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Il Regno del Marocco, indipendente dalla Francia e dalla Spagna dal 1956, ricopre da sempre un ruolo strategico nei traffici commerciali in entrata e in uscita dallo stretto di Gibilterra. È in questo senso significativo che il Marocco abbia stipulato negli anni importanti partnership commerciali e oltre 50 accordi bilaterali di libero scambio, tanto con i paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo, e in primis con l’Unione Europea, quanto con Stati Uniti, Turchia, altri paesi mediterranei come Tunisia, Egitto e Giordania, e più di recente anche con Cina, Giappone e diverse altre economie latinoamericane, africane e dell’Europa dell’Est.
Tradizionalmente aperto alla cooperazione con le potenze occidentali, il Marocco vive invece i rapporti più controversi dal punto di vista politico con alcuni dei suoi vicini, soprattutto con l’Algeria. I due paesi sono infatti divisi da una rivalità storica, che nei decenni ha mantenuto lo stato delle relazioni bilaterali costantemente in tensione. Su queste pesano in maniera determinante tanto il sostegno algerino al Fronte Polisario, la formazione indipendentista che si oppone a Rabat nella disputa sulla sovranità del Sahara occidentale, quanto i contenziosi legati alla definizione territoriale del confine comune (chiuso dal 1994) e alla gestione dei flussi di immigrazione clandestina. Migliori, anche se altalenanti, sono invece le relazioni con altri due importanti attori regionali come la Tunisia e la Libia, mentre particolarmente intensi sono i legami economici e politici con gli stati del Golfo Persico.
Innanzi alla spartizione, il Fronte Polisario reagì tanto militarmente che politicamente, proclamando la nascita della Repubblica araba democratica dei Sahrawi (Rasd), con l’intento di far guadagnare alla causa sostegno internazionale. L’autoproclamatasi repubblica, il cui governo si trova da allora in esilio ad Algeri, avviò relazioni diplomatiche con numerosi stati, soprattutto dell’Africa e dell’America Latina, e nel giro di pochi anni riuscì a ottenere il fondamentale riconoscimento dell’Organizzazione dell’unità africana e un posto di osservatore alle Nazioni Unite. D’altra parte, l’accordo di spartizione del 1975 risultava in contrasto con le posizioni tanto della Corte di giustizia internazionale che dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, entrambe già pronunciatesi a favore del diritto all’autodeterminazione del popolo Sahrawi.
I primi anni di scontri videro il prevalere del Fronte Polisario - forte dell’appoggio della popolazione Sahrawi e del sostegno logistico dell’Algeria - sulle truppe marocchine e mauritane, costrette a ritirarsi dalla regione nel 1979. L’esito delle operazioni belliche spinse il Marocco a tentare di stabilizzare la propria presenza nel Sahara occidentale tramite la costruzione del cosiddetto ‘muro marocchino’ (noto anche come ‘Berm of Western Sahara’): fortificazioni di sabbia e rocce, circondate da bunker, fossati e campi minati, che negli anni Rabat ha deciso di erigere a difesa dei propri territori nel Sahara Occidentale, per ostacolare le incursioni portate dai guerriglieri del Fronte. Al primo muro del 1982, che servì a proteggere il cosiddetto ‘Triangolo utile’, cioè l’estremità nordoccidentale della regione, dove si trovano i suoi maggiori giacimenti di fosfati e la sua capitale Laâyoune, seguì l’edificazione di altre cinque barriere difensive che, arrivate a una lunghezza totale di circa 2700 km, segnano ancora oggi di fatto il confine tra i territori che il Marocco è andato progressivamente occupando (pari circa al 85% della regione) e quelli che invece rimangono sotto il controllo del Fronte Polisario. Le contromisure difensive adottate da Rabat indebolirono in maniera rilevante l’agibilità operativa del Fronte e spinsero la situazione verso un sostanziale stallo, che portò nel 1991, dopo 15 anni di guerra e circa 15.000 vittime stimate, a un cessate il fuoco tra le parti. L’accordo ha sancito la fine delle ostilità e ha stabilito che la definizione dello status del Sahara occidentale sarà affidata a un referendum, sotto la supervisione delle Nazioni Unite.
