TANASSI, Mario
– Nacque a Ururi (Campobasso) il 17 marzo 1916 da Vincenzo, avvocato e protagonista di rilievo del socialismo riformista nel contesto molisano sin dai primi anni del Novecento, e da Lucia Carrozza.
Negli anni del fascismo la famiglia Tanassi, che era stata «titolare di uno dei più grandi latifondi del Molise», conobbe un drammatico tracollo economico. Mario proprio a causa di quelle difficili condizioni – oltre che, secondo quanto avrebbe testimoniato egli stesso molti anni dopo, in ragione anche di «una certa aria di sospetti cui ero fatto segno in Patria per non taciute adesioni alle idee di mio padre» – nel 1936 fu costretto a interrompere gli studi, che avrebbe completato solo nel dopoguerra laureandosi in scienze politiche, e a cercare un lavoro prima a Roma e poi in Eritrea. Giunto in Africa, si impiegò all’8° centro automobilistico eritreo (Rizzi, 1965, p. 12; Occhionero, 2001).
Nel 1940, allo scoppio della guerra e richiamato alle armi, Tanassi decise di non avvalersi della condizione di mobilitato civile e chiese di arruolarsi. Destinato al corpo automobilistico, venne fatto prigioniero, ma successivamente riuscì a fuggire e riprese a lavorare, dedicandosi a diverse attività.
Il 21 febbraio 1943 sposò Enrica Pappalardo, dalla quale avrebbe avuto tre figlie (Lucia, Silvana e Rossana). Infine, riscoprì il «gusto per la politica» (Rizzi, 1965, p. 12; Occhionero, 2001). Tanassi divenne così uno dei protagonisti dell’attività antifascista in Eritrea: dapprima partecipò alla costituzione dell’Unione nazionale antifascista (UNA; cfr. Deputati e senatori del IV Parlamento, 1963). Nei primi mesi del 1944, in qualità di commissario straordinario (cfr. Il Carroccio, 20 febbraio 1944; 19 marzo 1944), fu protagonista del processo di riforma dell’UNA, che portò alla nascita della sezione eritrea del Comitato nazionale italiano di liberazione. Contemporaneamente, contribuì in modo decisivo alla costituzione della sezione eritrea del PSIUP (Partito socialista italiano di unità proletaria). Tra il 1944 e il 1946 la sua azione in Eritrea si mosse lungo due direttrici: fu segretario del Comitato nazionale italiano di liberazione e, tra il novembre del 1945 e l’aprile del 1946, direttore dell’organo settimanale del Comitato stesso, Il Carroccio; fu inoltre segretario della sezione di Asmara e poi segretario regionale del PSIUP.
Nell’aprile del 1946 tornò in Italia. Divenuto sostenitore della difesa dell’autonomia socialista (Deputati e senatori..., cit.), partecipò attivamente al processo che portò alla scissione di palazzo Barberini, guidata da Giuseppe Saragat, e alla nascita del PSLI (Partito socialista dei lavoratori italiani). Nel 1948 si candidò alle elezioni politiche per la Camera nella lista di Unità socialista, promossa da Saragat, nella circoscrizione di Campobasso, ottenendo un risultato deludente.
In quella fase, tuttavia, Tanassi non era affatto ancora un «saragattiano ortodosso» (Occhionero, 2001). Anzi, in disaccordo con la linea di Saragat, lasciò il PSLI e aderì al neonato Partito socialista unitario. La rapidissima riunificazione con il PSLI e la nascita di un nuovo partito – prima il Partito socialista - Sezione italiana dell’Internazionale socialista, il PS(SIIS) e il Partito socialista democratico italiano (PSDI) a partire dal gennaio del 1952 – segnò l’avvio di una rapida ascesa politica di Tanassi. Dopo aver ricoperto incarichi di rilievo (fu vicesegretario organizzativo) già nel PS(SIIS) (Fornaro, 2003, p. 214), nel 1952 entrò nella direzione del PSDI e, soprattutto, venne eletto vicesegretario per la corrente di Saragat, con il quale iniziò allora una strettissima collaborazione (Averardi, 1977, pp. 170-172; Romita, 1980, p. 563; Casanova, 1991, p. 157). Venne confermato vicesegretario anche nei successivi congressi del PSDI, del 1954 e del 1956, e il 17 aprile 1957 ne divenne segretario a seguito delle dimissioni di Matteo Matteotti. In quel ruolo rimase solo fino al novembre successivo, quando fu sostituito da Saragat (Romita, 1980, p. 708).
