Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La parabola artistica di Rothko riflette un legame assai importante nel Novecento, quello fra l’arte astratta e la ricerca dello “spirituale nell’arte” – come avrebbe detto Kandinskij – che si rivela in una dimensione rituale del fare pittorico, nella quale il colore è protagonista assoluto. Nella sua biografia e nella sua opera – Rothko nasce in Russia e si trasferisce negli Stati Uniti ancora bambino –, sensibilità europea e americana si coniugano in un percorso molto originale.
Può l’arte astratta indagare la spiritualità? Può costruire spazi e architetture? Sono queste due delle ossessioni di Mark Rothko, uno degli indiscussi maestri dell’arte americana.
Nel secondo dopoguerra l’arte statunitense tentava di rispondere e reagire all’inquietudine dell’epoca indirizzandosi verso nuovi orizzonti filosofici e fonti d’ispirazione. Nasce in questo contesto l’espressionismo astratto che in poco tempo diviene la corrente artistica dominante degli anni Cinquanta. Gli artisti che si riconoscono in questo movimento indagano a fondo il rapporto tra artista e opera d’arte e l’importante ruolo svolto dall’inconscio durante il processo creativo. All’interno di questa nuova visione dell’arte ritroviamo due diversi approcci: da una parte la corrente segnica e gestuale di Jackson Pollock e Willem de Kooning, nella quale i grandi quadri sono dipinti con rapide e violente pennellate oppure gettando direttamente il colore sulla tela, assegnando, in tal modo, tanta importanza alla tecnica espressiva quanto alla pittura stessa; dall’altra, la pittura più meditativa di Mark Rothko e degli artisti della color field painting (definizione data nel 1962 dal critico d’arte americano Clement Greenberg), in cui viene preferito lo sviluppo d’intensi, liberi ed evocativi grandi campi di colore.
Mark Rothko (Marcus Rothkowitz) nasce nel 1903 a Dvinsk, in Russia, ma ad appena dieci anni si trasferisce insieme alla famiglia negli Stati Uniti. Nel 1921, con l’intenzione di diventare ingegnere, frequenta la Yale University a New Haven, ma presto abbandona l’università e si trasferisce a New York. Nel 1925 studia all’Art Students League e nel 1928 espone per la prima volta in una collettiva alle Opportunity Galleries di New York. Nel 1929 comincia a insegnare ai bambini presso il Centro ebraico di Brooklyn, impegno che manterrà per oltre 20 anni e che influenzerà profondamente la sua arte.
I primi anni Trenta sono fondamentali per la sua formazione: l’incontro con l’artista americano Milton Avery (1893-1965) lo fa avvicinare a quella semplificazione coloristica che sarà la caratteristica di tutta la sua opera. Poco dopo, nel 1933, le prime due personali al Portland Art Museum e alla Contemporary Arts Gallery di New York lo rivelano al grande pubblico: sono esposti ritratti, paesaggi, nudi e scene urbane. Nel 1935 partecipa alla fondazione del gruppo The Ten, composto da artisti di tendenza astrattista ed espressionista.
All’inizio degli anni Quaranta lavora intensamente con Adolph Gottlieb (1903-1974), sviluppando uno stile pittorico dal contenuto mitologico e derivato dall’arte primitiva. Rothko viene inoltre influenzato dall’arte surrealista, di cui studia le simbologie, i linguaggi, le tecniche di scrittura automatica. Nel 1945 ha l’opportunità, attraverso l’interesse di Peggy Guggenheim di allestire una personale alla galleria Art of This Century di New York.
Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta sviluppa il suo stile pittorico, definito colour field, dato dai diversi rapporti cromatici che vengono a crearsi tra luminose forme geometriche regolari, per lo più rettangoli, dai contorni sfumati.
Nel 1958, per la prima volta, gli è commissionato un ciclo pittorico per uno specifico spazio architettonico: realizzare la “decorazione” dell’elegante ristorante The Four Seasons, nel grattacielo Seagram Building progettato da Mies van de Rohe e Philip Johnson a New York. Rothko realizza tre serie di enormi pitture parietali, per un totale di 40 opere, giocando sulle gamme cromatiche del rosso scuro e del marrone. I richiami ad elementi architettonici, come colonne e porte, permettono ai Murals di suggerire una sensazione di chiusura e di limite al grande ambiente. Tuttavia nel 1960 il progetto ha un epilogo estremamente negativo. Rothko rimane profondamente contrariato dalla pretenziosità degli ambienti dove dovevano essere collocate le sue opere, e quindi decide di recidere il contratto, restituire la somma anticipatagli e riprendersi le tele.
