Vedi Marocco dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il regno del Marocco, indipendente dalla Francia e dalla Spagna dal 1956, ricopre da sempre un ruolo strategico nei traffici commerciali in entrata e in uscita dallo stretto di Gibilterra. In questo senso è significativo che il Marocco abbia stipulato negli anni importanti partnership commerciali e firmato oltre 50 accordi bilaterali di libero scambio, tanto con i paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo (in primis con l’Unione Europea), quanto con Usa, Turchia, Tunisia, Egitto e Giordania e, più di recente, con Cina, India, Giappone e diverse altre economie latinoamericane, africane e dell’Europa dell’est.
Tradizionalmente aperto alla cooperazione con le potenze occidentali, sul versante regionale, dal punto di vista politico, il Marocco vive i rapporti più controversi con alcuni dei suoi vicini, soprattutto l’Algeria.
I due paesi sono divisi da una rivalità storica, che nei decenni ha mantenuto lo stato delle relazioni bilaterali costantemente in tensione. Su queste pesano in maniera determinante tanto il sostegno algerino al Fronte polisario, la formazione indipendentista che si oppone a Rabat nella disputa sulla sovranità del Sahara occidentale, quanto i contenziosi legati alla definizione territoriale del confine comune (chiuso dal 1994) e alla gestione dei flussi di immigrazione clandestina. Migliori, anche se altalenanti, sono invece le relazioni con altri due importanti attori regionali come la Tunisia e la Libia, mentre particolarmente intensi sono i legami economici e politici con gli stati della Penisola arabica, i quali hanno proposto al Marocco, assieme alla Giordania, di entrare a far parte del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc), nonostante il negoziato sia tuttora sospeso.
Problemi di sovranità contesa su alcuni territori lungo la costa mediterranea del Marocco (le enclave di Ceuta e Melilla) esistono anche con la Spagna. Le relazioni con Madrid sono però notevolmente migliorate negli ultimi anni. Il volume degli scambi commerciali è in progressivo aumento, la cooperazione nell’azione di contrasto ai traffici illeciti di persone e merci, soprattutto droga, è in crescita ed entrambi i paesi dimostrano di voler regolamentare i flussi di manodopera marocchina, attratti dal mercato del lavoro spagnolo.
Anche con gli Usa esistono intense relazioni economiche e commerciali. L’asse Washington-Rabat si è inoltre rafforzato intorno a una stretta partnership militare e politica che, consolidatasi dopo il 2001, grazie alla forte collaborazione che il regno marocchino ha garantito agli Usa nella lotta al terrorismo islamista, è stata suggellata dal conferimento al Marocco dello status di ‘Major non-Nato Us Ally’. Altro rilevante partner marocchino è l’Unione Europea, con cui il paese ha firmato un accordo di associazione entrato in vigore dal marzo del 2000. Dal 2004, inoltre, Rabat ha concordato di rafforzare la partnership con Bruxelles istituendo un tavolo di cooperazione in cui discutere di lotta al terrorismo, contrasto ai traffici di droga, controllo dei flussi di immigrazione clandestina, piani di sviluppo economico e sociale. Il Marocco è entrato a far parte del programma dell’Unione Europea Deep and Comprehensive Free Trade Area (Dcfta), che dovrebbe sancire un rapporto ancora più stretto con Bruxelles, già oggi primo partner commerciale di Rabat. Inoltre, il Marocco è il maggiore destinatario dei programmi di assistenza europei nell’ambito della politica europea di vicinato nel Mediterraneo.
Le tensioni esistenti tra Marocco e Algeria sono state uno dei maggiori freni al pieno sviluppo della cooperazione nella regione nordafricana. È accaduto per esempio con l’Unione del Maghreb arabo, il mercato comune regionale lanciato nel 1989 per creare un’area di libero mercato tra Algeria, Libia, Mauritania, Marocco e Tunisia. Le tensioni tra i due stati hanno pregiudicato finora anche il coordinamento dell’attività anti-terroristica, che sarebbe particolarmente necessaria in considerazione del carattere transfrontaliero delle organizzazioni terroristiche attive lungo il confine tra Marocco e Algeria. A destare allarme sono in particolare le operazioni di al-Qaida nel Maghreb Islamico (Aqim). Alla questione del Sahara occidentale è infine legata un’altra peculiarità della politica estera del Marocco: quella di essere l’unico stato africano a non far parte dell’Unione Africana (Au). Rabat si ritirò dall’Organizzazione dell’unità africana (predecessore dell’Au) nel 1984, quando questa riconobbe l’indipendenza della Repubblica araba democratica Sahrawi, sconfessando le rivendicazioni marocchine sulla regione.