La sostituzione di Matteotti con Tanassi era l’esito finale di un confronto acceso, in corso già da diversi mesi, in merito al processo di riunificazione con il Partito socialista italiano (PSI), tema all’ordine del giorno all’interno del mondo socialista (Degl’Innocenti, 1993, p. 211; Colarizi, 1998, pp. 195 s.). La linea di Matteotti era decisamente favorevole e quella di Tanassi e Saragat assai meno convinta: Tanassi riteneva, come affermò il 30 settembre 1957, che il PSI non avesse cessato la «politica filosovietica» e non avesse abbandonato «l’attuale sua dipendenza dal partito comunista» (Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Gabinetto, Partiti politici, 1944-1966, b. 72, f. 180 P/20: Campobasso. PSDI).
Già alla fine degli anni Cinquanta, Tanassi era quindi un personaggio di rilievo nel panorama socialdemocratico. Non desta meraviglia pertanto che – dopo essere stato eletto consigliere comunale a Roma nel 1960 e nel 1962 (in seguito a questa rielezione fu anche nominato assessore ai Lavori pubblici; Deputati e senatori..., cit.) – nel 1963 fu eletto alla Camera, ove sarebbe stato rieletto nel 1968, nel 1972 e nel 1976.
Quando, dopo una lunga e complessa gestazione, si giunse alla costituzione del primo governo organico di centro-sinistra guidato da Aldo Moro, nel dicembre del 1963, toccò proprio a Tanassi – che in quei giorni aveva assunto la carica di segretario del PSDI al posto di Saragat, nominato ministro degli Esteri – illustrare le motivazioni del sostegno al nuovo esecutivo nel dibattito alla Camera (Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 13 dicembre 1963, pp. 4096-4103).
La nascita della nuova formula di governo – insieme con altri fattori, in primis l’elezione di Saragat alla presidenza della Repubblica il 29 dicembre 1964 (nella quale anche Tanassi giocò un qualche ruolo: Casanova, 1991, pp. 193 s.) – rilanciò la questione dell’unificazione socialista. Nel 1965 avvenne in effetti un repentino cambio di scena nel processo di creazione del Partito socialista unificato (PSU). Tanassi fu indubbiamente tra i protagonisti di questa accelerazione (e ciò – come rilevava la CIA in un documento della fine del 1965 – rappresentava una svolta per Tanassi, il quale in realtà «until recently had serious reservations about reunification»: CIA, Office of current intelligence, Weekly summary. Prospects improve for Italian socialist reunification, in General CIA Records, CREST, 1965 december 30th).
Forse preoccupato dalle «forze centrifughe alimentate dai comunisti e dai democristiani» (Nenni, 1982, p. 535), Tanassi fu in effetti in quei mesi tra coloro che spinsero con più vigore non solo per raggiungere l’obiettivo della riunificazione, ma anche per realizzarlo in tempi rapidissimi. In un’intervista a Oggi, a fine luglio del 1965, affermò: «Ritengo che l’unificazione socialista possa realizzarsi entro la prima metà del prossimo anno». La sua linea risultò alla fine vincente. Il 30 ottobre 1966 – al termine di un percorso fatto di numerosi passaggi, molti dei quali videro lo stesso Tanassi come protagonista – l’unificazione dei due partiti socialisti in una sola entità divenne un fatto compiuto (Degl’Innocenti, 1993). Tanassi fu nominato segretario del nuovo partito, insieme con Francesco De Martino. L’entusiasmo che accompagnò la ritrovata unità dei socialisti era destinato a durare tuttavia per pochissimo tempo. Polemiche e divisioni emersero in effetti immediatamente e il risultato assai deludente alle elezioni del 1968 le radicalizzò ulteriormente. Di fronte al disastro uscito dalle urne, Tanassi e De Martino scelsero la strada del «disimpegno» del partito dal governo (De Martino, 1983, pp. 322 s.). Tale scelta non servì tuttavia a risolvere la crisi interna. Il primo (e ultimo) congresso del PSU, alla fine di ottobre del 1968, non riuscì a sanare le fratture. La corrente di Tanassi, insieme con quella di Mauro Ferri, Giacomo Mancini e Luigi Preti (sostenuta da Pietro Nenni), ottenne una maggioranza decisamente ristretta e Tanassi fu sostituito da Ferri alla segreteria del partito (Averardi, 1977, pp. 443-446; Degl’Innocenti, 1993, p. 390). Tuttavia, poche settimane dopo, in dicembre, fu nominato per la prima volta ministro – all’Industria, commercio e artigianato – nel primo governo Rumor, che vide il rientro dei socialdemocratici nell’esecutivo.
