MARONE (Maroni, da Marone), Roberto, in religione fra’ Raffaele o Raffaello da Brescia
Nacque verosimilmente a Brescia nel 1479 dal pittore Giovan Pietro da Marone, originario dell’omonimo centro del lago d’Iseo, membro di una famiglia probabilmente dedita all’arte lignaria.
Non è da confondere con il Raffaello da Brescia pittore di cui fa menzione Vasari nella vita di Francesco Salviati (Fenaroli, pp. 83 s.).
Entrato poco prima del maggio 1501 come converso nel monastero olivetano di S. Nicolò di Rodengo presso Brescia (Brizzi, 1970), durante la sua permanenza ebbe senz’altro modo di approfondire l’arte della tarsia – da lui probabilmente praticata già prima del suo ingresso in monastero – nell’ambito dei lavori di ristrutturazione del complesso abbaziale avviati alla fine del XV secolo. Già nel 1502, infatti, il M. era residente nell’archicenobio dell’Ordine a Monte Oliveto Maggiore, presso Siena, dove presumibilmente era stato trasferito appositamente per essere affiancato al celebre intarsiatore fra’ Giovanni da Verona, reduce dai lavori per il monastero di S. Maria in Organo a Verona e ora incaricato del rifacimento del coro della casa madre della Congregazione. La gran parte dei lavori venne portata a termine fra 1503 e il 1505 con l’ulteriore ausilio dell’oblato fra’ Antonio da Venezia detto il Prevosto; essa consisteva nella messa in opera di 104 stalli su due file, oggi, dopo smembramenti e integrazioni, in Monte Oliveto Maggiore.
Degli originari pannelli intarsiati del registro superiore non ne restano che 14 di mano di Giovanni da Verona, affiancati da altri 30 sempre della stessa mano, ma provenienti dal soppresso monastero senese di S. Benedetto fuori Porta Tufi (1511-12 e 1515-16); altri 38 furono inseriti nel coro del duomo di Siena nel 1813 in seguito alle soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi.
È comunque difficile, anche tenendo conto delle ricorrenze nelle tarsie successive del M., discernere quelle da lui eventualmente eseguite da quelle di fra’ Antonio e di fra’ Giovanni, al quale deve comunque essere ascritto l’intero disegno dell’opera, ritrovandosi nell’impianto figurativo il medesimo verticalismo dei pannelli di S. Maria in Organo. Verticalismo che si stempera in caratteri più armoniosi nelle tarsie per la chiesa del monastero di Monte Oliveto a Napoli: è qui che dalla fine del 1505 fra’ Giovanni, seguito dal M. e fra’ Antonio, portò a compimento entro il 1510 il coro della cappella di Paolo da Tolosa e gli armadi della sacrestia vecchia, le cui tarsie, già nel 1545, furono poi tutte smontate e integrate nel coro per la sacrestia nuova, trasformata, al tempo della soppressione degli ordini religiosi, nell’oratorio dell’Arciconfraternita di S. Anna dei Lombardi.
I due aiuti, concluso il loro ideale periodo di apprendistato e perfezionamento, nel maggio del 1507 rientrarono a Monte Oliveto Maggiore, ove certo furono impegnati a rifinire il coro lasciato due anni prima, difficilmente terminato anche nei particolari prima della trasferta napoletana.
Dal maggio del 1509 il M. risiedeva nell’abbazia di S. Nicola di Rodengo Saiano, probabilmente richiamatovi per realizzare lavori non pervenuti, ora che vi tornava forte delle esperienze intraprese al fianco di fra’ Giovanni.
Purtroppo, lo stato di abbandono in cui cadde l’abbazia di Rodengo con la soppressione degli ordini religiosi del 1797 e la mancanza di pertinenti fondi archivistici anteriori alla fine del XVI secolo non permettono ipotesi circa le probabili, ma perdute, opere realizzate nell’ambito di questa prima chiamata del M. quale autonomo e riconosciuto maestro nell’arte dell’intaglio ligneo e della tarsia.
La figura artistica del M. comincia infatti a delinearsi soltanto con la successiva permanenza nell’abbazia di S. Michele in Bosco a Bologna. Giuntovi nel 1513 per lavorare al nuovo coro della chiesa, il M. vi sarebbe rimasto fino al 1529, attendendo a quasi tutte le opere di tarsia e intaglio che di lui sono pervenute, realizzate nell’ambito dell’intensa vicenda costruttiva che investì il monastero al principio del XVI secolo. I lavori per il rifacimento del coro, iniziati già nel 1513 (Malaguzzi Valeri), si protrassero almeno fino al 1523, forse fino al 1525, e videro il M. affiancato dai nipoti Luca e Niccolò di Giovanni Antonio da Brescia e da molti altri aiuti secondari intenti a operare secondo disegni forniti, tra gli altri, da Amico Aspertini e Bartolomeo Ramenghi detto il Bagnacavallo.