Proprio il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha istituito dallo stesso anno la missione internazionale di peacekeeping Minurso (United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara), con l’obiettivo di monitorare la tenuta del cessate il fuoco e la prerogativa esclusiva di preparare il referendum, specie in riferimento alla controversa definizione degli aventi diritto al voto. Dal 2003 l’inviato speciale Un James Baker ha proposto, per sbloccare la situazione di stallo, un piano in due fasi: cinque anni di transizione, durante i quali la regione sperimenti l’autogoverno sotto sovranità marocchina, e un successivo referendum – a tutt’oggi ancora non tenutosi – per la definitiva scelta dell’opzione indipendentista o della integrazione territoriale al Marocco. La proposta di Baker non è stata accettata da Rabat che, seppur disposto ai negoziati (ripartiti dal 2007) continua a ritenere irrinunciabile la sua sovranità sul Sahara occidentale.
Sovranità contese su alcuni territori lungo la costa mediterranea del Marocco (come ad esempio per le cittadine di Ceuta e Melilla) e dispute aperte sulla demarcazione delle acque territoriali (soprattutto in quelle parti in cui è possibile vi siano riserve petrolifere) esistono anche con la Spagna. Le relazioni con Madrid sono notevolmente migliorate negli ultimi anni, essendosi caratterizzate per un volume di scambi commerciali in progressivo aumento, per una crescente cooperazione nell’opera di contrasto ai traffici illeciti di persone e merci, soprattutto droga, e per la comune volontà di regolamentare i flussi di manodopera marocchina, attratti dal mercato del lavoro spagnolo.
Anche con gli Stati Uniti esistono intense relazioni economiche e commerciali. L’asse Washington-Rabat si è inoltre rafforzato intorno a una stretta partnership militare e politica che, consolidatasi dopo il 2001, grazie alla forte collaborazione che il Regno marocchino ha garantito agli Usa nella lotta contro il terrorismo di stampo islamista, è stata suggellata dal conferimento al Marocco dello status di ‘Major non-Nato Us Ally’. Accanto agli Stati Uniti, altro rilevante partner marocchino è l’Unione Europea, con cui il paese ha firmato un accordo di associazione, entrato in vigore dal marzo del 2000. Dal 2004, inoltre, Rabat ha concordato di rafforzare la partnership con Bruxelles istituendo un tavolo di cooperazione che comprende diverse e rilevanti questioni, quali lotta al terrorismo, contrasto ai traffici di droga, controllo sui flussi di immigrazione clandestina, piani di sviluppo economico e sociale, e infine un foro di dialogo politico.
Le tensioni esistenti tra Marocco e Algeria sono state uno dei maggiori freni al ;pieno sviluppo della cooperazione nella regione nordafricana, come dimostrato dalla paralisi dell’Unione del Maghreb arabo (Amu), il mercato comune regionale lanciato nel 1989 con l’intento di creare un’area di libero mercato tra Algeria, Libia, Mauritania, Marocco e Tunisia. Le tensioni tra i due stati hanno inoltre pregiudicato finora il coordinamento a livello regionale nell’attività antiterroristica, che sarebbe particolarmente necessaria in considerazione del carattere transfrontaliero del raggio di azione delle organizzazioni terroristiche attive nei territori marocchino e algerino, come quella di al-Qaida nel Maghreb.
Alla questione del Sahara occidentale è infine legata un’altra peculiarità della politica estera del Marocco, quella di essere l’unico stato africano a non far parte dell’Unione Africana (Au). Rabat, infatti, si ritirò dall’Organizzazione dell’unità africana (predecessore dell’Au) nel 1984, quando questa riconobbe l’indipendenza della Repubblica araba democratica dei Sahrawi, sconfessando così le rivendicazioni marocchine sulla regione.
Il Marocco è retto da una monarchia costituzionale, con un Parlamento eletto secondo regole democratiche. Da luglio 1999 il re è Mohammed VI, successore di Hassan II, a sua volta preceduto da Mohammed V, il padre dell’indipendenza marocchina.
La riforma costituzionale del 1996 affida il potere legislativo a un Parlamento bicamerale, composto dalla Camera dei rappresentanti e da quella dei consiglieri. La prima è composta da 325 membri che vengono eletti tramite suffragio universale ogni cinque anni, la seconda è invece composta da 270 seggi eletti indirettamente, per un mandato di nove anni, da assemblee locali, organizzazioni professionali e sindacati.
