 con Iris di Mascagni (teatro Comunale). Rossi lavorò a Firenze fino al 1946, quando l’ente radiofonico nazionale, da poco ribattezzato RAI (Radio Audizioni Italiane), lo nominò direttore musicale dell’orchestra Sinfonica di Torino. In quello stesso anno Arturo Toscanini aveva proposto la candidatura del collega alla dirigenza del teatro alla Scala; ma l’invito della RAI assicurava un’attività duratura alla testa di un complesso sinfonico che si stava affermando come il migliore della radio italiana. Rossi aveva già collaborato in precedenza con l’ente radiofonico italiano: il 6 ottobre 1924 aveva diretto un breve concerto della corale operaia in occasione della trasmissione inaugurale dell’URI (Unione Radiofonica Italiana); nel 1934 aveva debuttato con l’orchestra Sinfonica di Torino nello Stabat Mater di Mario Labroca e in Tod und Verklärung di Richard Strauss; nel 1938 era tornato alla guida dell’orchestra per due ‘prime’ torinesi (Preludio magico di Vito Frazzi e Introduzione, passacaglia e finale di Giovanni Salviucci, alternate a pagine di Giovanni Sgambati, Richard Wagner, Carl Maria von Weber e la Ciaccona dalla Partita BWV 1004 di Johann Sebastian Bach trascritta da Alfredo Casella); e nel 1941 aveva proposto ancora una volta un’opera contemporanea (la ‘prima’ assoluta del Magnificat di Goffredo Petrassi) accanto a un lavoro di repertorio (il Concerto per violino di Ludwig van Beethoven con Gioconda De Vito).
Rossi apparve per la prima volta a Torino in veste di direttore musicale il 7 gennaio 1946: la locandina incolonnava la Sinfonia n. 2 di Beethoven, Pavane pour une infante défunte di Maurice Ravel e alcune pagine da La vida breve di Manuel de Falla. In RAI fu presto compreso il pregio di una salda guida per la maturazione dell’organico torinese; l’orchestra di Rossi fu prescelta per l’esecuzione della Serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi in forma scenica alla prima edizione del Prix Italia (Capri, Hotel Quisisana, 1948), seguita l’anno dopo a Venezia (Ca’ Rezzonico) da musiche rare di Francesco Cavalli, Giovanni Legrenzi, Benedetto Marcello e Antonio Vivaldi. Da subito Rossi manifestò un forte interesse per la musica contemporanea. Dopo il Magnificat di Petrassi, nel 1946, fresco di nomina, concertò a Torino la ‘prima’ italiana della Sinfonia n. 4 di Gustav Mahler; nel 1948 portò per la prima volta in Italia il Concerto n. 3 per pianoforte di Béla Bartók (Walter Baracchi solista); nel 1950 diede la ‘prima’ assoluta di Mondi celesti e infernali, opera radiofonica di Gian Francesco Malipiero; e nel 1955 battezzò la ‘prima’ in lingua italiana di Mathis der Maler di Paul Hindemith (nella versione ritmica di Antonio Tonini) e un’opera radiofonica di Luigi Cortese (La notte veneziana). Nel 1952 Rossi ricevette il premio Schönberg per la «brillante attività di direttore d’orchestra al servizio della nuova musica». Rossi coltivò inoltre una predilezione per gli arrangiamenti orchestrali di musiche dell’età barocca e per il Novecento italiano (Casella, Respighi, Leone Sinigaglia, Ildebrando Pizzetti). Nel 1960 ricevette il premio Viotti d’Oro per l’attività svolta con l’orchestra RAI. Al suo impegno si devono inoltre alcune memorabili tournées che portarono la formazione torinese a suonare in illustri sale da concerto europee: la serie di concerti del 1947 in Inghilterra, Belgio, Svizzera e Francia rappresentò la prima uscita postbellica di un’orchestra italiana all’estero. Seguirono apparizioni al Festival di Strasburgo (1951, 1960), nella Salle Pleyel di Parigi (1956), a Varsavia (1966), Essen (1968) e nel Konzerthaus di Vienna (1952 e 1964).
Rossi si congedò dall’ente radio-televisivo nazionale nel 1969 per problemi di salute. Ridotti di molto gli impegni, tornò sul podio dell’orchestra RAI di Torino solo tre volte (1971, 1973, 1978); nell’ultimo concerto (26 maggio 1978) diresse Il pianto e il riso delle quattro stagioni dell’anno di Benedetto Marcello in una rielaborazione di Remo Giazotto. Onorato quest’ultimo incarico, si ritirò nella sua abitazione romana di via Boezio, dove morì il 29 giugno 1992.
Rossi ha saputo legare con grande intelligenza la sua sensibilità interpretativa alle esigenze radiofoniche del dopoguerra. Giorgio Pestelli, nel necrologio apparso sulla Stampa il 30 giugno 1992, ne pennellò un incisivo ritratto artistico: «A Torino, il romano Mario Rossi, divenne più torinese dei torinesi nella serietà e dedizione al lavoro, nella puntualità e nel metodo; fu un vero direttore stabile, in un senso che il convulso mondo di oggi non può più conoscere: cioè un direttore che può lavorare a lunga prospettiva con una sua orchestra, da lui curata come uno strumento, con i suoi tempi di lavorazione e i suoi programmi ad ampio raggio; [...] Ma in questo momento, e le registrazioni d’archivio ne daranno testimonianza, non dobbiamo commettere l’errore di anteporre serietà e metodo di lavoro al valore propriamente artistico, alla statura del direttore, essenziale, conciso, filtrato nel fraseggio, ma ricco e complesso al suo interno: ne faceva fede il suo Brahms, l’umorismo profuso in Haydn, la prontezza di adattarsi alle più varie espressioni, dalle sfumature di Debussy ai toni freddi di Stravinskij; e nel teatro resta il ricordo di una luminosa Cenerentola, vero simbolo di quella felicità di fare musica che ne ha animato e sostenuto l’esemplare carriera» (Mario Rossi un grande della musica). Il legame professionale, ma anche affettivo, instaurato da Rossi con la sua orchestra è ben espresso da una lettera inviata ai musicisti della formazione torinese il 20 giugno 1951 subito dopo la prima tournée a Strasburgo: «A voi tutti dell’Orchestra Sinfonica invio il mio saluto ed il mio grazie per la perfetta e magnifica collaborazione nel concerto di Strasburgo. [...] È inutile sia io a dire l’importanza di queste manifestazioni all’estero nei riguardi dell’Orchestra stessa; ma quello che io, personalmente, voglio aggiungere è il sentimento di ammirazione sincera e di gratitudine viva che provo per voi tutti» (Archivio storico dell’Auditorium RAI Arturo Toscanini, Autografi e rari).
Fonti e Bibl.: L’Orchestra sinfonica e il coro di Torino della Rai 1933-1983, a cura di G.M. Gatti et al., Torino 1983, ad ind.; E. Stinchelli, I grandi direttori d’orchestra, Roma 1987, ad ind.; Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, Le biografie, VI, Torino 1988, p. 444; L. Bellingardi, In memoriam, in Nuova Rivista musicale italiana, XXVII (1993), pp. 330 s.; Dizionario degli interpreti musicali (musica classica e operistica), a cura di L.M. Marchetti - C. Santarelli, Torino 1993, p. 464; G. Antonucci, Prix Italia 1948-1998. La Radio e la televisione nel mondo, Roma 1998, pp. 11-17; Enciclopedia della Radio, a cura di P. Ortoleva - B. Scaramucci, Milano 2003, pp. 752 s.