MARRAKECH
(arabo classico Marrākush)
Città del Marocco, capoluogo di provincia, posta a km 330 a S-E di Rabat; insieme a Fez, Rabat e Meknès è una delle città imperiali (makhzan).La città è posta a km 60 ca. a N del massiccio dell'Alto Atlante, a m 453 d'altitudine, su di un terreno pianeggiante al centro di un palmeto (il più settentrionale del Marocco, con uno sviluppo di ha 13.000), nato insieme alla città e irrigato da un vasto reticolo di gallerie (khaṭṭāra) che drenano le acque provenienti dal vicino massiccio montuoso. Il nucleo urbano contava nel Medioevo da ventimila a sessantamila abitanti, secondo le diverse stime.M. venne fondata intorno al 1060-1070 dagli Almoravidi, tribù ṣanhāja delle regioni mauretane, nell'ambito della loro progressiva espansione nel Marocco e poco dopo la conquista della più antica città di Āghmāt, situata a km 40 ca. verso S-E. Sotto questa dinastia la città divenne la capitale di un impero che inglobava gran parte dell'Africa settentrionale e della penisola iberica.Le fonti arabe utili per ricostruire la storia della città sono numerose, ma raramente esaurienti; vanno citati i testi di al-Bakrī (sec. 11°), al-Idrīsī (sec. 12°), al-Baydhaq (sec. 12°), Ibn al-Athīr (sec. 13°), al-Marrākushī (sec. 13°), al-῾Umarī (sec. 14°), Abū'l-Fidā (sec. 14°), oltre ovviamente a Ibn Khaldūn (sec. 14°) e infine a Leone Africano (sec. 16°). Tra le fonti cristiane vanno ricordate le opere di Luis de Marmol y Carvajal (sec. 16°) e di Damião de Goes (sec. 16°).L'accanimento degli Almohadi, che tra varie vicissitudini governarono la città tra il 1147 e il 1230, nel cancellare ogni traccia visibile del potere dei loro predecessori almoravidi, determinò la scomparsa di un buon numero di monumenti della prima epoca di Marrakech. La costruzione della fortezza, sorta accanto al luogo del primitivo accampamento, intorno al 1070, è forse da ricollegare ad Abū Bakr b. 'Umar, ma fu completata dal suo successore Yūsuf b. Tāshufīn (1061-1106). Di questo edificio, noto come Dār al-Ḥajar ('casa di pietra') o Qaṣr al-Ḥajar ('palazzo di pietra'), sono stati ritrovati solamente resti del muro meridionale e del portale, ad accesso rettilineo semplice, posto sull'asse del complesso. Si ritiene che l'impianto generale fosse quadrato (m 200 di lato) e che ciascun tratto di cortina fosse dotato di una porta assiale analoga a quella conservata. La tecnica muraria utilizzata per la sua costruzione è assai particolare e consiste in cortine interne ed esterne in pietra, legate a cloisonné e con gli spazi di risulta riempiti di pisé; le torri erano rettangolari e poco aggettanti (m 37).In una fase di poco successiva, a S di questo campo fortificato, si sviluppò una vasta zona palaziale che attraverso portici si apriva su cortili monumentali con vasche e una fontana semicircolare. Decorazione e organizzazione architettonica richiamano le creazioni di Abū Mardanīsh della zona dell'Andalus, coincidente con la Murcia. La costruzione della prima cinta muraria della città (ca. 1126-1132) si deve al figlio di Yūsuf, ῾Alī (1106-1142). Le dieci porte, di cui è sicuramente attestata l'esistenza nel corso della conquista da parte degli Almohadi, vennero tutte rimaneggiate da questi ultimi. Occorre notare che l'accesso a gomito semplice del Bāb al-Raḥā e del Bāb al-Makhzan doveva essere la soluzione più frequentemente adottatata prima dell'epoca almohade, ma essendo le ricostruzioni almohadi di poco successive agli impianti originali, le proporzioni dei grandi archi del Bāb al-Dabbāghin e del Bāb Fās (od. Bāb al-Khamīs) non permettono una chiara attribuzione cronologica a l'una o all'altra delle dinastie.Per quel che concerne l'architettura religiosa, nulla resta della grande moschea in mattoni crudi che Yūsuf b. Tāshufīn contribuì a costruire con le proprie mani; sorte pressoché analoga toccò anche alla moschea edificata da suo figlio ῾Alī al centro della città e più volte totalmente ricostruita nei secoli successivi. Paradossalmente è il suo elemento funzionale più modesto, la sala per le abluzioni, oggi nota come Qubbat al-Bārūdiyyīn, che ha trasmesso quello che è l'esempio più ricco di decorazione architettonica almoravide, comparabile solo alle creazioni della stessa epoca nella moschea al-Qarawiyyīn di Fez. Questo piccolo edificio a pianta rettangolare (m 7,405,40), con due livelli di arcate e coperto da una cupola ottagonale a nervature, si ricollega nelle sue forme alle tradizioni dell'Andalus (Córdova, Grande