Il Marocco è retto da una monarchia costituzionale, con un parlamento eletto secondo regole democratiche. Da luglio 1999 il re è Mohammed VI, successore di Hassan II, a sua volta preceduto da Mohammed V, il padre dell’indipendenza marocchina.
La riforma costituzionale del 1996, successivamente emendata nel marzo 2011 a seguito delle proteste nell’ambito delle Primavere arabe, affida il potere legislativo a un Parlamento bicamerale, composto dalla Camera dei rappresentanti e da quella dei consiglieri. La prima è composta da 395 seggi, di cui 60 riservati alle donne, assegnati a suffragio universale ogni cinque anni, la seconda è invece composta da 120 membri eletti indirettamente, per un mandato di sei anni, da assemblee locali, organizzazioni professionali e sindacati.
Le prime elezioni realmente democratiche e al riparo da brogli elettorali sono state quelle del 1997, che hanno visto la sinistra marocchina, a lungo marginalizzata nonostante il forte consenso nel paese, formare una coalizione di governo guidata dallo storico leader dell’Union Socialiste des Forces Populaires, Abderrahmane Youssoufi. L’arrivo al governo di una maggioranza di centro-sinistra ha segnato l’avvio di una nuova fase della politica marocchina, caratterizzata dall’alternanza. Dalla fine degli anni Novanta quindi – in coincidenza con la fine del quasi quarantennale regno di Hassan II, segnato da gravi limitazioni alle libertà civili e politiche – ha preso avvio un processo di democratizzazione che ha portato a un sistema multipartitico, nonostante sia da sottolineare che – anche se le riforme costituzionali del 2011 hanno dato più poteri all’esecutivo – il re mantiene gran parte dei poteri.
La competizione elettorale e democratica è ancora oggi circoscritta dai tre cosiddetti ‘limiti sacri’: il re, l’Islam e la questione del Sahara occidentale. Il panorama politico interno, inoltre, si caratterizza per una grande frammentazione nell’offerta partitica, che obbliga i governi a formare ampie coalizioni.
Nel 2007 davanti agli elettori si presentarono ben 33 partiti e oltre 13 gruppi di candidati indipendenti. In quella tornata elettorale è tornato a vincere il Partito dell’indipendenza (Parti de l’Istiqlal, Pi), vicino alla monarchia e tradizionale punto di riferimento sia per i conservatori che per i nazionalisti. Il Pi non è però riuscito a conservare il potere in occasione delle elezioni anticipate del novembre 2011, seguite alle proteste delle Primavere arabe e alle modifiche costituzionali volute dal re per arginare il crescente malcontento popolare. La maggioranza relativa è stata conquistata per la prima volta dal partito islamista moderato Giustizia e sviluppo (Parti de la justice et du développement), che guida l’esecutivo formato da una coalizione di partiti di cui anche Istiqlal fa parte.
La vittoria del Pjd è avvenuta sull’onda delle proteste che, in alcuni paesi, hanno portato al potere le formazioni partitiche islamiste. Al contrario di altre realtà, però, gli islamisti marocchini non hanno manifestato interesse a porre fine al regime monarchico, per quanto i loro rapporti con il re negli anni precedenti la vittoria elettorale siano stati a tratti burrascosi. Inoltre, è interessante sottolineare come il Pjd sia l’unico partito islamico, insieme al tunisino Ennahda, che ha governato tra il 2011 e il 2014 in coalizione con altre forze politiche e non in maniera esclusiva, come è accaduto nella breve parentesi della Fratellanza musulmana al potere in Egitto tra il 2012 e il 2013.
L’acuirsi della crisi economica e la mancata attuazione di riforme hanno portato l’Istiqlal a uscire dalla coalizione di governo il 10 luglio 2013. Ciò ha aperto ufficialmente una crisi rientrata - dopo alcuni mesi di trattative - il 10 ottobre con la formazione di un nuovo esecutivo di centro-destra, composto dagli islamisti di Giustizia e sviluppo, dai conservatori del Mouvement populaire (Mp), dal Rassemblement National des Indépendents (Rni) e dal Parti du Progrès et du Socialisme. Nonostante un buon risultato nelle elezioni locali di settembre 2015, il Pjd ha perso la maggioranza nella Camera alta in seguito alla tornata elettorale dell’ottobre successivo. Il risultato ha compromesso l’efficacia dell’azione di governo e soprattutto messo in dubbio la capacità del partito islamico di ottenere una maggioranza sufficiente nelle prossime elezioni del 2016.