Le prime elezioni realmente democratiche e al riparo da brogli elettorali furono quelle del 1997, che videro la sinistra marocchina, a lungo marginalizzata nonostante il forte consenso nel paese, formare una coalizione di governo guidata dallo storico leader dell’Union socialiste des forces populaires, Abderrahmane Youssoufi. L’arrivo al governo di una maggioranza di centro-sinistra segnò l’avvio di una nuova fase della politica marocchina, caratterizzata dal governo dell’alternanza. Dalla fine degli anni Novanta quindi – in coincidenza con la fine del quasi quarantennale regno di Hassan II, caratterizzatosi per le forti restrizioni alle libertà civili e politiche – ha preso avvio un regolare processo di democratizzazione che ha portato a un sistema multipartitico, nel quale le forze politiche nazionali si disputano liberamente consenso e potere. Una competizione al di fuori della quale rimangono solo i tre cosiddetti ‘limiti sacri’: il re, l’islam e la questione del Sahara occidentale. Il panorama politico interno, inoltre, si caratterizza da allora per una grande frammentazione nell’offerta partitica, che obbliga i governi a cercare la convergenza di ampie coalizioni. Se nelle elezioni del 2002 furono 26 i partiti che concorsero alle elezioni politiche, cinque anni più tardi davanti agli elettori si presentarono ben 33 partiti e oltre 13 gruppi di candidati indipendenti.
Alle ultime elezioni del 2007 è tornato a vincere il Partito dell’indipendenza (Parti de l’Istiqlal, Pi), tradizionale punto di riferimento per i conservatori e i nazionalisti. La tornata elettorale è stata tuttavia particolarmente significativa per la bassa affluenza al voto (37%, in calo di 15 punti rispetto al 2002), sintomatica della disaffezione dell’elettorato rispetto alla politica nazionale e al sistema dei partiti, in un paese in cui la corruzione si attesta a livelli elevati.
L’attuale primo ministro Abbas El Fassi, leader del Pi, guida un governo che raccoglie quattro partiti, ma non quello islamico Giustizia e sviluppo marocchino (Pjd), nonostante questo sia stato il secondo partito più votato e goda di un diffuso consenso tra la popolazione. Scelta significativa che dimostra come l’islam politico, seppur moderato, abbia relazioni difficili con l’establishment politico marocchino e viva una posizione di marginalizzazione rispetto agli altri partiti.
Il Marocco è una monarchia costituzionale dove la figura del re ha un duplice importante ruolo: da un lato spirituale, in quanto il re è anche il ‘difensore della fede e comandante della comunità dei credenti’ (Amir al-Mu’minin), dall’altro politico. Alcune funzioni politiche, infatti, come la nomina del capo del governo e di alcuni tra i più importanti ministeri (esteri, interni, giustizia e quello per gli affari islamici), la possibilità di sciogliere il Parlamento e il governo, nonché la facoltà di legiferare tramite decreti regi, sono tutte prerogative del sovrano.
Il re ha inoltre il potere di nominare ambasciatori, ratificare i trattati, è il capo di stato maggiore, designa i governatori delle regioni così come gli amministratori delle imprese statali e supervisiona gli organi giudiziari. La forte presa che la monarchia ha sul sistema politico e sociale marocchino, insieme alla diffusa popolarità e sacralità di cui gode la figura del re – la casa regnante alawita vanta una discendenza diretta dal profeta Maometto – sono due formidabili elementi che rendono il Marocco un paese particolarmente stabile, specie se comparato con altri stati della regione nordafricana. Tale fattore ha in parte contribuito anche alla tenuta del regime marocchino durante la “primavera araba”, l’ondata di rivolte popolari che ha colpito altri paesi dell’area nei primi mesi del 2011.