Per le numerose mani intervenute, nel suo insieme il coro non dovette risultare particolarmente unitario: nel 1655 fu smembrato e parzialmente riassemblato presso l’altar maggiore; nel 1664 alcune tarsie avanzate, forse di mano del M. (Ferretti, 1984), servirono per realizzare due confessionali ancora in situ; nella seconda metà del XVIII secolo il coro fu quindi estesamente restaurato; e dal 1798, infine, caduto in rovina l’intero monastero in seguito alle soppressioni degli ordini religiosi, seguì la devastazione della chiesa, i cui stalli del coro «furono divelti […] e venduti per pochi quattrini ai cenciaiuoli della piazza» (Caffi, 1882, p. 666). Della supposta cinquantina di postergali intarsiati dell’ordine principale sfuggirono all’annientamento almeno 20 esemplari, 18 dei quali furono acquistati dal marchese Antonio Malvezzi e reimpiegati nel 1812 nella sua cappella in S. Petronio; mentre degli altri due oggi se ne conserva uno solo al Victoria and Albert Museum di Londra.
Oltre al coro, durante la sua lunga permanenza in S. Michele in Bosco il M. fu impiegato in ulteriori lavori, alcuni non pervenuti, ma documentati.
Nel 1516 modellò i telai per le finestre del dormitorio; nel 1517 eseguì forse l’ancona, dipinta da Innocenzo da Imola (Innocenzo Francucci) e oggi perduta, destinata all’altar maggiore della chiesa; nel 1520-21 realizzò un «disegno» (Zucchini, p. 42) per rialzare il campanile, poi nel tempo ulteriormente rimaneggiato; nel 1524 intagliò una statua non pervenutaci rappresentante s. Michele, sempre per l’altar maggiore; fra il 1524 e il 1526 realizzò il complesso decorativo e la cassa architettonica dell’organo, originariamente collocato lungo la parete sinistra e oggi sopra il portale maggiore, ampiamente restaurato; nel 1531 eseguì gli armadi della sacrestia, i cui legni furono ridotti sia a casse per clavicembali sia reimpiegati nella pavimentazione della sala da ballo del bolognese palazzo Salina Amorini, oggi perduta; nel 1533, infine, con il nipote Giacomo e Ludovico di Mastro Biagio, eseguì uno studiolo per «Monsignor Protettore» e un quadro, modellato con argento e smalto, per il «Signor Governatore» (Zucchini, p. 66), opere entrambe disperse.
Si distingue per l’alta qualità il leggio realizzato dal M. per il coro di Monte Oliveto Maggiore, celebre per il gatto intarsiato, eseguito a Bologna e a Monte Oliveto fra il 1518 e il 1520, durante il biennio del primo generalato di fra’ Barnaba Cevennini, già priore a S. Michele in Bosco e grande mecenate del Marone. Dal 1529 il M. fu nuovamente a Rodengo, ove rimase fino al rientro in S. Michele in Bosco nel 1531 o 1532: è in questi anni, su disegni fornitigli dal Romanino (Gerolamo Romani), presente nel monastero bresciano per una serie di affreschi, che il M., entro il 1536, eseguì un altro leggio oggi al Museo cristiano di Brescia. Dal 1537 è infatti registrato nel monastero di S. Maria Nova in Roma (S. Francesca Romana), ove spirò nel 1539; fu sepolto nella chiesa di S. Maria in Camposanto (Città del Vaticano) sede della Confraternita dei Bresciani.