Nel 1962 ha di nuovo la possibilità di realizzare una serie di opere per la mensa della Penthouse, progettata dall’architetto spagnolo Josep Lluis Sert, nell’Holyoke Center dell’Università di Harvard. Per questo progetto dipinge cinque Murals, che in parte sviluppano le ricerche cromatiche condotte per il Seagram Building. L’allestimento finale e, in particolare, le scelte d’illuminazione sono mortificanti per la corretta percezione delle opere, determinando quindi l’ennesimo fallimento del progetto architettettonico-pittorico dell’artista americano.
Dal 1964 al 1967 Rothko ha finalmente l’occasione di realizzare compiutamente la sua ricerca spaziale. Il progetto della Rothko Chapel nasce dalla volontà dei collezionisti d’arte Dominique e John de Menil di commissionare a Rothko un “tempio moderno”, luogo che potesse accogliere persone di qualsiasi fede religiosa ed essere punto d’incontro per le diverse comunità. Ne risulta uno spazio assolutamente straordinario e di assoluta spiritualità. La luce naturale proveniente dall’alto rivela gradatamente le tele, disposte intorno alle pareti della sala ottagonale, esaltando le diverse gradazioni del viola, del rosso porpora, del marrone scuro e del nero. Alla fine degli anni Sessanta realizza una serie di opere su carta in acrilico, che testimonia l’ultima faticosa fase della vita dell’artista, gravemente afflitto da disturbi fisici e depressivi. Il 25 febbraio 1970 Mark Rothko si uccide nel suo studio di New York.
Lo stile del pittore americano si definisce, dunque, all’inizio degli anni Cinquanta, quando decide di dipingere per tonalità cromatiche sovrapposte. In tal modo, eliminando i contrasti di colore, ottiene la modulazione attraverso successive e sottili velature in acrilico. Questa tecnica permette all’artista di rendere la tela satura, e darle quindi un effetto di leggerezza e immaterialità. Diversamente da Pollock, in cui la pittura sprigiona la sua espressività nella qualità materica del colore, Rothko mette in evidenza la materia della tela. In antitesi allo spazio pittorico indifferenziato di Pollock, Rothko presenta uno spazio strutturato, equilibrato, essenziale, in qualche modo architettonico, in cui l’idea di spazio si costruisce attraverso la luce e i diversi piani di colore. A partire dai primi anni Cinquanta, fino alla sua scomparsa, i titoli consistono in semplici sequenze di colori. Nonostante l’ordine compositivo rimanga sostanzialmente invariato, ogni tela appare assolutamente originale. Il potente e raffinato uso del colore si contrappone ai rettangoli fluttuanti, che si semplificano fino a scomparire all’interno delle grandi tele. Come sosteneva Rothko: “Quando uno dipinge un quadro grande, c’è dentro”. Questa idea di pittura, in cui spariscono tutti gli ostacoli tra l’opera e la realtà circostante, genera anche nello spettatore la necessità di una lenta, graduale, silenziosa contemplazione all’opera.
Rothko rifiuterà sempre una lettura puramente formale della sua opera, volendo richiamare l’attenzione, più che sui contenuti, sugli effetti emotivi che la pittura può produrre. Vi è, in altre parole, la ricerca del significato simbolico della forma e del colore, espressa dall’artista attraverso l’essenzialità. In un’intervista, rilasciata da Rothko nel 1957, per descrivere la sua idea di pittura afferma: “Non mi interessano i rapporti di colore o di forma o di altro. Mi interessa soltanto esprimere le emozioni umane basilari (tragedia, estasi, destino ecc.) e il fatto che tanta gente crolli e pianga davanti ai miei quadri dimostra che io comunico con le emozioni umane basilari. Quelli che piangono davanti ai miei quadri vivono la stessa esperienza religiosa che ho vissuto io dipingendoli. E se lei mi dice di essere colpito soltanto dai rapporti cromatici, le sfugge la cosa più importante”.