ZAFRED, Mario.
– Nacque a Trieste il 2 marzo 1922 da Riccardo, morto giovanissimo nel 1923, e da Alma De Bresciani, impiegata delle Ferrovie.
La sua formazione iniziale ebbe luogo a Trieste, con Vito Levi, musicista appartenente al circolo culturale triestino di Giani Stuparich, quindi al conservatorio di Venezia, con Gian Francesco Malipiero. In seguito frequentò il corso di composizione di Ildebrando Pizzetti alla Regia Accademia di S. Cecilia di Roma: si diplomò nel 1944 con il massimo dei voti e continuò a studiare nel corso di perfezionamento del maestro. Qui conobbe Lilyan Marengo, allora allieva del perfezionamento in pianoforte; nel 1951 si sposarono; dall’unione nacquero i figli Lea, nel 1952, e Riccardo, nel 1954. Frattanto, nel 1943, Zafred seguì il corso di tecnica del suono presso il Centro sperimentale di cinematografia di Roma, uno studio che gli sarebbe tornato poi utile nella composizione di colonne sonore cinematografiche.
Nel 1947 si trasferì a Parigi, dove per due anni, grazie a una borsa di studio offerta dal governo francese, proseguì gli studi di composizione. Ritornato in Italia, avviò una brillante carriera anche come critico musicale, collaborando a due giornali vicini alla propria ispirazione politica di sinistra: il quotidiano L’Unità (1949-1956), nell’edizione romana, e il settimanale socialista La Giustizia (1956-63).
Risalgono al primo periodo varie composizioni: nel 1940 la Sonatina per pianoforte, l’anno dopo la Sonata per pianoforte (ne seguirono altre quattro, fino al 1976), nel 1943 le sinfonie prima e seconda, il Concerto per due pianoforti e la Serenata per sei strumenti, opere dalle quali traspare una giovanile attrazione per l’esperienza dodecafonica. Nel decennio seguente maturò una crescente autonomia nei confronti dei linguaggi dell’avanguardia, non senza un’aperta polemica nei loro riguardi, arrivando anzi a criticarne apertamente «ogni forma di intellettualismo» (Viozzi, 1951, p. 14). Semmai nella musica di Zafred si riaffacciavano echi di Paul Hindemith e di Béla Bartók; per questa via egli mostrò rinnovato interesse per «arcate di musica governate dal periodare classico [...], secondo lo schema tradizionale della sonata» (p. 16), e per il discorso musicale beethoveniano, reso ora con dialettica originale, animata dall’impiego della scala ottatonica e di combinazioni contrappuntistiche. Già nel 1951 Giulio Viozzi, in Il Diapason, poté scrivere: «Zafred parteggia per quella che ritiene ‘sensibilità popolare’, applaude alla musica chiaramente accessibile, offre conforto e ricreazione [...]. Una musica robustamente ‘popolare’, non distante dal melos nazionale, patrimonio di ognuno» (ibid., p. 15). Del pari Massimo Mila (1965), in parallelo ai fenomeni del neo-realismo nella letteratura, nel cinema, nelle arti visive, sottolineava in Zafred il proposito di «riportare la musica vicino agli uomini, e magari restituirle una vera e propria funzione sociale nel mondo moderno» (p. 396). Non distante da questa interpretazione appariva John Weissman (1963), che in Zafred apprezzava «l’umanesimo musicale» e la costante ricerca di una nuova «accessibilità» attraverso un linguaggio a tratti «neo-barocco», che peraltro non inibiva il libero ricorso ad elementi seriali, seppure non rigidamente dodecafonici, e a un’ampia varietà cromatica, così come a una scrittura strumentale lucida, strettamente logica (pp. 6, 10).
La felice elaborazione di tocchi di colore istriano si manifestò con evidenza, dopo le prove giovanili, nella terza sinfonia, Canto del Carso (1949), poi nella quarta, In onore della Resistenza (1950), dove l’intervento emotivo della celebre canzone partigiana Fischia il vento – versione italianizzata della canzone popolare russa Katjuša – si integra nel contesto senza fratture di stile, con forza e plasticità di espressione.
