MARQUETT E RUBBA, Raimondo duca di Belviso
– Figlio di Francesco, giudice del Tribunale del concistoro e della Gran Corte a Palermo, e di Margherita Rubba, nacque a Messina non prima del 1641.
Da circa un secolo e mezzo la famiglia era protagonista della città e delle sue vicende politiche, belliche, culturali e artistiche. Nel XVI secolo diversi antenati del M. si erano distinti nelle guerre navali contro i Turchi al comando di galee siciliane, e anche nel secolo successivo ricoprirono cariche nelle magistrature cittadine e negli Ordini militari dei cavalieri gerosolimitani e dei cavalieri della stella. Il bisnonno Tommaso, capitano di truppe terrestri e di regie galee sotto Carlo V, durante il raduno delle armate che nel 1571 sarebbero partite da Messina al comando di don Giovanni d’Austria per rientrare vittoriose dopo la battaglia di Lepanto, come giurato della città curò il rifornimento di provviste annonarie per la popolazione e le truppe. Il nonno, anch’egli di nome Tommaso, fu più volte senatore e nel 1648 ottenne dal re di Spagna Filippo IV il titolo di duca di Belviso, diventando così signore della omonima contrada ai bordi dello stretto dove, in una sua proprietà, edificò una villa di centinaia di stanze, detta il Paradiso. La villa, di grande pregio architettonico, era circondata da orti e giardini con fontane e ospitava al suo interno opere d’arte, libri e oggetti di interesse storico, artistico e naturalistico, presumibilmente organizzate secondo i criteri delle Wunderkammern.
Nel 1674 il M. entrò a far parte del Senato di Messina quando era ormai l’ultimo membro del proprio casato: gli erano premorti sia il padre Francesco sia i fratelli Tommaso e Baldassarre, entrambi già senatori, ambedue sposati e senza figli.
Si trovò a rivestire la carica di senatore durante la rivolta antispagnola del 1674-78 – che portò la città a consegnarsi alla Francia nello scenario delle rivolte periferiche dell’Impero e delle guerre di Luigi XIV – e a lui toccò in sorte di pronunciare in duomo, il 28 apr. 1675, il giuramento di fedeltà al re di Francia.
Nel corso delle travagliate vicende della rivolta, che videro opporsi le fazioni urbane dei Merli (sostenitori della Spagna) e dei Malvizzi (filofrancesi) e il Senato schierarsi contro lo stratigò spagnolo Diego di Soria Morales, marchese di Crispano, il M. adottò comportamenti ambigui che gli procurarono sospetti e diffidenze da entrambi i fronti. Pur essendo membro del Senato, si mostrò in un primo momento amico dello stratigò. Nel luglio 1674 questi, sospettando l’insurrezione preparata dai Malvizzi per la notte tra il 6 e il 7, lo mandò a chiamare per farsi rivelare notizie sul complotto. Il M., che si trovava presso la sua amante, negò la fondatezza delle voci, adducendo come giustificazione che, se ciò fosse stato vero, egli non avrebbe lasciato che le delizie dell’amore ostacolassero le occupazioni marziali (Laloy, I, p. 239). Il mattino seguente, tuttavia, lo stratigò dovette constatare, attraverso gli informatori inviati per la città e in casa dello stesso M., come vi fossero ovunque uomini armati provenienti dalla campagna e come i preparativi dei ribelli fossero quindi una realtà. Dopo l’insurrezione, il M. non ebbe remore a recarsi il 3 agosto, insieme con altri due membri del Senato, dallo stratigò, che aveva precedentemente rassicurato, intimandogli il controprivilegio (cioè accusandolo di contravvenire ai privilegi urbani, fatto che secondo la pratica di governo della città, autorizzava a ricusare l’autorità del trasgressore) e chiedendogli di ordinare alle milizie spagnole e alla fazione dei Merli di evacuare la città. Per essersi schierato in maniera tanto esplicita, il M. fu bersaglio, nel novembre successivo, di una congiura filospagnola, poi rientrata, nella quale avrebbe dovuto essere ucciso insieme con altri due senatori.
Dopo l’ingresso delle truppe di Luigi XIV comandate da F.-A. de Vallavoire, marchese di Vaulx, nel gennaio 1675 il M. e gli altri senatori, per non perdere la carica, iniziarono una trattativa clandestina con la Spagna nella speranza di ottenere un trattato separato che li favorisse. Vallavoire li convocò e, alternando le minacce alle promesse, li indusse a rivelare le intese segrete con gli Spagnoli, prendendo tempo fino all’arrivo di rinforzi.
