TERZAGHI, Mario
Nacque a Firenze il 13 luglio 1915 da Michele e da Lavinia Donati, che nel 1926 si trasferirono a Milano, dove Michele, avvocato, aveva uno dei due studi (l’altro era a Roma).
Conclusi gli studi superiori, si iscrisse alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano dove conobbe Augusto Magnaghi Delfino (Milano, 27 agosto 1914; figlio di Carlo e di Dorina Alberizio): i due studenti strinsero una duratura amicizia che si tradusse in un fattivo sodalizio professionale, interrotto soltanto dalla prematura morte di Magnaghi, nel 1963.
Durante la formazione accademica i due giovani ebbero tra i propri docenti Gio Ponti, Giovanni Muzio, Enrico Agostino Griffini e Piero Portaluppi e conobbero tanto la misura del neoclassicismo milanese quanto gli stimoli del razionalismo italiano. Fu soprattutto quest’ultimo a influenzare i futuri architetti, che svolsero il praticantato presso lo studio di Giuseppe Terragni e Pietro Lingeri: Magnaghi vi introdusse l’amico come disegnatore mentre, nel 1934, veniva preparato il concorso per il palazzo del Littorio a Roma. E sempre Magnaghi, partecipe dei fermenti futuristi e vicino agli artisti del gruppo astrattista comasco, coinvolse Terzaghi nella firma del Manifesto del Gruppo Primordiali Futuristi Antonio Sant’Elia (1941).
Laureatisi rispettivamente nel 1936 e nel 1939, Magnaghi e Terzaghi furono chiamati alla leva militare, frequentarono la scuola per allievi ufficiali e vennero inviati sui campi di battaglia, il primo nei Balcani e il secondo in Grecia e Albania. Dopo la fine del conflitto, tornati a Milano, costruirono le rispettive famiglie: Terzaghi sposò Rina (Cesarina) Maggioni nel 1950 e i due ebbero Luca Michele; poco dopo, nel 1952, Magnaghi sposò Carla Sacchi, con cui ebbe Paola.
I due architetti appartengono alla cosiddetta “generazione di mezzo” costituita dai professionisti nati tra gli anni Dieci e i primi anni Venti del XX secolo e, con poche eccezioni, compressa tra il ruolo di guida dei maestri (Franco Albini, BBPR ecc. e, appunto, Terragni e Lingeri) e le istanze di rinnovamento della successiva generazione (Vittorio Gregotti, Gae Aulenti, Aldo Rossi ecc.). La loro adesione alla cultura razionalista non fu, dunque, una drammatica frizione con il passato, bensì l’esito di un’etica consolidata, sviluppata sull’esempio dei maestri e, nel secondo dopoguerra, rimodulata seguendone i principi di revisione critica.
Magnaghi e Terzaghi esordirono tra il 1936 e il 1939 grazie ai concorsi di architettura, presentandosi da soli o insieme ad alcuni compagni di studi (Gianni Albricci, Luigi Belloni, Luigi Comencini, Annibale Fiocchi, Pier Italo Trolli, Marco Zanuso) e dimostrando la predisposizione al lavoro di gruppo finalizzato a specifici obiettivi. Questi primi progetti rivelano sia il desiderio di evidenziare il sistema strutturale e le numerose aperture vetrate, sia l’attenzione a declinare il razionalismo in un’accezione mediterranea; in entrambi i casi rifuggono monumentalità e magniloquenza. Ne sono esempio il concorso Securit-Vis (1936), il completamento di piazza Duomo a Milano (1937) e il premio “Camillo Boito” per un teatro lirico da 3.000 posti bandito dall’Accademia di belle arti di Brera (1939), contraddistinti da esili strutture in metallo o cemento e pannelli vetrati, oppure i Littoriali di architettura per una chiesa in Africa Orientale (1937) e per un quartiere operaio in provincia di Ragusa (1939), che richiamano un’identità latina del costruire.
Fu Giuseppe Pagano a riconoscere apertamente il valore dei due architetti lodandone equilibrio, linearità compositiva e riferimento alla tradizione che stemperano il rigore funzionale: lo sostenne commentando il loro primo incarico nel campo dell’edilizia popolare, il settore dove meglio presero corpo i principi etici del razionalismo. Magnaghi e Terzaghi abbracciarono, infatti, l’impegno sociale della “casa per tutti”, e grazie alla personale coerenza di metodo lo mantennero invariato anche nel secondo dopoguerra lavorando per l’INA-Casa.