Il Marocco conta circa 33 milioni di abitanti, suddivisi in quasi un 60% di popolazione urbana e un 40,3% che vive invece nelle aree rurali del paese. Il tasso di crescita della popolazione marocchina dai primi anni Ottanta fino alla metà degli anni Novanta è stato del 2% annuo circa, mentre nel decennio successivo ha registrato un rallentamento significativo, specie se confrontato con i livelli degli altri paesi dell’area. Dal 1970 a oggi, la popolazione marocchina è comunque più che raddoppiata. Il tasso di fecondità è diminuito in maniera rilevante dalla fine degli anni Settanta, quando era pari a 5,9 figli per donna, passando ai 2,7 attuali. La popolazione del Marocco è ancora molto giovane, con un’età mediana di 26,3 anni, ma in progressivo invecchiamento, dal momento che la percentuale di marocchini sotto i 24 anni, che nel 1970 era del 64,3%, nel 2010 si attestava intorno al 47,7%. Sono quasi due milioni i marocchini che negli anni sono emigrati, in gran parte diretti verso l’Europa (soprattutto in Francia, Spagna, Italia, Belgio e Paesi Bassi).
L’islam è la religione di stato e la quasi totalità della popolazione è sunnita. Nel paese è tuttavia garantita e tutelata la libertà di culto. La riforma costituzionale del 2011 ha riconosciuto, come lingua ufficiale assieme all’arabo, il tamazight, parlato da circa un terzo della popolazione di etnia berbera. Il francese è di fatto la seconda lingua, non ufficiale, ed è diffusamente utilizzato dai media nazionali, nell’istruzione superiore e nell’amministrazione.
Nonostante la spesa per l’istruzione sia arrivata a coprire quasi un quinto delle uscite governative e i tassi di scolarizzazione e alfabetizzazione siano in forte crescita, il Marocco rimane in coda nella regione per le statistiche che riguardano il settore, specie nelle zone rurali. L’accesso ai servizi scolastici è inoltre molto differenziato per genere: la popolazione femminile registra infatti tassi di analfabetismo doppi rispetto a quella maschile. In generale, solo il 67% della popolazione totale è alfabetizzata e questo dato pone il Marocco alle ultime posizioni tra tutti i paesi dell’area maghrebina e mediorientale. Il paese sta sperimentando un boom della diffusione di Internet, che solo tra il 2013 e il 2014 ha visto i suoi utenti crescere di quasi il 60% e arrivare a circa 8 milioni di persone.
Tradizionalmente, l’economia marocchina dispone di un settore agricolo molto sviluppato che, per quanto il suo peso sul pil sia in costante calo, impiega ancora circa la metà della forza lavoro nazionale e si dimostra particolarmente vitale. Il settore agroalimentare è inoltre in grado di attirare rilevanti investimenti esteri, specie per oleifici, zuccherifici e conservifici. Importante è anche l’attività ittica.
Particolarmente strategico è il settore estrattivo: il Marocco è il primo esportatore mondiale di fosfati, di cui il territorio abbonda. Il comparto manifatturiero, anch’esso in crescita negli ultimi anni, è concentrato sulle produzioni tessili, sull’abbigliamento e sulle aziende meccaniche ed elettroniche; di particolare pregio sono poi la lavorazione del cuoio e la produzione di tappeti.
Il terziario è in continua espansione e sempre più rilevante, con un peso sul pil di più del 55%: al suo interno spicca il turismo, sul quale si concentrano attenzione e sforzi dei governi in carica. Nel 2013 (ultimo dato disponibile) il paese è stato visitato da più di 10 milioni di turisti, per un incasso totale di quasi sette miliardi di dollari, corrispondenti a più del 6% del pil totale. Per l’ulteriore sviluppo del settore è stato lanciato un piano per il decennio 2010-20, con il proposito di raddoppiare tanto il numero di turisti, quanto la capacità ricettiva delle strutture alberghiere e creare circa 500.000 posti di lavoro.
Il principale obiettivo di politica economica perseguito dai governi marocchini degli ultimi vent’anni è stata la diversificazione dell’economia dal settore primario e da quello estrattivo. Per far ciò si è reso necessario modernizzare le infrastrutture e attrarre nuovi investimenti, grazie alla liberalizzazione del mercato e alla privatizzazione di asset nazionali strategici (trasporti, infrastrutture, fornitura di servizi pubblici, settore energetico). La speranza è quella di imprimere un’accelerazione rilevante dei tassi di crescita, necessaria per creare nuovi posti di lavoro che riescano ad assorbire i livelli cronici di disoccupazione (specie tra i giovani nelle aree urbane), e per migliorare il tenore di vita di una popolazione che, in una percentuale ancora rilevante (poco meno del 15%), vive con meno di due dollari al giorno e registra una forte disparità tra le élite cittadine e la popolazione rurale.
