FICINO, Marsilio (Marsilius Feghinensis)
La data di nascita del F. non è attestata da alcuna fonte documentata, ma si fonda sulla testimonianza contenuta in una sua lettera a Martiri Preninger (Martino Uranio), compresa nel libro IX delle Epistolae (in Opera omnia [indi Op.], p. 901). In essa il filosofo precisò, certamente per ragioni astrologiche, anche l'ora di nascita. La conferma di questa data, 19 ott. 1433, è data nel De voluptate (Op., p. 1012) e nel proemio alla versione di Plotino (ibid., p. 1537); ed è significativo che, sempre nell'epistola all'Uranio, il F. si soffermasse sull'oroscopo della sua nascita, segnato da una congiunzione nefasta di astri che avrebbe influito sul suo temperamento "malinconico" e lo avrebbe destinato ad un'esistenza non facile, caratterizzata da frequenti crisi psicologiche e da momenti di grave depressione.
Non mancano informazioni sicure sulla famiglia dalla quale nacque, composta, nel 1433, poco prima della nascita del F., da Dietifeci d'Agnolo da Figline (dal cui nome sarebbe appunto derivato il cognome "Ficino") allora "scholare di medicina", dalla moglie Alessandra di Nannoccio da Montevarchi. appena quindicenne, e da un figlio di sei mesi, Carlo, presto scomparso, ma primo di una numerosa figliolanza.
Non sappiamo con precisione quando il F. giunse a Firenze; sembra invece certo, perché affermato dallo stesso F. e confermato da altre fonti, che egli avesse come suo maestro di "gramatica" e "umanità" Luca d'Antonio de' Bernardi di San Gimignano, un maestro di buona fama di cui il discepolo serbò sempre grata memoria. Il suo primo maestro di filosofia invece fu Niccolò Tignosi.
Per quanto concerne il periodo di questi studi, alcuni indizi inducono a pensare ad un arco di tempo tra il '51 ed il '58, durante il quale il F. dové anche svolgere l'ufficio di istitutore presso una ricca famiglia. Proprio il 24 ott. 1451, Giovanni Chellini dava in prestito al "maestro Marsilio di maestro Ficino" che "sta[va] per ripetitore con Piero de' Pazzi una loyca di maestro Paulo de Vinegia" (Paolo Veneto), alla cui lettura doveva attendere in quel tempo allo Studio, forse sotto la guida di Antonio Dini. Alla vita e alla miseria e "servitus" dei ripetitori è, del resto, dedicato il primo scritto ficiniano che si conosca, l'Invectiva Marsilii Fighinensis ad suum Ghuardavillam Volaterranum, probabilmente databile prima del '54. Si deve aggiungere, per completare il quadro, che il F. ebbe pure, nel corso degli anni Cinquanta, indubbie relazioni con il piccolo gruppo di religiosi e letterati amici del canonico Lorenzo Pisano, un teologo che si richiamava alla tradizione medioevale dell'agostinismo platonizzante, e che, fuori dei canoni della teologia ufficiale, insisteva, soprattutto, sul tema essenziale dell'"amor Dei". Fra costoro era, certamente, Antonio degli Agli, futuro vescovo di Fiesole e di Volterra, a lungo legato al F.; proprio costui, nel De mystica statera, avrebbe già ammonito il giovane studioso che la lettura dei filosofi pagani poteva condurre facilmente all'errore, invitandolo a lasciare Platone e gli altri "auctores" per la pura verità cristiana. Ma la risposta del F., contenuta nello scritto, sarebbe stata la generica assicurazione che avrebbe continuato in quegli studi proprio per combattere ogni falsità e confermare e rafforzare la sana dottrina.
Che poi il filosofo si dedicasse effettivamente allo studio con grande impegno lo mostra un documento di notevole interesse, costituito dai testi raccolti nel ms. Palagi 199 della Bibl. Moreniana di Firenze, scoperti dal Kristeller e da lui editi nel 1944 (cfr. Studies, pp. 35-97). Il ms. si apre con una "tavola" delle categorie aristoteliche, un breve elogio di Aristotele, alcuni versi mnemonici ed esempi logici. Segue poi un'epistola del F. a Michele Mercati di San Miniato, nella quale dice di avergli inviato quegli scritti "compendiosi" di filosofia e di dialettica, perché possa iniziarsi a quegli studi che "Plato noster" considera propri dell'età giovanile; e, quindi, sono trascritti, in successione, una Summa philosophiae Marsili Ficini ad Michaelem Miniatensem (che contiene una "divisione" della filosofia, una rapida presentazione delle opere logiche aristoteliche come parti della scienza dialettica e numerose definizioni logiche e filosofiche di evidente impronta scolastica, ma non prive d'influenze ciceroniane, derivanti dal De officiis e dal De finibus), un Tractatus physicus (costituito da un gruppo di definizioni "fisiche", tratte da Aristotele, ma pure da Averroè e dal Fedone e dal Timeo platonici), un Tractatus de Deo, natura et arte Marsilii (ove Dio e la materia sono presentati come i due estremi opposti, l'"atto puro" e la "potenza pura"), un Tractatus de anima editum per Marsilium (l'anima vi è definita come l'"atto del corpo" e sono ben distinte le sue quattro "facoltà", vegetativa, sensitiva, motiva e intellettiva), una seconda raccolta di definizioni "fisiche" e logiche, un altro Tractatus physicus Marsili (ove sono riassunte le opinioni degli antichi "physici", ed è criticata l'ipotesi che i quattro elementi o uno di essi siano "principi", mentre tali "principi" dell'universo son indicati nella "materia", la "forma" e la "privazione"), delle Quaestiones de luce et aliae multae Marsili (raccolta di quistioni riguardanti la luce, la visione, il senso e la percezione in generale) e un'altra Divisio philosophiae, simile, ma non del tutto, alla precedente.
Difficile è stabilire la loro datazione, perché in questi testi non vi sono riferimenti ad altre opere del F., né egli li ha mai citati o posti nell'elenco delle sue opere. Però lo stesso Kristeller, con la collaborazione di A. Perosa, ha pubblicato nel 1950 (cfr. Studies, pp. 139-50) una lunga lettera di argomento filosofico che il F. scrisse il 13 sett. 1454 ad un altro sariminiatese, Antonio Morali (ora conservata in Bibl. com. di Forlì, Raccolta Piancastelli), in cui sono presenti molte somiglianze di forma e di contenuto con gli scritti in quistione.
Degli interessi filosofici del giovane F., in questi anni, offre un'altra testimonianza la copia di sua mano della versio-ne bruniana dell'Ethica nicomachea e degli Oeconomica, fittamente annotata, contenuta nel ms. 135 della Bibl. Riccardiana di Firenze e che già il Della Torre (Storia, pp. 449 ss.) aveva posto in relazione con le lezioni del Tignosi (cfr. Catalogo, pp. 12 s.).
La copia è datata al maggio del 1455. