Vedi MARSIGLIA dell'anno: 1961 - 1973 - 1995
MARSIGLIA (v. vol. iv, p. 880)
Nuovi scavi sono stati fatti in occasione di varî lavori nella città, che hanno fornito alcuni dati per la conoscenza della topografia e della storia di Marsiglia.
La città focea era circondata dall'acqua su tre lati: civitas paene insula est, scrive Festo Avieno, che aggiunge che l'acqua penetrava al centro delle terre (Ora maritima, pp. 712-715). Occupava uno sperone roccioso e si stendeva ad anfiteatro sulle colline volte verso mezzogiorno, dominando il porto che si apriva ai suoi piedi (Strabo, iv, 1, 4). Era la situazione adottata dalle città greche d'Asia Minore, Focea, Mileto, Efeso e da M. stessa nella fondazione dei suoi scali, Antibes, Nizza, Monaco.
La città greca comprendeva due quartieri: l'acropoli, dove s'innalzavano i templi di Artemide Efesia e di Apollo Delfino, e la città bassa, la "marina" che occupava una stretta fascia di terra, riservata all'attività commerciale, e che non cesserà d'ingrandirsi a spese del Lacydon. I due quartieri erano separati da un'arteria E-O, che correva sul fianco della collina, che si trasformerà nel decumanus romano corrispondente al tracciato attuale della rue Caisserie e della Grand' Rue in direzione della Porta Romana, così chiamata in un testo dell'XI secolo. Questa via E-O era traversata ad occidente dal cardo, con orientamento N-S, secondo il tracciato della Place de Lenche e della Rue de l'Evêché in direzione della Porta de Gaule, la Porta Gallica, che aveva dato il nome al quartiere Portegalle.
Dei due templi ricordati da Strabone non sussiste alcuna traccia; dal primo provengono una quarantina di stele, in forma di naòs, con l'immagine della Grande Dea Artemide seduta, recante talvolta un leoncino sulle ginocchia, di tipo arcaico, diffusa dall'Asia Minore fino alla Magna Grecia (da Velia, al museo di Napoli). Al secondo tempio deve essere attribuito un capitello ionico, ugualmente della fine del VI sec. a. C., in calcare delle cave di Capo Couronne a Martigues, sfruttate dai Greci, che è stato trovato reimpiegato ai piedi della collina di S. Lorenzo, nel punto in cui si unisce all'altura del forte di S. Giovanni. Il tempio vetusto sarà ricostruito dai Romani, come attesta la dedica di un seviro augustale. Strabone aggiunge che l'acropoli, come la città tutt'intera, di dimensioni considerevoli, erano munite di belle mura; possedeva un arsenale e dei ricoveri per i vascelli.
A S gli scavi fatti nella città bassa del quartiere del porto all'altezza della Place Vivaux, negli anni 1947-1950 non hanno ritrovato alcuna traccia delle mura, ciò che fa supporre che la difesa della "marina" era assicurata dalla fortificazione dell'imbocco del porto.
Il taglio del terreno ha messo in luce una interessante stratigrafia che mostra la successione continua degli interramenti dall'epoca greca fino al basso impero, a spese del Lacydon. A meno di m 3 sotto il deposito romano, la presenza di un cordone litoraneo con conchiglie marine di acqua viva, permette di situare la spiaggia di epoca greca a soli m 38 a S dell'allineamento di case sul lato N della Rue Caisserie, cioè a m 117 dalla banchina attuale. Ad una quindicina di metri dal litorale, al livello dell'acqua del Lacydon, che non ha variato fino ai nostri giorni, era messo in opera sulla spiaggia un camminamento di palanche di legno di quercia verde per tirare a secco il naviglio e ad una dozzina di metri più a S erano sistemate sei file di "pilotis" di legno di pino, che avevano conservato nella parte superiore le tracce di un cerchio di metallo, con un allineamento parallelo al porto; servivano di supporto alla staccionata romana, costituita senza dubbio da una banchina lastricata, sul tipo dei porti fluviali dell'Ouvèze a Vaison e di Châlon-sur-Saône e del porto di Genova.
Sulla fronte orientale, al contrario, la scoperta di un tratto di mura NS secondo l'asse della Rue Négrel, sul fianco dell'altura dei Mulini (Hôtel-Dieu), conservato nelle cantine delle case, permette di limitare su questo lato la città arcaica. Il tratto presenta un paramento di grandi blocchi quadrangolari, grossolanamente squadrati, provenienti dalle cave di calcare oligocene della necropoli S (Saint-Victor), con riempimento di pietrame a secco, conservato per m 1,20 di spessore (cortile del Museo Lapidario). Il muro era stato rasato all'inizio del II sec. come attesta la scoperta di un grande bronzo di Marsiglia con toro, molto corroso (gr. 6,23), sopra il riempimento interno. Senza dubbio a quest'epoca furono seppellite le stele della favissa dell'Ephesion, quando venne livellato questo quartiere e fu riempito il fossato. La rasatura di queste mura coinciderebbe con l'espansione della città verso E e con la costruzione di una nuova cinta che inglobava il quartiere orientale della città greca, la "pianura" (tò pedìon) ricordata da uno scolio di Lucano, limitrofa al porto all'epoca dell'assedio di Cesare.
