Brando, Marlon
Attore cinematografico statunitense, nato a Omaha (Nebraska) il 3 aprile 1924. Divo tra i più sensibili e ricchi di talento del cinema hollywoodiano, interprete carismatico, coraggioso e imprevedibile nella scelta dei ruoli, ha prestato la sua nevrotica bellezza virile a personaggi complessi, ambigui e combattuti. Fra i numerosi riconoscimenti ottenuti durante la sua carriera, vanno ricordati i due Oscar che gli sono stati conferiti rispettivamente nel 1955 per On the waterfront (1954; Fronte del porto) di Elia Kazan, e nel 1973 per The godfather (1972; Il padrino) di Francis Ford Coppola, nonché il premio per la migliore interpretazione al Festival di Cannes con Viva Zapata! (1952) ancora di Kazan.
Figlio di un commesso viaggiatore e di un'attrice, aspirante batterista jazz, espulso per cattiva condotta dal collegio militare Shattuck, nel 1943 seguì a New York la sorella Frances. Dopo aver frequentato corsi di pittura e di danza, si iscrisse al Dramatic Workshop, fondato nel 1940 dal regista teatrale tedesco E. Piscator nell'ambito della New School for Social Research e tenuto da S. Adler, seguace delle teorie di K.S. Stanislavskij. Nel 1944 debuttò in palcoscenico in una produzione del Dramatic Workshop, interpretando Gesù Cristo in Hannele di G. Hauptmann. Nello stesso anno esordì a Broadway con la commedia I remember Mama di J. Van Druten, replicata per due anni, cui nel 1946 fece seguito l'insuccesso di Truckline Café di M. Anderson. La carriera teatrale di B. proseguì comunque senza ostacoli: Candida di G.B. Shaw, A flag is born di B. Hecht, L'aigle à deux têtes di J. Cocteau. Il trionfo arrivò, sotto la guida di Kazan, con il ruolo di Stanley Kowalski in A streetcar named desire di T. Williams, magistrale consacrazione del metodo stanislavskiano rielaborato all'Actors Studio dallo stesso Kazan. B. traspose il metodo nel cinema hollywoodiano con il suo sofferto e sorprendente ruolo di debutto, il tenente Ken Wilozek, reduce di guerra condannato a vita alla sedia a rotelle, in The men (1950; Uomini o Il mio corpo ti appartiene) di Fred Zinnemann. Dopo la riduzione cinematografica di A streetcar named desire (1951; Un tram che si chiama desiderio), portato sullo schermo dallo stesso Kazan, in cui B., alla prima nomination della sua carriera (ne otterrà ben sei), dirompente presenza fisica in jeans e canottiera, seppe infondere un'insinuante carica erotica al brutale e volgare Kowalski, personaggio da lui detestato, interpretò la parte del rivoluzionario Emiliano Zapata in Viva Zapata!, ancora del suo mentore Kazan, che gli valse l'affermazione a Cannes. A quello di Zapata seguì il potente ritratto di Marco Antonio, disegnato con pregevole istinto in Julius Caesar (1953; Giulio Cesare) di Joseph L. Mankiewicz. L'anno successivo, grazie al discusso melodramma On the waterfront, girato da Kazan in piena era maccartista, B., nel ruolo del portuale e pugile fallito Terry Malloy, impose all'industria del cinema la sua impareggiabile bellezza da sex symbol, ma anche la sua tecnica raffinata e virtuosistica, il suo stile introspettivo, brusco e inconfondibile, imitato per anni dai colleghi. Divenne definitivamente un'icona del divismo cinematografico, in sella a una Triumph Thunderbird, nella parte del teppista Johnny, capo dei Black Rebels ‒ una banda di motociclisti in giubbotto di pelle ‒ con l'epocale The wild one (1953; Il selvaggio) diretto da Laszlo Benedek, capostipite del filone sul ribellismo giovanile, accusato all'epoca di istigazione alla violenza e vietato in Inghilterra per ben quattordici anni. A questo punto, all'apice del successo critico e commerciale, B., quasi a voler mettere in discussione il suo prestigio, si invischiò inopinatamente in operazioni tutt'altro che riuscite: Désirée (1954) di Henry Koster, in cui interpreta uno svogliato e improbabile Napoleone, e ‒ dopo il musical Guys and dolls (1955; Bulli e pupe) di Mankiewicz ‒ il farsesco The teahouse of the August moon (1956; La casa da tè alla luna d'agosto) di Daniel Mann, nel quale recita in kimono e truccato da giapponese. Dopo Sayonara (1957) di Joshua Logan, B. sposò l'attrice gallese Anna Kashfi, dalla quale si separò dopo pochi mesi. Tornato a offrire un'interpretazione memorabile con il ruolo del tormentato ufficiale nazista Diestl nel melodramma bellico The young lions (1958; I giovani leoni) di Edward Dmytryk, prestò successivamente il suo fascino tenebroso al vagabondo in giacca di pelle di serpente di The fugitive kind (1960; Pelle di serpente) di Sidney Lumet. Risposatosi con l'attrice messicana Movita Castaneda, fondò una sua casa di produzione ‒ la Pennebaker Productions ‒ e quindi esordì nella regia con One-eyed Jacks (1961; I due volti della vendetta), western ambizioso e singolare che mette in scena il lungo duello edipico tra i banditi Rio Kid ‒ lo stesso B. ‒ e Dad Longworth, interpretato da Karl Malden. Il successivo Mutiny on the Bounty (1962; Gli ammutinati del Bounty) di Lewis Milestone, remake dell'omonimo film del 1935, si rivelò una catastrofe produttiva, anche a causa dello stesso ingovernabile B. che impose il cambio del regista (Milestone al posto