Era la prima volta che un compositore italiano del dopoguerra inseriva una canzone di chiara ispirazione politica in una composizione sinfonica (Roderick, 2010, p. 244). In tal senso Brunello Rondi in Il Diapason (1953) difese le ragioni etiche dell’autore, valorizzando l’«enfasi generosa» che pervade la composizione (p. 8). Ma nella musica di Zafred entra parimenti il respiro delle sue montagne, ch’egli ben conosceva per averle percorse in lunghe arrampicate, portando con sé minerali, cristalli, fossili, pietre, amorevolmente collezionati, quasi fonte di ispirazione (Valente, 1988, p. 21).
Negli anni Cinquanta compose numerosi concerti solistici: per flauto (1951, pubblicato da Ricordi nel 1957; fu il primo concerto dedicato espressamente al flautista Severino Gazzelloni); per violino (1952); per violino, violoncello e pianoforte (1953), interpretato in prima esecuzione dal Trio di Trieste; per arpa (1955); per viola (1956; debuttò al teatro alla Scala, in apertura della stagione sinfonica di primavera, con Bruno Giuranna solista e Carlo Maria Giulini sul podio); per violoncello (1956); per pianoforte (1957), presentato al XXIII Festival internazionale di musica contemporanea di Venezia del 1960; per due pianoforti (1960), eseguito a Venezia nel 1961 dagli stessi coniugi Zafred; e poi la Musica notturna per flauto in sol e archi, eseguito da Gazzelloni in prima assoluta nel 1962 ancora a Venezia.
Dal 1951 al 1958 compose dieci commenti musicali per il cinema neorealista: Achtung! Banditi! (1951, Carlo Lizzani); Il capitano di Venezia (1951, Gianni Puccini); Una croce senza nome (1952, Tullio Covaz); Cronache di poveri amanti (1954, Lizzani), vincitore del Nastro d’argento per la miglior colonna sonora; il cortometraggio Ventotto tonnellate (1953, Valerio Zurlini); il documentario San Miniato: luglio 1944 (1954, Valentino Orsini, Paolo e Vittorio Taviani); Le ragazze di San Frediano (1955, Zurlini); Giovanna (1955, Gillo Pontecorvo); La donna del giorno (1956, Francesco Maselli); Giovani mariti (1958, Mauro Bolognini). Compose le musiche di scena per L’avventura del povero cristiano, ultima opera letteraria di Ignazio Silone, presentata nel 1968 a San Miniato, regia di Zurlini e scene di Alberto Burri.
Nella produzione di Zafred si riaffacciarono intanto le sinfonie – dopo le prime quattro giovanili, la quinta, Prati della primavera (1954), la sesta (1958), la settima (1969) – e cominciò a maturare l’interesse per il teatro musicale. Nacque così Amleto da William Shakespeare, terminato nel 1959 e allestito all’Opera di Roma nel gennaio del 1961. Nel libretto, firmato dalla moglie Lilyan, il lavoro appare «geometricamente scompartito in nove settori», tre atti di tre scene l’uno: non dunque un sunto dei versi dell’autore, ma «un’essiccazione del testo originale dal quale viene espunta la poesia e quella più alta e ideale respirazione musicale» (Vigolo, 1971, p. 503). Fece seguito il Wallenstein da Friedrich Schiller, che debuttò all’Opera di Roma il 6 aprile 1965. Il libretto, scritto con la moglie, riduce l’immensa trilogia a tre soli atti e sei scene, intessute con gli episodi ritenuti essenziali, tradotti fedelmente. Se il primo pannello schilleriano (L’accampamento di Wallenstein) è soppresso – salvo la sola canzone soldatesca, che ritorna varie volte nell’opera, assicurando unità allo svolgimento drammatico – il primo atto si rifà ai Piccolomini, mentre il secondo e il terzo condensano La morte di Wallenstein. La musica, prosciugata rispetto alla consueta vena lirica dell’autore, adotta «un linguaggio moderno, senza iattanze avanguardiste», puntando a far emergere «la cristallina evidenza del declamato» (ibid., p. 687). Concluse la triade teatrale il Kean, tratto da Alexandre Dumas padre, allestito al teatro Bellini di Catania nel 1981.
Zafred compositore ricevette numerosi riconoscimenti: fra i tanti premi ebbe il Trieste (1953), il Marzotto (1956), il Sibelius (1959), il Città di Treviso (1963). Accolto fra gli accademici di S. Cecilia nel 1960, fu presidente dell’Accademia dal 1973 al 1983; dal 1983 presiedette il Sindacato nazionale musicisti. Ricoprì importanti ruoli istituzionali, fu direttore artistico del teatro Verdi di Trieste (1966-68), dell’Opera di Roma (1968-74) e del teatro lirico sperimentale di Spoleto (dal 1974).