La loro opera prima, la casa d’affitto a Fino Mornasco (1939), ne è testimonianza: è un edificio di piccole dimensioni in cui risaltano la nitida geometria dei volumi e il sistema strutturale (due blocchi residenziali connessi dal vano scale, murature laterali portanti e, in facciata, profonde logge aperte). Significativo, inoltre, è il ricorso ad un modulo quadrato che regola l’intera composizione: l’impostazione modulare e geometrica del progetto è, infatti, un’altra costante nell’opera dello studio e distingue diversi edifici e prodotti di design successivi.
La casa d’affitto di Fino Mornasco, seguita dalle case Ve.de.me., realizzate a Milano con Pietro Lingeri (1941-44), è il manifesto del principio “non case popolari, non case di lusso” coniato da Magnaghi, cioè abitazioni dignitose e proporzionate, intelligentemente distribuite e aperte verso l’esterno grazie ad ampie finestre, balconi, logge e terrazze.
In virtù di tali esperienze, nell’immediato dopoguerra, furono coinvolti nella sperimentazione di sistemi prefabbricati per il quartiere residenziale QT8 (Quartiere Ottava Triennale, 1947) e si dedicarono a diversi progetti insieme all’ingegnere pavese Gaetano Ciocca: la proposta per il nuovo piano regolatore di Milano (1945), anche con Amos Edallo e Luigi Mattioni, e il concorso per la sistemazione della piazza e della stazione centrale di Milano (1952).
La partecipazione al QT8 fu l’inizio di una rinnovata stagione della “casa per tutti” che risorse dalle distruzioni belliche anche attraverso programmi istituzionali stranieri: è questo il caso dei finanziamenti dell’ERP (European Recovery Program) grazie ai quali Magnaghi, Terzaghi e Giampiero Bonicalzi furono incaricati di progettare un’abitazione modello per i dipendenti della cartiera Vita Mayer che, esposta alla Mostra della Casa Moderna a Torino (1949), venne poi edificata in maniera differente sui terreni della cartiera in provincia di Varese, nel “villaggio” di Cairate (1950) e nel quartiere di Lonate Ceppino (1950). Sempre nel Varesotto, dopo il progetto di abitazione-tipo “INA 4” (1950), Magnaghi e Terzaghi ottennero vari incarichi per l’INA-Casa a Cassano Magnago, Fagnano Olona, Gemonio e Jerago (1951), dove eseguirono anche la bella scuola elementare (1954). Ancora per l’INA-Casa realizzarono abitazioni nel milanese e nel pavese (Monza, 1952; Magenta e Belgioioso, 1953; ecc.), sino a partecipare a grandi quartieri milanesi con il Comasina (1953-63) e il Feltre (1957-63); inoltre, all’interno dell’équipe di progettazione del Feltre, coordinata da Gino Pollini, Terzaghi fu capo di uno dei sottogruppi.
Magnaghi e Terzaghi contribuirono, dunque, a configurare il volto moderno delle province gravitanti intorno a Milano e, accanto ai migliori nomi del professionismo milanese (Luigi Caccia Dominioni, Vico Magistretti, Asnago e Vender, ecc.), intervennero anche nel capoluogo lombardo: qui furono autori di edifici per uffici, abitazioni e chiese, delle quali una in seno al “Piano per le Nuove Chiese” voluto dall’arcivescovo Giovanni Battista Montini. Sorsero, così, tra gli altri i palazzi Bica in via S. Giovanni sul Muro (1955-58) e in via Vittor Pisani (1962-65), i condominî di via Festa del Perdono (1957), via Liutprando e via Caboto (1960), e la chiesa di S. Filippo Neri alla Bovisasca (1961-64), tanto introversa e austera quanto trasparente e leggera era la precedente chiesetta varesina presso la villa Cagnola a Gazzada (1959-63).