di Carol Reed) nonché continue modifiche alla sceneggiatura, abbandonò per quasi un anno il set nel Pacifico (dove peraltro incontrò la futura compagna polinesiana, Tarita) e scoprì l'atollo corallino di Tetiaroa che acquistò poi nel 1966. Coinvolto in progetti contraddittori e ben poco significativi, B. tornò a livelli più consoni alle sue qualità con il ruolo dello sceriffo di The chase (1966; La caccia) di Arthur Penn, del cacciatore di bisonti di The Appaloosa (1966; A sud-ovest di Sonora) di Sidney J. Furie e, al fianco di Sophia Loren, del diplomatico milionario in crociera su un lussuoso transatlantico in A countess from Hong Kong (1967; La contessa di Hong Kong), ultimo e controverso film di Charlie Chaplin. Fornì inoltre un'interpretazione estremamente incisiva in Reflections in a golden eye (1967; Riflessi in un occhio d'oro) di John Huston, utilizzando le sfumature più preziose del suo repertorio d'attore per dar corpo alla figura problematica dell'impotente maggiore Penderton. L'andamento altalenante della carriera di B. venne però confermato in pieno dai suoi impegni successivi: dall'improbabile Candy (1968; Candy e il suo pazzo mondo) di Christian Marquand allo stereotipato The night of the following day (1969; La notte del giorno dopo) di Hubert Cornfield, fatto licenziare dallo stesso B. a due settimane dalla fine delle riprese. Dopo l'avventuriero colonialista inglese Sir William Walker di Queimada (1969) di Gillo Pontecorvo, B. fu il perverso giardiniere di The night comers (1971; Improvvisamente un uomo nella notte), dal romanzo The turn of the screw di H. James, diretto da Michael Winner, salvo poi ritrovarsi ai margini dell'industria cinematografica, con la pessima fama di star costosa, capricciosa e inaffidabile. Il suo declino artistico e commerciale si arrestò grazie a due appariscenti interpretazioni, che ridiedero lustro al suo carisma e lo riproposero clamorosamente alla ribalta del pubblico internazionale. Con il don Vito Corleone del kolossal The godfather diretto da F.F. Coppola, prova di tale bravura da sconfinare nel manierismo, B. ottenne quel suo secondo Oscar che, assente alla cerimonia di consegna, fece polemicamente rifiutare da una giovane apache nel quadro della sua lunga e appassionata battaglia per i diritti civili dei nativi americani. Nel film scandalo Ultimo tango a Parigi (1972) di Bernardo Bertolucci, rappresentò il mito erotico degli anni Settanta prestando il suo volto segnato e il suo fisico in declino al personaggio fin troppo emblematico di Paul, il funereo americano alla deriva nel vecchio continente con la sua furibonda disperazione e il suo cappotto liso. Dopo una lunga pausa, B. si ripresentò con un'altra rimarchevole performance in The Missouri breaks (1976; Missouri) spiazzante western di A. Penn, per poi prestarsi a una fulminea apparizione di dieci minuti, del resto ricompensata con un ricco cachet, nel poco convincente Superman (1978) di Richard Donner. Indimenticabile, però, l'anno successivo, la sua epica, sinistra e magnetica raffigurazione del delirante colonnello Kurtz nel titanico Apocalypse now di Coppola, prova di estrema bravura e di alta maturità artistica in cui B. sembra condensare, nello spazio dei pochi minuti che il suo personaggio occupa sullo schermo, tutte le risorse drammatiche e interpretative di un talento ancora intatto. Tranne la breve parentesi di The formula (1980; La formula), confuso giallo fantapolitico di John G. Avildsen nel quale compare in tre scene nel ruolo di un rapace petroliere, B. si è nuovamente concesso una prolungata assenza dalle scene, soggiornando spesso nel suo atollo privato di Tetiaroa. È riapparso nel dramma anti-apartheid A dry white season (1989; Un'arida stagione bianca) di Euzhan Palcy, per il quale è stato candidato al premio Oscar come miglior attore non protagonista, e nella commedia diretta da Andrew Bergman The freshman (1990; Il boss e la matricola), in cui si è divertito a parodiare la sua leggendaria interpretazione in The godfather. Nel fallimentare Christopher Columbus: the discovery (1992; Cristoforo Colombo: la scoperta) di John Glen, ha dato vita all'inquisitore Torquemada che accusa Colombo di eresia. Un ruolo insolito e interessante per un bel duetto con Johnny Depp è stato offerto a B., sempre più vistosamente ingrassato, da Jeremy Leven con la bizzarra commedia Don Juan DeMarco (1995; Don Juan De Marco maestro d'amore). Negli ultimi anni, implicato in gravi vicissitudini familiari, l'attore è sembrato sempre più disinteressato al suo status divistico, come testimonia l'evidente incuria per il suo fisico degradato, quanto mai significativa per un attore che ha rappresentato il simbolo stesso del sex appeal nell'industria del cinema. Ha dunque ulteriormente centellinato le sue apparizioni, del resto tutt'altro che indimenticabili. Si è visto in The island of Dr. Moreau (1996; L'isola perduta) di John Frankenheimer, per cinque, ma significativi minuti, in The brave (1997; Il coraggioso) diretto e interpretato da Johnny Depp, e in Free money (1998; In fuga col malloppo) di Yves Simoneau.
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