ALENCAR, Marro de
Figlio di José (v.), scrittore; nacque a Rio de Janeiro nel 1872, morì nel 1925. Spirito raccolto e meditativo, sensibile alle più moderne correnti del pensiero e dell'arte, e, al tempo stesso, adoratore dell'antica poesia ellenica, fu poeta (Lagrimas, 1889, Versos, 1902), novelliere (O que tinha de ser, Contos, Impressoẽs) critico (Critica, Se eu fosse politico). Il suo pensiero muove da una concezione radicalmente pessimistica, che ricorda in qualche modo il Leopardi: la vita è un male, anzi è il male, per definizione: e tutto ciò che è natura è istinto di male: gli uomini dovrebbero reagire nella loro coscienza, opponendo al male un sentimento di reciproca pietà, e un generoso slancio verso tutte le forme ideali di bellezza e di verità; ma, nella lotta delle passioni, la ragione si rivela troppo debole freno, e gli uomini sono quasi sempre schiavi degli istinti di male che portano in sé, della forza di male con cui la società li incatena. In un suo sonetto l'A. rappresenta sé stesso come un uccello stanco di volo, "che si lascia cullar dalle onde, senza più nulla sperare". Per questa stessa sostanza della sua ispirazione, e per il suo raffinato senso della perfezione formale, la sua poesia, aristocratica e delicata, non poté avere la vasta risonanza delle opere paterne; ma, in una ristretta ed eletta cerchia la composta e pensosa bellezza della sua lirica, il malinconico umorismo della sua osservazione della realtà, e l'originalità dei suoi giudizî critici, esercitarono un'influenza grande. E un'influenza ancora maggiore esercitò la sua personalità morale: per la nobiltà e dignità, che seppe portare nella sua opera e nella sua esistenza, le nuove generazioni guardano a lui come a un loro maestro di vita. Anche i suoi articoli sparsi si stanno ora raccogliendo in una serie di volumi di prossima pubblicazione.