Morì a Roma il 22 maggio del 1987. Nel primo anniversario della scomparsa, l’Accademia di S. Cecilia gli volle dedicare un concerto commemorativo (Valente, 1988, p. 21).
Tra le sue altre composizioni si rammentano, per voce e pianoforte, i Canti di novembre, su liriche di Eugenio Montale (1944), All’Isonzo, sulla poesia omonima di Carlo Michelstaedter (1953), Vergers, da Rainer Maria Rilke (1954); Come se camminassi sull’erba tagliata di fresco, «suite lirica» per recitante, coro e orchestra su testi di Stefano Terra (1949), l’Elegia di Duino per coro e orchestra, da Rilke (1954), le Variazioni concertanti su l’introduzione dell’op. 111 di Beethoven per pianoforte e orchestra (1965), il Sestetto per archi (1967).
Fonti e Bibl.: F. d’Amico, La III Sinfonia di M. Z., in L’Unità, Roma, 28 marzo 1950; D. Carpitella, Il canto della pace del compagno Z. si è levato nell’auditorio del Foro Italico, in L’Unità, Roma, 25 novembre 1951; G. Viozzi, Musicisti italiani: M. Z., in Il Diapason, II (1951), 10-11, pp. 14-16; M. Zafred, Ragioni dell’antiformalismo, in Ulisse, V (1951), 14, pp. 138-143; B. Rondi, Le strade della musica progressiva, in Il Diapason, IV (1953), 5-6, pp. 5-11; R. Vlad, Modernità e tradizione nella musica contemporanea, Torino 1955, p. 197; M. Zafred, Musica e cinema: le eccezioni e la regola, in Ricordiana, II (1956), pp. 476-478; N. Costarelli, M. Z., in Santa Cecilia, IX (1960), 2, pp. 10-14; F. d’Amico, Un premio a Z., in Id., I casi della musica, Milano 1962, pp. 122-125; J.S. Weissmann, Z. e il problema dell’accessibilità, in Musica d’oggi, n.s., VI (1963), 1, pp. 6-17; F. d’Amico, Wallenstein, in Teatro dell’Opera. Stagione 1964/65, Roma 1965, pp. 415-424; M. Mila, Breve storia della musica, Torino 1965, p. 396, 448; F. Agostini, Poetica di contrasti nel “Sestetto per archi” di Z., in Chigiana, n.s., XXIV (1967), pp. 285-292; A. Gentilucci, Guida all’ascolto della musica contemporanea, Milano 1969, pp. 462 s.; G. Vigolo, Intonazione di Amleto, in Id., Mille e una sera all’opera e al concerto, Firenze 1971, pp. 503-505, 687; R. Zanetti, La musica italiana nel Novecento, II, Busto Arsizio 1985, pp. 1387-1393; E. Valente, Z., coerenza di musicista, in L’Unità, Roma, 24 maggio 1987; Id., Z., le note come pietre, ibid., Roma, 17 maggio 1988; R. Zanetti, Z., M., in Dizionario universale della musica e dei musicisti. Le biografie, VIII, Torino 1988, p. 576; R. Pozzi, Z., M., in The new Grove dictionary of opera, IV, London 1992, p. 1200; V. Bernardoni, Z., M., ibid., XXVII, London 2001, p. 717; E. Valente, Musica da riscoprire: ecco un’orchestra per il genio tormentato di M. Z., in L’Unità, 13 maggio 2003; M. Tedeschini Lalli, Z., M., in Enciclopedia del cinema, V, Roma 2004, p. 411; M. Mila, Z., M., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XVII, Kassel 2007, col. 1302; G.P. Minardi, Le tentazioni della dodecafonia, in L’artista, la lampada e l’ombra. Atti del Convegno musicologico... 2002, a cura di P. Peretti - C. Lo Presti, Macerata 2007, pp. 51-70; P. Roderick, Rebuilding a culture: studies in Italian music after fascism, 1943-1953, PhD diss., University of York, 2010, passim; G. Grasso, Carlo Michelstaedter e M. Z., in Quadernetto Giuliano, a cura di A.N. Picotti - D. Padovani, 2017, n. 2, pp. 18 s.