MARSIA (Μαρσύας, Marsyas, Marsya)
È in Frigia un antico dèmone delle acque, collegato con una fonte presso la città di Kelainai nella vallata del Meandro. Gli è proprio il flauto e, per estensione di termini, la syrinx: e forse per queste sue caratteristiche viene assimilato in Grecia ai sileni.
M. appare di buon'ora associato con Cibele, la grande dea anatolica, nel cui culto i flauti avevano larga parte: e non lontano da Pessinunte, il massimo centro di culto della dea, veniva mostrato il sepolcro del dèmone-sileno. Sempre in Asia Minore M. ha rapporti con il giovane flautista Olympos, forse originario della Misia, considerato suo fedele discepolo. Singolari parallelismi lo ricollegano anche con il re Mida di cui le orecchie asinine e la storia della cattura del saggio sileno alla fontana indicano a sufficienza le connessioni con il mondo dionisiaco e satiresco.
Nell'arte figurata ellenica M. ci appare unicamente in questo suo aspetto secondario e acquisito di sileno. Per W. Déonna in origine si sarebbe trattato di un asino sacro sacrificato e scuoiato, così che le storie della gara con Apollo e della crudelissima punizione non sarebbero che la trasposizione mitica di un fatto rituale. Gli antichi infatti ricordano l'esistenza della pelle vuota di Marsia in una grotta presso Kelainai: d'altra parte gli elementi combinati dell'otre e del flauto d'osso intagliato ritornano in antiche pratiche magiche per la propiziazione dei venti.
L'ingresso di M. nel mondo figurato dei Greci non sembra debba rimontare oltre il secondo venticinquennio del V sec. a. C. Ma assai presto il personaggio raggiunge una notevolissima popolarità che continua senza interruzioni sino alla tarda romanità. Per le sue qualità di musico M. viene a trovarsi in contrasto con gli dèi ellenici della musica, Atena e Apollo; di qui la storia del flauto dispregiato dalla dea e raccolto dal sileno e quella della sfida musicale ad Apollo, atto di höbris che provoca la punizione degli dèi. Nella necessità di presupporre una fonte letteraria o meglio teatrale a cui far risalire tanto successo, la critica moderna sembra essersi concentrata sul nome di Melanippides, autore di un ditirambo sull'argomento. D'altra parte sia l'indipendenza totale dei due episodi mitici di contrasto con Atena e Apollo, sia la varietà stessa degli aspetti con cui la storia viene riecheggiata nelle figurazioni obbligano a presupporre tradizioni mitiche molteplici.
Già nel secondo venticinquennio del V sec. a. C. Polignoto aveva introdotto M. e il suo discepolo Olympos tra gli eroi della Nèkyia di Delfi. In questo caso M. doveva partecipare del tono grave ed elevato della scena in cui apparivano tante tragiche figure di eroi chiuse in una cupa malinconia. Di tutt'altra intonazione è, a non molta distanza di tempo, il più antico e più autorevole monumento figurato che ci sia giunto, il gruppo di Mirone sull'Acropoli, descritto dagli antichi e ricostruito da statue isolate ancora esistenti, il Marsia del Laterano e l'Atena di Francoforte. L'impostazione della storia è aggressivamente attica: l'invenzione dei flauti spetta ad Atena e al rozzo straniero di Frigia non resta che raccattare lo strumento dispregiato. In contrasto a una fragile Atena, sdegnosa e adolescente, M. vien raffigurato nel tipico aspetto del satiro di stile severo, dal corpo asciutto e di una virilità esasperata, con una piccola coda equina e una maschera brutale e duramente accentata. E tale concezione proterva e aggressivamente acquisitiva sembra mantenersi, forse per effetto dell'autorità della scultura di Mirone, nelle non numerose riedizioni sicure della storia, sino al choùs di Berlino n. 2418 o al cratere neoattico di Atene.
Se il contrasto tra M. e Atena ci appare fissato in termni costanti di un'opposizione momentanea e senza sviluppi, ben altrimenti articolato e variato appare il tema della sfida musicale ad Apollo. Le figurazioni relative a questo avvenimento non sembrano anteriori al 430 a. C.: e non rassicurante appare la datazione in età severa dell'isolato piccolo torso di M. appeso di Taso. È noto infatti che nella lunga serie di repliche e rielaborazioni di questo famoso archetipo ellenistico sono abbastanza comuni le varianti in cui il volto di M. si cobra di una spiritualità pensosa e dolente: non inaccettabile quindi sarebbe una trasposizione in modi vagamente severi come quella di Taso.
