MARSICA (A. T., 24-25-26 bis)
Nome tuttora vivo nell'uso comune locale per indicare una regione dell'Abruzzo che ha per centro il lago Fucino. Oggi il nome di Marsica non ha valore ufficiale e non coincide con nessuna unità amministrativa, ma corrisponde tuttavia a una regione con confini ben delimitati e individuata da caratteristiche sue proprie. Partendo dal Passo di Forca Caruso, l'antico Mons Imaeus, il confine segue l'elevata cresta dei M. Terrata, Argatone e Marsicano, poi, oltre l'angustissima gola di Opi, raggiunge la Serra delle Gravare e la Forca d'Acero: indi segue la dorsale spartiacque fra Sangro e Liri fino al M. Tre Confini. Qualche incertezza vi è in corrispondenza all'alta valle dei Liri, della quale tuttavia spetta indubbiamente alla Marsica il tronco superiore, un tempo detto Val di Nerfa. A partire da M. Bove il confine è di nuovo segnato nettamente dai monti Midia e Serrasecca, dalla lunga dorsale che culmina nel M. Viperella, poi dai monti Guardia d'Orlando, Varri e Saticone, fino alla Bocca di Teve; di qua, per il Piano e il Vado di Pezza e il Piano di Rovere, risale la cresta del Sirente che segue fino alla Forca Caruso.
Entro questi confini la Marsica occupa un'area di circa 1480 kmq., dei quali 842 spettano al bacino idrografico del Fucino; essa comprende 24 comuni dell'ex-circondario di Avezzano, con una popolazione di circa 100.000 ab. (1931).
La Marsica costituiva in passato una regione assai segregata (fino al 1870 non aveva che una sola rotabile, quella da Avezzano a Sora; la rotabile da Avezzano a Sulmona fu terminata nel 1873, l'allacciamento con Tivoli e perciò con Roma nel 1881; la ferrovia Roma-Sulmona fu aperta nel 1888) e ad economia prevalentemente pastorale: il suolo agrario era ristretto e dava limitati prodotti, al pari della pesca nel lago. Il prosciugamento del Fucino, compiuto nel 1875 (v. fucino), ha trasformato l'economia della regione, mettendo a disposizione circa 165 kmq di ottimo terreno agricolo, adibito principalmente alla coltura del grano, della patata, della barbabietola. L'economia agraria ha preso gradualmente il sopravvento; si è sviluppato l'allevamento dei bovini, prima scarsissimi: un notevole incremento demografico si è verificato, in seguito a immigrazione di coloni stabili da altre parti dell'Abruzzo, dalle Marche, ecc.; alcuni centri, come Avezzano, Pescina, si svilupparono perciò notevolmente; altri, come San Benedetto, sorsero quasi dal nulla; si avviò anche qualche promettente ramo di industria (zuccherificio); si ampliò la rete stradale.
Questa graduale evoluzione della Marsica fu bruscamente interrotta dal terremoto del 13 gennaio 1915, che ebbe qui il suo epicentro e produsse effetti disastrosi: Avezzano, Collarmele, S. Benedetto, Paterno, Gioia dei Marsi, S. Pelino e altri paesi furono pressoché rasi al suolo; quasi tutti gli altri più o meno colpiti; la cifra ufficiale dei morti si elevò a 28.237 e le aree coltivate subirono danni notevoli (il raccolto del grano nel Fucino cadde da 28.500 ettolitri nel 1913-14 a poco più di 16.000 ettolitri nel 1914-15).