Con il passare delle settimane la posizione di Tanassi cominciò tuttavia a essere sempre più debole all’interno del partito. Il «dato principale» della controversia riguardava i rapporti con i comunisti, e varie componenti del PSU (soprattutto ex PSI) iniziarono ad auspicare «un diverso confronto parlamentare» con il Partito comunista italiano (PCI) «attraverso il superamento della tradizionale formula della delimitazione della maggioranza». Tanassi, e con lui Saragat, rimasero invece «intransigenti su questo punto» (Craveri, 1995, pp. 417 s.). La scissione era dunque inevitabile. Al termine di un drammatico comitato centrale, all’inizio di luglio del 1969, Tanassi e i suoi – ormai in minoranza – uscirono dal partito e diedero vita al Partito socialista unitario (sarebbe poi ridiventato PSDI nel 1971). Nelle ore successive, Tanassi si dimise anche dal governo. Si apriva così una complessa crisi politica.
Nella prima metà degli anni Settanta Tanassi rimase un protagonista rilevante della vita politica. In quel periodo difficile per la democrazia italiana, fu più volte nominato ministro: in particolare, dal 1970 al 1974, fu quasi ininterrottamente alla Difesa (Rumor III, Colombo I, Andreotti II, Rumor IV). Inoltre, nel marzo del 1974, assunse l’incarico di ministro delle Finanze nel governo Rumor V.
Le cariche ministeriali esercitate non impedirono a Tanassi di continuare a guidare, nella prima metà del decennio, anche la linea politica del PSDI (Casanova, 1992, p. 437), di cui fu più volte presidente e segretario. Tra la fine del 1969 e la prima metà degli anni Settanta la parabola politica di Tanassi e la linea del suo partito furono orientate verso una significativa svolta moderata, un vero e proprio «spostamento a destra» (Ignazi, 2002, p. 39). Tale linea trovò la sua consacrazione con la formazione, all’indomani delle elezioni politiche del 1972, del nuovo governo neo-centrista guidato da Giulio Andreotti: significativamente, nell’esecutivo composto dalla Democeazia cristiana (DC), dal PSDI e dal Partito liberale italiano (PLI) con l’appoggio esterno del Partito repubblicano italiano (PRI), Tanassi fu chiamato all’incarico di ministro della Difesa e a quello di vicepresidente del Consiglio. Proprio la sua decisione di tornare al passato centrista determinò l’avvio di una crescente freddezza con Saragat, che negli anni successivi sarebbe sfociata in vera e propria rottura (Casanova, 1991, p. 262). Significativamente, nel marzo del 1973, lo stesso Tanassi in un’intervista a Panorama suggerì un netto mutamento di linea, dichiarando sostanzialmente esaurita la formula centrista e auspicando un ritorno in tempi brevi al centro-sinistra organico, ma ciò non riuscì ad appianare le divergenze con Saragat. Le tensioni tra i socialdemocratici sarebbero anzi cresciute nei mesi successivi e ad alimentarle fu, forse, soprattutto Tanassi. Compiendo un processo esattamente inverso rispetto a quello realizzato circa un anno e mezzo prima, alla direzione del PSDI del 1° ottobre 1974 annunciò infatti la fine del centro-sinistra. La linea di Tanassi aprì così uno scontro pesantissimo all’interno del partito, nel corso del quale egli cominciò a essere contestato apertamente non solo dalle correnti di sinistra ma anche da una parte della sua stessa maggioranza (Colarizi, 1998, p. 443). La resa dei conti avvenne al Congresso di Firenze (11-15 marzo 1976), dal quale non uscì alcun vincitore ma solo un «grande sconfitto» (Fornaro, 2003, p. 326) duramente contestato: Tanassi. La sua corrente ottenne infatti una maggioranza relativa (32,3%), mentre gli altri quattro raggruppamenti si coalizzarono proprio contro di lui che, ormai profondamente isolato, venne sostituito alla guida del PSDI da Saragat (pp. 326-329). Insieme alle ragioni legate alla linea politica e alla gestione del partito, nella sua sconfitta un ruolo decisivo lo giocò certamente l’esplosione, un mese prima, dello scandalo Lockheed.