Il Marocco conta quasi 32 milioni di abitanti, suddivisi in un 56% di popolazione urbana e un 44% che vive invece nelle aree rurali del paese. Il tasso di crescita della popolazione marocchina dai primi anni Ottanta fino alla metà degli anni Novanta ha viaggiato intorno al 2% annuo, mentre per il decennio successivo ha registrato un rallentamento significativo, specie se confrontato con i livelli degli altri paesi dell’area. Dal 1970 ad oggi, il numero totale della popolazione marocchina è comunque più che raddoppiato. Il tasso di fecondità nel paese è diminuito in maniera rilevante dalla fine degli anni Settanta, quando era pari a 5,9 figli per donna, passando nel 2004 a 2,5. La popolazione del Marocco è ancora molto giovane, con un’età mediana di 25,8 anni, ma in progressivo invecchiamento, dal momento che la percentuale di marocchini sotto i 24 anni, che nel 1970 era del 64,3%, nel 2010 si attestava intorno al 47,7%. Sono quasi due milioni i marocchini che negli anni sono emigrati, per la gran parte diretti in Europa – soprattutto in Francia, Spagna, Italia, Belgio e Paesi Bassi.
L’islam è la religione di stato e la quasi totalità della popolazione è sunnita; nel paese è tuttavia garantita e tutelata la libertà di culto. L’arabo è l’unica lingua ufficiale, anche se circa un terzo della popolazione, che è di etnia berbera, è impegnato da lungo tempo per il riconoscimento ufficiale della propria lingua madre, il Tamazight. Il francese è di fatto la seconda lingua, non ufficiale, del paese ed è diffusamente utilizzato dai media nazionali, nell’istruzione superiore e nell’amministrazione.
Nonostante la spesa per l’istruzione sia arrivata a coprire quasi un quinto delle uscite governative e i tassi di scolarizzazione e alfabetizzazione siano in forte crescita, il Marocco rimane in coda nella regione per le statistiche che riguardano il settore, specie per ciò che concerne le zone rurali. L’accesso ai servizi scolastici è poi molto differenziato per genere, con la popolazione femminile che registra tassi di analfabetismo doppi rispetto a quella maschile. In generale, solo il 56% della popolazione totale è alfabetizzata e questo dato pone il Marocco all’ultimo posto in assoluto tra tutti i paesi dell’area maghrebina e mediorientale.
L’economia marocchina conta tradizionalmente su un settore agricolo molto sviluppato che, nonostante vada incidendo con gli anni sempre meno sul Pil, impiega ancora circa la metà della forza lavoro nazionale e si dimostra un settore particolarmente vitale. Il settore agroalimentare è inoltre in grado di attirare rilevanti investimenti esteri, specie in oleifici, zuccherifici e conservifici. Importante è anche l’attività ittica.
Particolarmente strategico è il settore estrattivo: il Marocco è infatti il primo esportatore mondiale di fosfati, di cui il suo territorio abbonda. Il comparto manifatturiero, anch’esso in crescita negli ultimi anni, è concentrato sulle produzioni tessili, sull’abbigliamento e sui settori meccanici ed elettrici; di particolare pregio sono poi la lavorazione del cuoio e la produzione di tappeti.
Il terziario è in continua espansione e sempre più rilevante nel sistema-paese marocchino, con un peso sul pil di più del 50%: al suo interno spicca il settore turistico, sul quale negli ultimi anni converge un’importante attenzione e un corrispondente livello di attivismo da parte del governo. Il Marocco ha attirato nel 2009 più di otto milioni di turisti, per un incasso totale di quasi sette miliardi di dollari, corrispondenti a circa l’8% del pil totale del paese. Per l’ulteriore sviluppo del settore è stato lanciato un piano per il decennio 2010-20, con il proposito di raddoppiare tanto il numero di turisti, quanto la capacità ricettiva delle strutture alberghiere e creare circa 500.000 posti di lavoro.
Il principale obiettivo di politica economica perseguito dai governi marocchini negli ultimi vent’anni è stata la diversificazione dell’economia nazionale dal settore primario e da quello estrattivo, obiettivo da perseguire attraverso la modernizzazione delle infrastrutture economiche e la capacità di attrarre nuovi investimenti tramite la liberalizzazione del mercato e la privatizzazione di assets nazionali strategici (trasporti, infrastrutture, fornitura di servizi pubblici, settore energetico). Scopo primario di queste scelte è imprimere un’accelerazione rilevante dei tassi di crescita, necessaria per creare nuovi posti di lavoro, che riescano ad assorbire i livelli cronici di disoccupazione (specie tra i giovani nelle aree urbane), e per migliorare il tenore di vita di una popolazione che, per una percentuale ancora rilevante (quasi il 15%), vive con meno di due dollari al giorno e registra ancora una forte disparità tra le élites cittadine e la popolazione rurale.