Anche dopo aver pronunciato ufficialmente il giuramento di fedeltà alla Francia, il M. ebbe modo di inimicarsi nuovamente Vallavoire accusandolo di essersi appropriato di una tappezzeria da lui prestatagli in un’occasione cerimoniale. L’affare coinvolse, nel settembre 1676, i livelli più alti della diplomazia e del governo di Luigi XIV: si tentò di trovare un accomodamento attraverso un controdono che madame Vallavoire avrebbe dovuto consegnare al M. in occasione di una sua visita a Parigi in missione diplomatica presso la corte, pratica che nella sua complessa attuazione finì col creare ulteriori tensioni.
Nonostante ambiguità e incertezze, l’affiliazione del M. alla fazione dei Malvizzi e alla parte filofrancese era un fatto impossibile da negare e, al ritorno della città in potere degli Spagnoli, egli fu tra i «Nobili e Cavalieri, Cittadini e Operarii» esiliati con le loro famiglie che, il 15 marzo 1678, si imbarcarono dal porto di Messina al seguito dell’armata francese. La durissima repressione seguita alla resa comportò la confisca dei beni dei ribelli, i quali, dopo un primo concentramento a Marsiglia, si stabilirono in parte in Francia (Provenza, Parigi), in parte in Italia (Genova, Firenze, Venezia e Roma). Dalle loro nuove residenze, alcuni di essi continuarono a condurre trattative per tentare di rientrare in patria. Nel dicembre 1679 un gruppo di messinesi residenti in Francia, tra cui il M., si rivolsero al sultano turco Maometto IV invitandolo a impossessarsi di Messina. In cambio del loro appoggio, il gran signore, ove il piano fosse riuscito, avrebbe loro consentito di tornare continuando a professare la propria religione e a godere degli antichi privilegi di cui la Spagna aveva spogliato la città. Benché il sultano, impegnato su altri fronti, non avesse dato seguito alla proposta, essa servì agli esuli stabilitisi a Roma per ottenere dal papa Innocenzo XI di appoggiare presso la Spagna il rientro dei proscritti, evitando così il pericolo della loro corrispondenza con i Turchi.
Durante la trattativa, il M. morì a Roma intorno all’età di quarant’anni, dopo aver fatto testamento nel 1682, probabilmente quando era in Francia.
Non avendo preso moglie, ed essendo perciò privo di discendenti legittimi, lasciò il patrimonio della famiglia di cui era ultimo discendente (e che al momento della sua morte si trovava ancora sotto sequestro) alla cappella di S. Maria della Lettera di Messina, patrona della città. Dopo l’indulto generale del 1702 la cappella ottenne la scorporazione dei beni e li vendette, insieme con il titolo di duca di Belviso (che fu acquistato dalla famiglia Avarna), per soddisfare il credito dotale di una delle cognate del Marquett e Rubba.
Fonti e Bibl.: G. Cuneo, Avvenimenti della nobile città di Messina, a cura di M. Espro, Messina 2001, I, p. 60; II, p. 178; G. Grosso Cacopardo, Saggio storico delli varii musei, che in diversi tempi hanno esistito in Messina, in L’Eco peloritano, I (1853), ora in Id., Opere, I, Scritti minori, a cura di G. Molonia, Messina 1994, pp. 460-462; C.D. Gallo, Gli annali della città di Messina, III, Messina 1881, pp. 419, 517; G. Arenaprimo di Montechiaro, Gli esuli messinesi del 1678-79. Notizie e documenti, Messina 1905, p. 66; F. Guardione, La rivoluzione di Messina contro la Spagna, Palermo 1906, pp. 211, 218 s., 411 s.; V. Ruffo, Documenti inediti sulla rivoluzione messinese del 1674-78, in Archivio stor. messinese, XVIII (1917), p. 9; F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, dalla loro origine ai giorni nostri, I, Palermo 1924, pp. 288 s.; E. Laloy, La révolte de Messine. L’expédition de Sicile et la politique française en Italie (1674-1678), I, Paris 1929, pp. 223, 239 s., 310, 487, 592; II, ibid. 1930, pp. 43, 677 s.; III, ibid. 1931, pp. 772 s.; L.A. Ribot García, La revuelta antiespañola de Mesina. Causas y antecedentes (1591-1674), Valladolid 1982, p. 226; G. Molonia, Messina al tempo di Giuseppe Cuneo, in G. Cuneo, Avvenimenti della nobile città di Messina, cit., III, p. 147.