Pienamente inseriti nelle iniziative culturali milanesi, i due architetti presero parte a diverse esposizioni della Triennale di Milano: nel 1954 allestirono il padiglione del Fiore con Carlo Pagani e nel 1957 collaborarono all’organizzazione della Mostra dell’abitazione. Nel 1960, infine, esposero il prototipo di scuola mono-aula pluriclasse progettato per la Snam Progetti, foriero di ulteriori incarichi (le case per dirigenti a San Donato, 1960-61, il quartiere Anic a Pisticci, 1961-62, il centro turistico di Pugnochiuso con gli studi Bacigalupo e Ratti, Chiaia e Napolitano, 1962).
Formati nel principio “dal cucchiaio alla città”, i due architetti si dedicarono anche al settore dell’arredo, e il primo a occuparsene fu Magnaghi, che, sin dal 1945, stabilì un solido rapporto di lavoro con l’azienda SAFFA (Società Anonima Fabbriche Fiammiferi e Affini): nacquero così i mobili componibili MV (in collaborazione con Dino Vailati), seguiti dalla celebre cucina del solo Magnaghi (1954), premiata con il Compasso d’Oro, allora appena istituito. L’iniziativa di Magnaghi stimolò anche Terzaghi, e insieme, sollecitati dalla necessità di completare progetti di interni o di architettura (ad esempio l’appartamento Guffanti, 1951-56, o gli uffici per la società Bica del Gruppo Montecatini, 1955-59, entrambi a Milano), crearono per la FGB (oggi Gruppo Busnelli) numerosi pezzi, tra i quali il divano Bilux, la poltrona Maxia, il salotto Talia (1955) e per la Olivari la maniglia Bica (1959). Per la Rossi di Albizzate, invece, progettarono casa e laboratori (1956-58) e subito dopo la mostra-vetrina lungo l’autostrada Milano-Varese. Si era generata una sorta di circolarità di incarichi che confermava l’efficacia della formazione politecnica: Magnaghi e Terzaghi, infatti, realizzarono anche nuovi fabbricati per la cartiera Vita Mayer (1959), per la cartiera della SAFFA a Magenta (1960) e per la fonderia e officina Olivari a Borgamanero (1962-64), mentre ristrutturarono lo stabilimento della FBG a Meda (1958-62).
Verso la fine degli anni Cinquanta Magnaghi e Terzaghi inaugurarono una seconda stagione di concorsi, alcuni dei quali sviluppati con imprese di costruzioni secondo la formula concorso-appalto, ma soprattutto si dedicarono all’edilizia sanitaria, approfondendo l’esperienza decennale avviata sin dal 1949 con Ignazio Gardella e con la progettazione dell’ospedale di Ivrea. Tra il 1957 e il 1963 realizzarono per l’INAM (Istituto Nazionale Assistenza Malattie) diversi poliambulatori a Milano (piazzale Accursio, via Stromboli, via Andrea Doria e via Emilio Gola) e in provincia (Laveno Mombello, Cremona).
La morte prematura di Magnaghi (Milano, 23 novembre 1963) indusse Terzaghi a completare le numerose opere intraprese in comune e, pur lavorando intensamente, a non stringere nuove associazioni tranne con Rodolfo Vettorello, in funzione di specifici obiettivi.
Iniziato con Magnaghi, ma eseguito dal solo Terzaghi, è l’ospedale civile di Magenta, opera innovativa a impianto tripartito, isolato in un ampio giardino e circondato da edifici ausiliari (1963-70). Seguirono i padiglioni per gli ospedali di Calcinate (1965) e di Legnano (1966), il poliambulatorio INAM di Cernusco sul Naviglio (1970), i concorsi per gli ospedali di Biella (1970) e di Monfalcone (1972). Altri incarichi significativi degli anni Settanta furono le scuole Ducatona e Repubblica a Casalpusterlengo, il plesso scolastico di Desio e, a Milano, gran parte del CAMM (Consorzio Autostazione Merci Milano). Negli anni Ottanta-Novanta Terzaghi intraprese alcune lottizzazioni private a Menzonigo, Besana Brianza e Ranzanico che rimandano al mai sopito interesse per il tema dell’abitazione. Tra gli ultimi lavori vi furono il centro sportivo e il bocciodromo di Lissone, esito del metodo pignolo e preciso che Terzaghi diceva maturato dall’esigenza di ottenere la “satisfaction de l’esprit”, obiettivo e premio di una vita vissuta per l’Architettura.
Terzaghi si spense a Milano il 26 dicembre 1998.
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