Le tendenze di crescita dell’ultimo decennio sono buone: anche i tassi registrati dal 2008 sono stati positivi, nonostante gli effetti della crisi economica internazionale abbiano colpito il paese e peggiorato lo stato di salute dell’economia nazionale.
I principali partner commerciali del Marocco sono i paesi dell’Unione Europea, in particolar modo Francia, Spagna e Italia, ai primi tre posti per il volume complessivo di interscambio. Da evidenziare sono, infine, le più recenti partnership del Marocco con tutte le principali economie emergenti a livello mondiale, in primis con Cina, Brasile, India, Arabia Saudita e Russia.
Il Marocco non possiede risorse energetiche ed è dunque dipendente dalle importazioni dall’estero. Il petrolio è ancora la fonte primaria più importante per il paese, contribuendo al mix energetico per il 70% del totale. Sono però da sottolineare gli sforzi compiuti dal governo marocchino negli ultimi anni per lo sviluppo delle energie rinnovabili, soprattutto l’energia solare ed eolica. Sono stati infatti stanziati circa 13 miliardi di dollari per la realizzazione della più grande centrale eolica di tutto il continente africano, nei pressi di Tangeri, oltre che per nuove installazioni per la produzione di energia solare. L’obiettivo dichiarato è quello di arrivare a produrre il 42% dell’energia elettrica consumata direttamente da fonti rinnovabili. I progetti hanno attirato l’interesse di molti investitori esteri, soprattutto da Germania e Francia, ma anche di organizzazioni come la Banca mondiale.
Il Marocco partecipa a due missioni internazionale di peacekeeping, in Costa d’avorio (Unoci) e nella Repubblica Democratica del Congo (Monuc), tramite il dispiegamento di due contingenti che contano rispettivamente 726 e 831 soldati marocchini, nonché alla missione militare della Nato in Kosovo. Il grosso degli effettivi che compongono le forze armate marocchine è invece impegnato in misura massiccia lungo le linee di fortificazione nel Sahara occidentale, il cui controllo rimane da più di trent’anni la questione di sicurezza prioritaria per Rabat.
Accanto al Sahara occidentale, l’altro grande tema di sicurezza che il Marocco deve affrontare è quello del contrasto al fondamentalismo di matrice islamica e alla minaccia di terrorismo a questo associata: questione tanto più prioritaria da quando il paese si è trovato, da un lato, a dover gestire le possibili ricadute interne del sostegno offerto alla campagna statunitense contro il terrorismo globale e, dall’altro, a dover organizzare una risposta efficace agli attentati terroristici che nel maggio 2003 colpirono la città di Casablanca. Numerosi sono stati gli arresti di fondamentalisti islamici sospettati di contatti con la rete di al-Qaida, così come drastico è stato il giro di vite lanciato contro i luoghi del radicalismo religioso – che ha portato, per esempio, a imporre vincoli alla predicazione del wahhabismo. Nell’opera di contrasto al fondamentalismo il governo marocchino non ha puntato solo sullo strumento della repressione, ma ha anche deciso di destinare investimenti nel sociale, con l’obiettivo di debellare tutte quelle condizioni di disagio nelle quali il radicalismo trova terreno più fertile – povertà, analfabetismo, disoccupazione, degrado urbano. La minaccia costituita dal terrorismo di matrice islamica, però, è tornata a farsi viva nel 2011, nel mezzo delle rivolte che hanno preso piede in gran pare dei paesi dell’area maghrebina. Il 28 aprile la città turistica di Marrakech è infatti stata oggetto di un attentato, perpetrato tramite una bomba all’interno di un bar della piazza principale del centro urbano. L’esplosione ha provocato 17 vittime, quasi tutti turisti stranieri. L’attentato ha riportato all’attenzione la questione del terrorismo qaidista anche in Marocco e, allo stesso tempo, ha indotto il governo a effettuare un ennesimo giro di vite sulla sicurezza.