Nella ceramica attica il tema della gara musicale tra M. e Apollo sembra da principio riservato a un gruppo compatto di artisti strettamente apparentati: il Pittore di Pothos e il Pittore di Kadmos, ciascuno con cinque ripetizioni della scena, e il Pittore del Marsia Feuardent da essi dipendente. La tradizione figurata si sviluppa poi nella produzione beotica e in una lunga serie di documenti nella ceramica italica ed etrusca. Come osserva H. Metzger, la storia di M. rimane quasi l'unico mito apollineo in favore durante il IV sec. in Attica.
Secondo i modi correnti di quel momento artistico, la figurazione della gara si sviluppa con una folla di personaggi accessori disposti su vari piani nella consueta articolazione ad affresco. Ma in questa inquadratura costante le figure e le condizioni della gara variano continuamente. Non solo i giudici della contesa sono differenti, ora Zeus, ora Atena, ora una Musa: ma i termini stessi della battaglia si modificano. Come è stato osservato, M. alle volte conserva il suo strumento frigio originario, alle volte si cimenta nella cetra e nella lyra di Apollo. Nel cratere del Pittore del Marsia Feuardent anzi M. suona il flauto, ma tiene una lyra presso di sé, come se la prova fosse veramente duplice. M. stesso ci appare in aspetti contraddittori. È imberbe in un frammento di cratere di Serajevo, altre volte canuto e con il corpo picchiettato di peli candidi come un papposileno. E il suo stesso carattere va mutando: il sileno sfrontato e grottesco che si precipita come una preda sui flauti di Atena diventa un solitario poeta bucolico, tutto chiuso in quiete meditazioni musicali sul flauto o sulla cetra.
Le figurazioni vascolari ci accompagnano per tutto il procedere del racconto: ci mostrano M. che suona raccolto; M. in atto di sfida; M. che ascolta turbato o disperato il trionfale canto di Apollo. E infine M. legato (sköphos di Salonicco) e l'ultima tragica scena in cui lo scita o addirittura il citaredo Apollo gli si accosta per l'esecuzione. Si ha pertanto l'impressione di una materia frequentemente elaborata e per la quale dovevano esistere riferimenti mitici variatissimi, e non è improbabile che la popolarità della storia si debba, in parte almeno, come ha suggerito H. Metzger, all'enorme passione per le dispute e le sfide oratorie nell'ambiente dei sofisti.
Come a contrasto della diffusione in episodî e figure accessorie delle tradizioni figurative della ceramica, il più sicuro e autorevole tra i documenti plastici del IV sec. a. C., la base di Mantinea, riconduce il contrasto ai termini essenziali di un'opposizione spirituale di estrema limpidezza e vigoria. Apollo è seduto su una roccia, ampiamente drappeggiato nel costume di citaredo, quieta figura di inattaccabile maestà: dinanzi a lui la convulsa, frenetica concitazione del flautista e tra i due avversari la grezza, quasi assente figura del giustiziere, che già sembra inclinarsi verso il sileno.
La stessa lucida opposizione s'incontra su alcuni rilievi neoattici che forse fanno capo a un dipinto del IV sec. a. C. dell'ordine di quel Marsyas religatus di Zeusi che si conservava nel Tempio della Concordia. Apollo avanza solenne in costume di citaredo, i flauti cadono dalle labbra del sileno.
Se si accetta una ipotesi di R. Carpenter, uno schema del tutto nuovo della storia si avrebbe in due statue colossali del Belvedere Vaticano. Il grandioso frammento del Torso del Belvedere sarebbe un epico M. seduto, a cui si oppone un voluminoso Apollo avanzante dalla veste di citaredo trapunta di un reticolo come alle volte l'omphalòs di Delfi.
Più normale e rassicurante la tradizione figurata offerta da statue ripetutamente rinvenute insieme in varie località e confermata da rilievi di sarcofagi. Sembra di poter distinguere due gruppi di tre figure, l'uno relativo alla gara, l'altro al supplizio. L'Apollo trionfante della Sala della Biga ha già iscritto sulla cetra un piccolo M. appeso: e questo tipo statuario va certamente combinato con le figure di un M. sdegnoso e disperato e di una Musa seduta con cui si ritrova a Leptis e a Minturno (ora museo di Zagabria). Un secondo gruppo assegnato tentativamente ad ambiente pergameno comprende il famosissimo M. appeso nelle sue varie edizioni, il cosiddetto Arrotino degli Uffizî, e possibilmente una statua d'Apollo seduto mollemente abbandonato, il braccio ripiegato sul capo.