Il 4 febbraio 1976 avevano infatti cominciato a circolare le prime notizie, provenienti dagli Stati Uniti, di possibili tangenti intorno a una fornitura allo Stato italiano di quattordici aerei Hercules C-130 prodotti dalla società americana Lockheed. Erano coinvolti anche due ex ministri della Difesa: il democristiano Luigi Gui e Tanassi. Iniziò così una complessa e assai dibattuta vicenda politico-giudiziaria-istituzionale, nel corso della quale Tanassi affermò sempre con forza la sua innocenza. Il 29 marzo 1976 l’autorità giudiziaria ordinaria trasmise gli atti al presidente della Camera e all’inizio del 1977 la Commissione parlamentare inquirente per i procedimenti d’accusa invitò la Camera stessa a deliberare la messa in stato d’accusa di Tanassi e Gui. Il 3 marzo 1977 si aprì il dibattito parlamentare in seduta comune e il 10 marzo fu deliberato il rinvio alla Corte costituzionale («integrata da 16 giudici “aggregati”»: Caprara, 2001, p. 1153) e dunque la messa di stato di accusa sia di Gui sia di Tanassi. Il 1° marzo 1979 la Corte costituzionale integrata emise la sentenza definitiva: Gui venne assolto «per non aver commesso il fatto» e Tanassi, al contrario, venne riconosciuto «colpevole del reato di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio» e fu quindi condannato (si trattava di una condanna «inappellabile e senza precedenti») «a due anni e quattro mesi di reclusione, 400 mila lire di multa, l’interdizione dai pubblici uffici per due anni, sei mesi e venti giorni» (Tanassi fu detenuto nel carcere romano di Rebibbia per sei mesi, per essere poi affidato ai servizi sociali. Terminò la pena nell’estate del 1981; ibid., p. 1154; Giurisprudenza costituzionale, 1979, p. 97; su queste due pubblicazioni si è principalmente basata l’analisi fin qui svolta sul caso Lockheed). A seguito della sentenza, il 13 marzo 1979 la Camera dichiarò la decadenza del suo mandato parlamentare; il 22 luglio 1980, valutando le responsabilità di natura esclusivamente «contabile-amministrativa» (Corriere della sera, 6 aprile 1984), la prima sezione giurisdizionale della Corte dei conti condannò Tanassi e l’ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Sergio Duilio Fanali a restituire un miliardo e 308 milioni per grave danno patrimoniale allo Stato. Nell’aprile del 1984, tuttavia, la Corte dei conti a sezioni riunite annullò questa sentenza di primo grado, prosciogliendo definitivamente Tanassi e Fanali dall’accusa di danno erariale.
Il caso Lockheed segnò la fine della carriera politica di Tanassi. Dopo quella sentenza non ricoprì alcun ruolo di primo piano e si limitò perlopiù a riaffermare con forza la propria innocenza, non esitando a formulare critiche e accuse anche assai dure riguardo al processo («politico», a suo avviso) che lo aveva colpito. Lo fece soprattutto nei suoi pochi interventi pubblici: con l’obiettivo di difendersi dalle accuse pubblicò un volume, Ara laica (Roma 1987), e rilasciò rare interviste. Rimase insomma «fuori gioco», come definì egli stesso la sua condizione in un’intervista al Corriere della sera il 21 marzo 1988. E ciò fu vero fino alla sua morte, che lo colse a Roma il 5 maggio 2007.
Fonti e Bibl.: Si vedano le interviste a Tanassi di L. Rizzi, Nuove elezioni se il PSI va all’opposizione, in Oggi, 29 luglio 1965, pp. 12-14; E io vi dico che anche De Gasperi..., in S. Lorenzetto, Dimenticati, Venezia 2000, pp. 327-337 (del 23 novembre 1998); T. Occhionero, in Albania News, novembre 2001, pubblicata il 16 maggio 2013, in https://www.albanianews.it/cultura/intervista-con-mario-tanassi-lultimo-dei-topia; il 17 giugno 2013, in https://www.albanianews.it/arberia/storia-arberia/mario-tanassi-seconda-ed-ultima-puntata (3 febbraio 2019). Deputati e senatori del IV Parlamento, Roma 1963; G. Romita, Taccuini politici (1947-1958), Milano 1980; P. Nenni, Gli anni del centro-sinistra. Diari (1957-1966), a cura di G. Nenni - D. Zucàro, Milano 1982; F. De Martino, Un’epoca del socialismo, Firenze 1983.
G. Averardi, I socialisti democratici, Milano 1977, ad ind.; Giurisprudenza costituzionale, XXV (1979), n. 10 (suppl.), ad ind.; G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro-sinistra, Milano 1990, ad ind.; A.G. Casanova, Saragat, Torino 1991, ad ind.; Id., M. T., in Il Parlamento italiano (1861-1988), XIX, Milano 1992, pp. 437 s.; M. Degl’Innocenti, Storia del PSI, III, Dal dopoguerra a oggi, Roma-Bari 1993, ad ind.; P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, Torino 1995, ad ind.; S. Colarizi, Storia dei partiti nell’Italia repubblicana, Roma-Bari 1998, ad ind.; M. Caprara, Il caso Lockheed, in Storia d’Italia, Annali, XVII, Il Parlamento, a cura di L. Violante, Torino 2001, pp. 1127-1154, ad ind.; P. Ignazi, Il potere dei partiti, Roma-Bari 2002, ad ind.; F. Fornaro, Giuseppe Saragat, Venezia 2003, ad indicem.