Così la città all'epoca di Posidonios aveva un'estensione considerevole, di più di m 1000 sulla fronte meridionale; l'importanza della necropoli sulla riva meridionale del Lacydon, che si stendeva dal Faro al quartiere dell'abbazia di San Vittore, e la lontananza di quelle che sono state trovate casualmente in Rue Tapis Vert, ad E del corso Belsunce e a Saint-Mauront nel quarriere di la Belle-de-Mai, a N-E della città, le cui tombe contengono ceramica attica del V sec. a. C., attestano l'esistenza di abitati sparsi nella periferia della città.
Se non è possibile conoscere la pianta della città greca, il cui livello è stato sconvolto dall'impianto urbanistico romano e dalle costruzioni medievali, i lavori di terrazzamento del terreno situato all'esterno della città greco-romana hanno messo in luce resti di grande interesse, riferibili alla cinta della fronte orientale e ad un secondo quartiere commerciale.
Gli scavi in corso fatti dalla Direzione delle Antichità (Eusennat e Salviat) hanno in realtà scoperto tratti di fortificazioni con una porta a due torri massicce e una via lastricata e, all'estremità della cinta, due cisterne che raccoglievano l'acqua di sorgenti della collina dei Carmelitani, una ellenistica, recinta da un basso muro a triglifi e metope sul tipo della fontana sacra di Corinto, l'altra romana, costruita di grandi blocchi isodomi, con pavimento lastricato, vicino ad una darsena munita di banchina di pietra per il rifornimento delle navi; la lingua di terra che la separava dal ruscello della Canebière era occupata da magazzini di dolia. Lo studio stratigrafico di questa darsena mostrerà l'evoluzione del porto dall'epoca greca a quella romana e il periodo della maggiore attività del porto in quest'ultimo tempo. Lo stato dei lavori non è tanto avanzato da permettere di stabilire la cronologia relativa di queste costruzioni e dei diversi settori della fortificazione, che si spera di conservare in situ.
La struttura della fortificazione a grandi blocchi isodomi delle cave della Couronne era già conosciuta grazie alla scoperta di otto blocchi su due filari avvenuta nel 1883 in fondo alla Rue Sainte-Barbe, in occasione dell'apertura della Rue Colbert (Museo Borely) e nel 1913 con la messa in luce di un tratto di questa cinta, in Piazza Jean Guin, in occasione della demolizione del quartiere per il rinnovamento (tratto definito monumento storico nel 1916).
Questa cinta, che si allinea a m 275 ad E di quella della Rue Negrel, servirà di fortificazione alla città medievale, come la cinta della fronte N. Infatti dalla Porta Romana, menzionata nel 1040, entrerà in città la via d'Italia, dando accesso al decumanus; la sua pavimentazione, in grandi lastre, caratterizzate da aperture a feritoia, secondo una moda corrente nel II sec. d. C. era stata rialzata nel Medioevo. Queste torri erano nel XIII sec. sotto la dipendenza dei visconti di M., ai quali è dovuta l'apertura delle feritoie strombate internamente. Una di esse chiamata palatium o castello, munita di pavimenti, era la sede del teloneum per la riscossione delle tasse. Fu incendiata e demolita nel 1229 in seguito ad una rivolta. Senza dubbio la ricostruzione di questa cinta deve essere attribuita ad epoca flavia. Un testo di Plinio ci dice che un medico marsigliese, Crinas, stabilito a Roma dove aveva fatto fortuna, aveva lasciato alla città natale sotto Nerone dieci milioni di sesterzi, dopo aver dato già una 50rnlna equivalente per la ricostruzione delle mura e di altri monumenti pubblici (Nat. hist., xxix, 9). Quest'epoca seguna infatti un rifiorire della città che adotta un nuovo piano urbanistico e modernizza la città greca, il cui stato sociale era rimasto arcaico.
In seguito al livellamento del terrapieno Situato ai piedi della Place de Lenche, all'incrocio del cardo e del decumanus, che aveva determinato l'impianto del Foro, sono state ritrovate alcune lastre della sua pavimentazione appartenenti a tre stadî successivi di rifacimento dal I al IV sec. d. C. (documentazioni al Museo Borely).
L'attività commerciale del porto all'epoca romana è attestata dal numero di horrea comprendenti magazzini con pavimentazione e con dolia. Sono stati riconosciuti per una fronte di in 400 sul litorale della città bassa, dopo il Foro fino alla Maison de Cabre. Una parte di questi è stata conservata in situ nel seminterrato di un fabbricato dell'antica Place Vivaux (Museo dei Docks Romani). Si prolungavano ad E all'esterno della cinta di mura, lungo la darsena che occupava l'estremità del Lacydon.
Bibl.: F. Benoît, Recherches sur l'hellénisation du Midi de la Gaule (Publications des Annales de la Faculté des Lettres d'Aix), 1965; id., Les docks romains du Lacydon: Centre de documentation archéologique du commerce antique de Marseille, Marsiglia2 1965; id., Le martyrium de l'abbaye Saint-Victor, in Provence historique, XVI, 1966, pp. 259-296; id., Topographie antique de Marseille: le théâtre et le mur de Crinas, in Gallia, XXIV, 1966, pp. 1-20; M. Euzennat - Fr. Salviat, Marseille retrouve ses murs et son port grecs, in Archaeologia, Parigi 1968, n. 21; Les fouilles de Marseille, in Comptes Rendus de l'Académie des Inscriptions et Belles Lettres, 26 aprile 1968.