Non confermata è invece l'identificazione come M. di numerosi sileni flautisti (ad esempio Marsia Borghese), anche quando questi ci appaiano adulti e pervasi di frenetica passione. Gli studiosi ritengono persino che la famosa immagine di M. esistente nel Foro Romano e di cui repliche vennero concesse a varie città italiche a titolo di privilegio non fosse in origine M., ma un qualsiasi sileno con l'otre.
Immagini di M. s'incontrano pure su uno specchio bronzeo a cassetta di New York, in Etruria su specchi, ciste e su un'urnetta perugina. In età romana i temi della gara e gruppi di M. e Olympos sono frequenti a Pompei e a Roma in affreschi e in mosaici un po' dappertutto. Forse per effetto della maggiore ampiezza di orizzonte dell'arte romana, ricompaiono gli elementi orientali che erano completamente spariti nelle figurazioni di età classica. Cosi Olympos, che in un'anfora di Napoli della scuola del Pittore di Meidias appariva come un giovinetto apollineo senza particolari caratteristiche, torna ad assumere il costume orientale. E Cibele, la grande dea di Pessinunte, si ritrova in un notevole numero di sarcofagi, come a dare un appoggio morale al flautista di Frigia. Oltre che i rilievi su sarcofagi, l'introduzione del mito di M. tra gli stucchi della basilica sotterranea di Porta Maggiore conferma l'accezione simbolica del mito in termini di morte e di trasfigurazione.
Quasi a documentare questa continua penetrazione di elementi orientali nelle storie di M. vale la pena di ricordare che nel più tardo dei sarcofagi che vi si riferiscono, quello della seconda metà del III sec. d. C. nel chiostro di S. Paolo, persino Apollo citaredo ha costume orientale e per questo è stato da alcuni inteso come Orfeo.
Monumenti considerati. - Gruppo mironiano: H. Brunn, in Ann. Inst., 1858, pp. 374 ss.; H. Bulle, in Jahrbuch, xxvii, 1912, pp. 175 ss. Choùs di Berlino: Roscher, II, 2, p. 2446. Marsia di Taso: Buli. Corr. Hell., lx, 1936, p. 344 ss. Frammento di Serajevo: Röm. Mitt., lxv, 1958, tav. xxxvi, 2. Marsia come papposileno: Journ. Hell. Stud,, lx, 1956, tav. i. Sköphos di Salonicco: Röm. Mitt., lxv, 1958, tav. 38, i. Rilievi neoattici Conservatori: Buli. Com., lxxi, 1945, tav. a p. 56-57. Torso Belvedere: Mem. Am. Acad., xviii, 1941, tav. 6. Apollo della Sala della Biga: G. Lippold, Katalog der Vat. Museen, tav. xxxix. Mosaici: S. Aurigemma, Studî in onore di A. Calderini-R. Paribeni, i, p. 519.
Bibl.: J. Overbeck, Kunstmythologie, III, p. 420 ss.; Roscher, II, 2, 1894-97, cc. 2445 ss.; Burckhardt, in Pauly-Wissowa, XIV, 1928, cc. 1985, 1994, s. v. Marsyas, n. 5; G. Carettoni, in Bull. Com., LXV, 1937, p. 61 ss.; R. Carpenter, in Mem. Am. Acad., XVIII, 1941, p. 81 ss.; M. Cagiano de Azevedo, in Bull. Com., LXXI, 1945, p. 47 ss.; J. D. Beazley, Etr. Vasepaint., Oxford 1947, p. 73 ss.; H. Metzeger, Les représentations dans la céramique attique du IVe siècle a J. C., Parigi 1951, p. 158 ss.; A. Bartoli, in Boll. d'Arte, XXXVIII, 1952, p. 133 ss.; H. P. L'Orange, in Oesterr. Jahresh., XXXIX, 1952, p. 75 ss.; J. Boardman, in Journ. Hell. St., LXXVI, 1956, p. 18 ss.; W. Déonna, in Revue Belge de Philologie, XXXIV, 1956, 5, p. 338 ss.; C. Clairmont, in Yale Classical Studies, XV, 1957, p. 15 ss.; K. W. Schauenburg, in Röm. Mitt., LXV, 1958, p. 40 ss.