Le tendenze di crescita dell’ultimo decennio sono buone, anche se gli ultimi anni hanno comportato una sensibile riduzione della crescita dovuta alle ricadute negative della crisi economica in Europa. Ciononostante il paese, che rimane il più competitivo di tutta l’area nordafricana, ha dimostrato di avere un’economia solida e si prevede che il pil cresca di circa il 5% nei prossimi anni.
I principali partner commerciali del Marocco sono i paesi dell’Unione Europea, in particolar modo Francia, Spagna e Italia, ai primi tre posti per il volume complessivo di interscambio. Da evidenziare le più recenti partnership del Marocco con le principali economie emergenti, in primis con Cina, Brasile, India, Arabia Saudita e Russia.
Il Marocco non possiede risorse energetiche ed è dunque dipendente dalle importazioni dall’estero. Il petrolio è ancora la fonte più importante: contribuisce al mix energetico per il 68,8% del totale. Da sottolineare gli sforzi compiuti dal governo marocchino negli ultimi anni per lo sviluppo delle energie rinnovabili, soprattutto quella solare e quella eolica. Sono stati stanziati circa 13 miliardi di dollari per la realizzazione della più grande centrale eolica del continente africano, nei pressi di Tangeri, e per nuove installazioni per la produzione di energia solare a Ouarzazate e a Salé. L’obiettivo è arrivare a produrre il 42% dell’energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2020. I progetti hanno attirato l’interesse di molti investitori esteri, soprattutto da Germania e Francia, ma anche di organizzazioni come la Banca mondiale.
Il Marocco partecipa a due missioni internazionali di peacekeeping, in Costa d’Avorio (Unoci) e nella Repubblica Democratica del Congo (Monusco), nelle quali dispiega due contingenti rispettivamente di 718 e 844 soldati. Il grosso degli effettivi che compongono le forze armate marocchine è invece impegnato lungo le linee di fortificazione nel Sahara occidentale, il cui controllo è da più di trent’anni la questione di sicurezza nazionale prioritaria per Rabat.
Accanto al Sahara occidentale, l’altro grande tema di sicurezza è il contrasto al fondamentalismo di matrice islamica e alla minaccia terroristica: questione più urgente da quando il paese si è trovato, da un lato, a dover gestire le possibili ricadute interne del sostegno offerto alla campagna statunitense contro il terrorismo globale e, dall’altro, a dover organizzare una risposta efficace agli attentati terroristici che nel maggio 2003 colpirono Casablanca. Sono stati eseguiti numerosi arresti di fondamentalisti islamici sospettati di legami con al-Qaida. Drastica è stata anche la campagna lanciata contro i luoghi del radicalismo religioso che ha portato, per esempio, a imporre vincoli alla predicazione del wahhabismo.
Nell’opera di contrasto al fondamentalismo, il governo marocchino non ha puntato solo sulla repressione e sulla pianificazione di una nuova legge anti-terrorismo, ma ha anche deciso di destinare investimenti nel sociale, con l’obiettivo di ridurre le aree di disagio nelle quali il radicalismo trova terreno più fertile, come la povertà, l’analfabetismo, la disoccupazione, il degrado urbano. La minaccia costituita dal terrorismo di matrice islamica, però, è tornata a farsi viva nel 2011, durante le rivolte scoppiate in gran parte dei paesi del Maghreb. In quell’anno, la città turistica di Marrakech è stata colpita da un attentato: una bomba è esplosa in un bar della piazza principale, provocando 17 vittime, quasi tutti turisti stranieri. L’attentato ha riportato all’attenzione la questione del terrorismo qaidista anche in Marocco e, allo stesso tempo, ha indotto il governo a effettuare un ennesimo giro di vite sulla sicurezza. Durante l’incontro con re Mohammed VI nel 2013 a Washington, il presidente statunitense Barack Obama ha lodato l’impegno marocchino nella lotta al terrorismo e nel fronteggiare le minacce alla sicurezza della regione sahariana, ormai messa a repentaglio anche dal narcotraffico, dalla tratta di esseri umani e dal traffico di armi.