Ma l'opera di ricostruzione fu avviata con sollecitudine ed energia e ad essa si fecero convergere gradualmente mezzi adeguati: le località distrutte o gravemente danneggiate furono spesso trasferite in situazione più sicura e più vicina alle vie di comunicazione; alle infelici decrepite costruzioni ammassate le une sulle altre (causa non ultima di distruzioni e perdite di vite umane) furono sostituiti edifici nuovi, a tipo antisismico, distribuiti su piani razionalmente predisposti. La rete stradale fu riattata ed estesa. Al miglioramento delle comunicazioni hanno contribuito l'elettrificazione della ferrovia Roma-Sulmona e l'introduzione di numerosi servizi automobilistici. La ricostituzione delle attività economiche della regione è oggi completa e si è ripreso il normale ritmo dell'incremento demografico. Avezzano, che nel 1911 contava 11.208 ab. e ne perdette ben 10.719 in seguito al terremoto, ha ora (1931) 15.610 ab., dei quali 14.665 nel capoluogo. L'incremento del capoluogo è in parte avvenuto a scapito di paesi vicini; tuttavia anche per alcuni altri centri si possono citare cifre significative: Celano da 9868 ab. è salita a 10.850; S. Benedetto, che nel 1911 contava 3960 ab. e ne perdette 4/5 nel terremoto, ne ha ora di nuovo 3779, ecc. Paesi Costruiti ex novo sono Lecce (1952 ab.), Gioia (1841), Collarmele (1612 abitanti), ecc. (V. tavv. LXXXVII e LXXXVIII).
Storia. - Una diocesi, di cui si hanno notizie sicure solo dal sec. IX, ebbe a mantenere sempre il nome di diocesi dei Marsi, e i suoi confini precisati da bolle di Pasquale II (1114) e di Clemente III (1188) non erano probabilmente molto diversi da quelli dell'antico popolo dei Marsi.
Nel sec. VI la Marsica fu continuamente travagliata dalle vicende della guerra gotica. Sotto i Longobardi fu aggregata al ducato di Spoleto, di cui fu una delle gastaldie dai tempi del duca Trasmondo II. Attorno al nucleo dell'antica provincia Valeria al tempo dei Franchi erano stati annessi i territorî abitati dai Marrucini e dai Frentani, nonché quello dei Piceni Pretuzî detto Aprutium, eccettuata la Sabina romana che rimase ai papi. Questo aggregato prese il nome di Provincia o Paese dei Marsi e nell'843 fu eretto in contado autonomo, prima sotto la giurisdizione dei Comites Marsorum eletti dall'imperatore e poi, nel 926, dei conti dinastici di due stirpi: Burgundî quelli all'est e Salici di regio sangue quelli all'ovest. Le due dinastie, avendo resistito variamente alle prime incursioni normanne, durarono al potere fino ai tempi della definitiva conquista della regione, avvenuta per opera di Ruggiero II nel 1142-43. Guglielmo, suo figlio, dopo breve guerra ottenne l'investitura della regione, il 18 giugno 1156, da papa Adriano IV. Da allora la provincia dei Marsi dal territorio più settentrionale in finibus Aprutii prese il nome di Abruzzo.
La Marsica propriamente detta restò divisa fra le due contee di Celano e di Albe. Al tempo degli Svevi, erede delle due contee di Celano e di Albe fu Pietro. Dapprima Innocenzo III l'incaricò di difendere il regno dalle mene di Marcovaldo d'Anweiler e di Dietpoldo di Wohburg. Pietro assaltò Dietpoldo; ma fu sconfitto e suo figlio fatto prigioniero. Dietpoldo fu a sua volta sconfitto a Capua da Gualtieri di Brienne che liberò Pietro e sposò Margherita, sua nipote, a Berardo figlio di Pietro.
Successe a Pietro, nel 1212, Tommaso conte di Molise, più tardi anch'egli ribelle a Federico. Dopo di lui fu conte di Celano e d'Albe Federico, principe di Antiochia. Sotto gli Angioini dominarono Celano gli Artus di stirpe provenzale, cui successe una nuova dinastia che si vuole del ceppo degli antichi conti.
