Marsilio da Padova
Medico, filosofo e teologo (n. Padova tra il 1275 e il 1280 - m. Monaco tra il 1342 e il 1343). Studiò medicina e filosofia a Padova, sotto l’influenza di Pietro d’Abano, e successivamente a Parigi, dove si legò a Giovanni di Jandun. Nel 1312 fu prof. di teologia e rettore alla Sorbona. Rientrato in Italia, nel 1318 fu nominato canonico di Padova. Di nuovo a Parigi, terminò il Defensor pacis (1324; trad. it. Il difensore della pace), allontanandosi subito dopo dalla Francia e rifugiandosi, insieme a Giovanni di Jandun, a Norimberga, presso Ludovico il Bavaro. Qui fu raggiunto, il 23 ottobre 1327, dal decreto di condanna di 5 proposizioni dell’opera. Presso la corte imperiale, M. approfondì la critica del potere temporale del papa e della Chiesa, e, entrato in contatto con Michele da Cesena e Gugliemo di Occam, anch’essi rifugiati presso Ludovico, aderì ancora più profondamente agli ideali del pauperismo francescano. Dopo la discesa in Italia di Ludovico (1327-28), alla quale partecipò, M. tornò con l’imperatore in Germania, dove rimase fino alla morte. In Germania M. compose il De iurisdictione imperatoris in causis matrimonialibus (1341-42), che fu poi rifuso nel Defensor minor (1342; trad. it. Il difensore minore), e il De traslatione imperii.
Sensibile ai temi averroistici dell’autonomia della politica, finalizzata alla felicità terrena e al «bene vivere», e non alla salvezza e alla beatitudine ultraterrena, nella sua opera più importante M. propone una netta distinzione fra potere civile e potere religioso, fondati il primo sulla ‘coercizione’, il secondo unicamente sulla ‘persuasione’. M. articola la sua riflessione sull’origine, la natura e la finalità di ogni forma di aggregazione fondandosi su «argomenti certi, scoperti dalla mente umana, muovendo da proposizioni per sé note». L’analisi si sviluppa in tre discorsi (dictiones) in cui mediante l’analisi della Politica di Aristotele (I), della Scrittura (II) e la composizione delle acquisizioni così ottenute (III), individua le cause delle discordie politiche (sottolineando fortemente il ruolo destabilizzante dell’ambizione politica del papato) e i rimedi che, superando le divisioni sociali, consentano l’ottenimento della pace. A ciò mirano le leggi, che sono positive, e dunque diverse a seconda dei tempi e dei luoghi, ed espressione della facoltà legislativa che appartiene al popolo (universitas civium) e può essere attribuita a una parte di questo (pars valentior), che la esercita, comunque, in nome della volontà comune. Il potere governativo (pars instrumentalis seu executiva) è affidato al principe dal voto del popolo, che esercita il proprio controllo sulla pars imperans e può sempre deporlo: «il legislatore, o la causa prima ed efficiente della legge, è il popolo, l’intero corpo dei cittadini o la sua parte prevalente mediante la sua scelta o volontà espressa nell’assemblea generale dei cittadini» (I, XII, 3); ciò, secondo M., «d’accordo con la verità e l’opinione di Aristotele, nella Politica». La Chiesa, «comunità di fedeli» (universitas fidelium christianorum), deve essere organizzata in maniera analoga allo Stato: papa e vescovi sono eletti dal popolo dei fedeli che conferisce la somma autorità ai concili, ai quali, tuttavia, spetta soltanto l’applicazione della legge divina, essendo la Chiesa politicamente compresa nello Stato e non autonoma. Anche provvedimenti quali la scomunica devono essere valutati in considerazione della loro opportunità sul piano civile e politico (tema presente nel Defensor minor); allo stesso modo il discorso sulla necessità del sacerdozio è condotto dal punto di vista dell’utilità politica (ossia la difesa della pace) dell’insegnamento morale che mediante tale istituzione si impartisce in vista della realizzazione della giustizia divina. La distinzione di questa dalle leggi civili, se intesa in modo appropriato, esclude infatti qualsiasi loro interferenza. La Chiesa, in quanto comunità spirituale, non può inoltre possedere beni terreni e proprietà, né godere privilegi e immunità, i quali, proprio come l’autorità papale, non hanno carattere divino, ma origine puramente storica. Tali dottrine conducono M. ad attribuire all’imperatore il controllo supremo sulla conformità degli atti papali alle «regole della fede», che egli identifica con la Bibbia e i concili.
Intorno al 1342 M. compose il Defensor minor in cui estende la sua analisi politica a temi teologici relativi alla giurisdizione ecclesiastica, le indulgenze, le crociate, la confessione, l’autorità dei concili (che M. vuole convocati dal legislator humanus), l’origine della sovranità, la plenitudo potestatis del papa e, nella parte finale – in cui confluisce il precedente De iurisdictione imperatoris in causis matrimonialibus –, il tema del divorzio, principalmente in relazione al matrimonio di Giovanni di Moravia e Margherita di Tirolo-Gorizia, che Ludovico il Bavaro volle sposa del figlio Ludovico di Brandeburgo (1342). Nel Defensor minor è centrale il rovesciamento della plenitudo potestatis del papa, che segna l’avviarsi di una riflessione politica che muove dall’esigenza dell’autonomia e laicità di uno Stato, ripensato alla luce delle esperienze civili e politiche dell’età comunale. La divisione fra Stato e Chiesa si affianca, nelle teorie di M., all’averroistica divisione fra teologia e filosofia, in senso marcatamente anticoncordista e antitomista.
Biografia