Fonti e Bibl.: P. Lamo, Graticola di Bologna (1560), Bologna 1844, pp. 17 s.; G. Vasari, Le vite… (1568), VII, Firenze 1881, p. 9; S. da Castiglione, Ricordi, Vinegia 1584, cc. 115v-116rv; S. Lancellotti, Historiae Olivetanae, I, Venetiis 1623, pp. 60 s.; Id., L’hoggidì overo Gl’ingegni non inferiori a’ passati, II, Venezia 1658, pp. 313 s.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia…, III, Milano 1823, p. 76; L. Arze, Indicazione storico-artistica delle cose spettanti alla villa legatizia di S. Michele in Bosco…, Bologna 1850, pp. 53, 93 s., 97, 102, 104-107; M. Caffi, Di Raffaello da Brescia celebre intarsiatore e intagliatore di legname del secolo XVI, in L’Iniziatore, 20 febbr. 1851; Id., Tarsia di legname. Raffaello da Brescia, in L’Arte in Italia, I (1869), 9, pp. 142 s.; S. Fenaroli, Diz. degli artisti bresciani, Brescia 1877, pp. 74-82; M. Caffi, Raffaello da Brescia maestro di legname insigne nel secolo XVI, in Arch. stor. lombardo, IX (1882), pp. 661-671; R. Erculei, Catalogo delle opere antiche d’intaglio e intarsio in legno esposte nel 1885…, Roma 1885, p. 42; L.F. Fè d’Ostiani, Il Comune e l’abbazia di Rodengo, Brescia 1886, pp. 70-72; A. Rubbiani, Il convento olivetano di S. Michele in Bosco sopra Bologna, in Arch. stor. dell’arte, s. 2, I (1895), pp. 194 s.; F. Malaguzzi Valeri, La chiesa e il convento di S. Michele in Bosco, Bologna 1895, pp. 34, 38, 40-43; P. Lugano, Di fra Giovanni da Verona maestro di intaglio e di tarsia e della sua scuola, Siena 1905, pp. 88-94, 102-106; G. Gerola, Tarsie ed intagli di fra Giovanni da Verona nella chiesa di S. Maria in Organo, in Arte italiana decorativa e industriale, XIX (1910), pp. 85, 90, 96-100; G. Fiocco, Lorenzo e Cristoforo da Lendinara e la loro scuola, in L’Arte, XVI (1913), p. 283; I. Minucci, Raffaello da Brescia intarsiatore del ’500, in L’Osservatore romano, 24 ott. 1940; G. Zucchini, S. Michele in Bosco di Bologna, in L’Archiginnasio, XXXVIII (1943), pp. 29 s., 35, 42, 66, 70; A. Simoni, Un famoso documento per la storia dell’orologeria, in La Clessidra, XIV (1958), luglio, pp. 27-32; I. Minucci - E. Carli, L’abbazia di Monteoliveto, Milano 1961, pp. 23, 25, 75, 77; G. Panazza, Le arti applicate connesse alla pittura del Rinascimento, in Storia di Brescia, III, Brescia 1964, pp. 696-700 (con bibl.); G. Brizzi, Un armadio intarsiato della scuola di fra Giovanni da Verona nel Metropolitan Museum of art di New York, in Benedictina, XVI (1969), 2, pp. 290-297; Id., Fra Raffaello da Brescia intarsiatore (1479-1539), tesi di laurea, Università del S. Cuore di Milano, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1970-71, pp. 21-150 (con bibl.); M.J. Thornton, Three unrecorded panels by fra Raffaele da Brescia, in The Connoisseur, CXCVII (1978), 794, pp. 240-248; M. Ferretti, I maestri della prospettiva, in Storia dell’arte italiana, XI, Torino 1982, pp. 538 s.; G. Romano - M. Ferretti, Opere di tarsia, in La basilica di S. Petronio, II, Bologna 1984, pp. 279-286; L. Rognini, Tarsie e intagli di fra Giovanni a S. Maria in Organo di Verona, Verona 1985, pp. 19, 35, 38 s., 43, 45; R. Lonati, Diz. degli scultori bresciani, Brescia 1986, pp. 229 s. (s.v Raffaello da Brescia); Il coro intarsiato dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, a cura di G. Brizzi, Cinisello Balsamo 1989, pp. 117-135; C. Alessi, in Panis vivus. Arredi e testimonianze figurative del culto eucaristico dal VI al XIX secolo (catal.), a cura di C. Alessi - L. Martini, Siena 1994, pp. 181 s.; G. Brizzi, Intarsiatori e intagliatori olivetani, in Arte cristiana, LXXXII (1994), pp. 371-388; G. Brizzi, Intarsiatori a Rodengo: Cristoforo Rocchi e fra Raffaele da Brescia, in S. Nicolò di Rodengo. Un monastero di Franciacorta tra Cluny e Monte Oliveto, a cura di G. Spinelli - P.V. Begni Redoma - R. Prestini, Rodengo Saiano 2002, pp. 281-308; E. Bugini, L’opera di fra’ Raffaele da Brescia al S. Michele in Bosco di Bologna, in I Quaderni della Fondazione Ugo Da Como. Boll. dell’Associazione Amici della Fondazione Ugo Da Como di Lonato, V (2003), 9, pp. 52-59; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 128.