Rimonta pure al tempo degli Angioini l'investitura della metà di Tagliacozzo a favore di Iacopo di Napoleone Orsini da parte di Carlo II, che diede luogo al lungo fortissimo dominio degli Orsini, che fecero del loro feudo un ducato. Negli stessi tempi angioini Albe, prima infeudata ai Tuzziaco (Toucy), ai duchi di Durazzo, fu poi concessa anche a Luigi di Savoia. Ai tempi di Martino V fu finalmente infeudata ai Colonna, che però riuscirono ad averne il possesso solo nel 1480.
Celano anche fu dapprima in potere dei Colonna per il matrimonio di Odoardo con Covella, ultima discendente degli antichi conti. Poi passò, morto Odoardo, al nuovo marito di Covella, Lionello Achrocamur, e infine fu concessa ad Antonio Piccolomini, nipote di Pio II. I Piccolomini la possedettero fino al 1591.
Ad Albe e a Tagliacozzo frattanto le lotte tra Orsini e Colonna, già iniziate verso la metà del sec. XV, continuavano: nel 1497 i Colonna ebbero il sopravvento e furono investiti delle due contee col titolo di duchi di Tagliacozzo, più tardi mutato in quello più altisonante di duchi dei Marsi. Le contese si rinfocolarono a tempo della guerra tra Francia e Spagna: gli Orsini furono per i Francesi, i Colonna per gli Spagnoli; Tagliacozzo rimase a questi ultimi. Paolo IV scomunicò e confiscò i beni ai Colonna che però li riebbero da Pio IV. La rivolta di Masaniello ebbe nella Marsica e in tutto l'Abruzzo precursori e forti ripercussioni. Celano intanto nel 1591 era stata venduta a Camilla Peretti, sorella di Sisto V, e poi trasmessa agli eredi. Ai Peretti successero i Savelli che portarono anche titolo di duchi dei Marsi; a questi i Cesarini, gli Sforza-Cesarini e infine gli Sforza-Bovadilla che si estinsero al tempo della rivoluzione francese. Anche i Colonna ritennero il ducato di Tagliacozzo sotto gli Spagnoli, gli Austriaci e i Borboni fino alla rivoluzione francese.
Le vicende della Marsica a quest'epoca furono comuni a quelle del resto d'Abruzzo (v. abruzzo; lanciano). I Francesi invasero il territorio nel 1798, si ritirarono nel 1799, vi tornarono nel 1801 e lo sgombrarono nuovamente dopo la pace d'Amiens. Nel 1806 il generale Massena l'invase per la terza volta in nome di Napoleone che pose suo fratello Giuseppe sul trono di Napoli. Giuseppe abolì i feudi nel 1806 e con essi finì il dominio della casa Colonna nella Marsica.
Bibl.: M. Feboni, Historiae Marsorum, Napoli 1678; P. A. Corsignani, Regia Marsicana, Napoli 1738; C. Promis, Antichità di Albe, Roma 1836; A. Di Pietro, Agglomerazione delle popolaz. attuali della diocesi dei Marsi, Avezzano 1869; R. Nardelli, Climatologia, vegetazione, agronomia della Marsica, Avezzano 1883; L. Colantoni, Storia dei Marsi dai tempi più antichi all aguerra mrasica, Lanciano 1889; T. Brogi, La Mrasica antica e medievale fino all'abolizione dei feudi, Roma 1900; F. Terra Abrami, Cronistoria dei Conti dei Marsi poi detti di Celano, in Bollettino della Società di storia patria A. L. Antinori negli Abruzzi, XVI (1904); C. Palumbo, La Marsica dopo 13 anni dal terremoto, Casalbordino 1933; R. Almagià, La Marsica, in Boll. R. Soc. geografica ital., 1910; M. Baratta, Le condizioni sismiche della regione marsicana, in La Geografia, 1915; C. Rivera, I Conti dei Marsi nei secoli XII e XIII, in Atti e memorie del Convegno storico Abruzzese-Molisano, 25-29 marzo 1931, Casalbordino 1933.