moschea; Toledo, Bāb al-Mardum), ma la sua decorazione a stucco coprente segna una vera rinascita dei modelli classici, in particolare dell'acanto. Le iscrizioni aiutano a datare questo edificio al primo quarto del 12° secolo.L'immagine dell'arte almoravide maghrebina viene completata e i suoi forti legami con l'Andalus vengono confermati da un elemento d'arredo, il minbar della moschea almoravide, capolavoro dell'arte dell'intarsio, scolpito a Córdova agli inizi del sec. 12° e recuperato in una fase successiva dagli Almohadi per essere riutilizzato nella moschea al-Kutubiyya (Mus. de Dar Si Said).Con la presa di M., nel 1147, gli Almohadi avviarono una politica di ostentazione monumentale dell'universalità del loro potere e della volontà di restaurazione religiosa: ne è testimonianza la costruzione da parte di ῾Abd al-Mu'min (1130-1163) di una moschea per la khuṭba, denominata in seguito al-Kutubiyya, sul luogo ove sorgevano i palazzi almoravidi, abbattuti a questo scopo. Ancor prima che la costruzione del suo minareto fosse terminata - nel 1186, per volere di Ya῾qūb al-Manṣūr (1184-1199) - la moschea venne ricostruita, in forma identica ma con un differente orientamento della qibla, senza dubbio per cercare, peraltro senza successo, di correggere l'evidente errore primitivo; questa seconda moschea, che è quella conservatasi fino a oggi, era già in funzione nel 1158.Caso unico di 'sdoppiamento' di un monumento, la Kutubiyya è uno dei maggiori testimoni - prima ancora della moschea funeraria del mahdī ('profeta') Ibn Tūmart a Tinmal - della duplice volontà unificatrice e riformatrice degli Almohadi. La sua sala di preghiera, articolata in diciassette navate perpendicolari al muro della qibla e sette campate (m 90 60), offre, insieme alla maggiore larghezza della navata posta sull'asse del miḥrāb e alla presenza di cupole allineate su quest'ultima e sulla campata antistante la qibla, una caratteristica organizzazione a T e costituisce dunque un punto d'arrivo dell'architettura religiosa islamica d'Occidente. La decorazione a stucco, di grande sobrietà come richiesto dal rigore religioso dei costruttori, trova tuttavia nei quasi duecento capitelli l'occasione per variazioni infinite, sulla base delle quali può essere individuato un desiderio di legittimazione del movimento almohade, a partire da tre punti di riferimento: l'Antichità classica (elemento minoritario), l'Oriente abbaside e il califfato omayyade di Córdova (in particolare per il reimpiego di pezzi importati). Il minareto della Kutubiyya, in pietra locale del Gilliz, introduce la policromia e annuncia le torri della moschea di Ḥassān a Rabat e della Grande moschea di Siviglia, in seguito inglobata nella Giralda.Abū Ya῾qūb Yūsuf I (1163-1184) ampliò la città verso S, ma fu suo figlio, Ya῾qūb al-Manṣūr, che eresse intorno al 1188, al di fuori del perimetro urbano, ma accanto alla cinta difensiva, la qaṣba, un vasto complesso militare, palatino e religioso, dalla stretta gerarchizzazione degli spazi, di cui si conservano la principale porta d'accesso, Bāb Agnaw, e la moschea. Bāb Agnaw, di struttura più semplice rispetto alle grandi porte almohadi di Rabat, assume tuttavia al pari di queste le molteplici funzioni di rappresentanza del potere politico e giurisdizionale. La moschea della qaṣba, con il suo originale impianto con quattro corti angolari supplementari, perpetua tradizioni orientali (Cairo, moschea di Ibn Ṭūlūn, 876-879) - tratto per il quale essa si apparenta con la moschea incompiuta di Ḥassān a Rabat -, ma conserva un suo riferimento occidentale (reimpiego di pezzi cordovani). Il suo slanciato minareto, rivestito in ceramica, annuncia peraltro l'architettura merinide del 13° e 14° secolo.All'epoca almohade vanno infine assegnati anche alcuni elementi superstiti dell'edilizia civile e dell'arredo urbano della città: in particolare le grandi vasche destinate all'irrigazione e allo svago e i vasti parchi alberati periferici, Āgdāl e Manāra, dotati diversi secoli dopo di padiglioni.I Merinidi, successori degli Almohadi, che governarono la regione tra il 1269 e il 1525 trasferendo la capitale a Fez, non manifestarono alcun interesse per M., dove vennero costruite una sola moschea importante, senza dubbio in virtù di una committenza privata, e una madrasa, oggi sostituita da quella del sa'dita ῾Abd Allāh al-Ghālib, datata da un'iscrizione al 1564-1565 e nota anche come madrasa di Ibn Yūsuf.
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