Il Sahara occidentale è una regione che costeggia l’Oceano Atlantico, stretta tra il Marocco e la Mauritania, e abitata in prevalenza dal popolo Sahrawi. È stato una colonia spagnola fino al 1976, anno in cui la Spagna decretò il ritiro dalla regione, avendone preventivamente concordato la spartizione tra Marocco e Mauritania. Secondo l’accordo stipulato con il governo di Madrid il 15 novembre 1975, al Marocco sarebbero spettati i due terzi settentrionali dell’ex colonia, che Rabat aveva già proceduto a occupare in seguito alla cosiddetta ‘Marcia verde’: 350.000 marocchini inviati da re Hassan II oltre il confine con il Sahara occidentale per accelerare i tempi della smobilitazione spagnola e ristabilire la ‘legittima’ sovranità marocchina sui territori sottratti al regno durante la colonizzazione. La Mauritania, invece, inglobò la parte meridionale, ma vi rinunciò ufficialmente dopo solo tre anni, offrendo così a Rabat la possibilità di estendere la propria zona di occupazione.
Alle pretese del Marocco e della Mauritania si oppose da subito il Fronte Polisario (abbreviazione spagnola di Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro), movimento indipendentista già attivo nella regione dai primi anni Settanta, quando si era distinto nella resistenza contro la presenza spagnola. La spartizione provocò la doppia reazione del Fronte Polisario, sia militare che politica, con la proclamazione della nascita della Repubblica araba democratica Sahrawi (Rasd) e il tentativo di ottenere il sostegno internazionale. L’autoproclamatasi repubblica, il cui governo si trova da allora in esilio ad Algeri, avviò relazioni diplomatiche con numerosi stati, soprattutto dell’Africa e dell’America Latina, e nel giro di pochi anni riuscì a ottenere il fondamentale riconoscimento dell’Organizzazione dell’unità africana e un posto di osservatore alle Nazioni Unite. D’altra parte, l’accordo di spartizione del 1975 risultava in contrasto con le posizioni tanto della Corte di giustizia internazionale che dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, entrambe già pronunciatesi a favore del diritto all’autodeterminazione del popolo Sahrawi. I primi anni di scontro videro il Fronte Polisario prevalere sulle truppe marocchine e mauritane grazie all’appoggio della popolazione Sahrawi e al sostegno logistico dell’Algeria, fino a costringerle, nel 1979, al ritiro dalla regione. L’esito delle operazioni belliche spinse il Marocco a tentare di stabilizzare la propria presenza nel Sahara occidentale con la costruzione del ‘muro marocchino’ (noto anche come ‘Berm of Western Sahara’): fortificazioni di sabbia e rocce, circondate da bunker, fossati e campi minati, che Rabat ha organizzato per ostacolare le incursioni dei guerriglieri del Fronte, ma anche per impedire i contatti tra la popolazione rimasta nel Sahara occidentale e i profughi. Al primo muro del 1982, che serviva a proteggere il cosiddetto ‘triangolo utile’, cioè l’estremità nord-occidentale della regione, dove si trovano i maggiori giacimenti di fosfati e la capitale Laâyoune, è seguita l’edificazione di altre cinque barriere difensive che, arrivate a una lunghezza totale di circa 2700 km, segnano ancora oggi di fatto il confine tra i territori che il Marocco è andato progressivamente occupando (pari circa al 85% della regione) e quelli che invece rimangono sotto il controllo del Fronte Polisario.
Le contromisure difensive adottate da Rabat hanno indebolito in modo rilevante la capacità d’azione del Fronte e hanno imposto un sostanziale stallo della situazione. Nel 1991, dopo 15 anni di guerra e circa 15.000 vittime, si è arrivati così a un cessate il fuoco. L’accordo ha sancito la fine delle ostilità e ha stabilito che la definizione dello status del Sahara occidentale sarebbe stata affidata a un referendum, da svolgersi sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha istituito dallo stesso anno la missione internazionale di peacekeeping Minurso (United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara), con l’obiettivo di far rispettare il cessate il fuoco e con il compito di preparare il referendum, soprattutto in riferimento alla controversa definizione degli aventi diritto al voto. Nel 2003 l’inviato speciale Un James Baker ha proposto, per sbloccare la situazione, un piano in due fasi: cinque anni di transizione, durante i quali la regione possa sperimentare l’autogoverno sotto sovranità marocchina, e un successivo referendum – che a tutt’oggi non si è ancora tenuto – per la definitiva scelta dell’opzione indipendentista o della integrazione territoriale al Marocco. La proposta di Baker non è stata accettata da Rabat che, seppur disposta ai negoziati (ripartiti dal 2007) continua a ritenere irrinunciabile la sua sovranità sul Sahara occidentale.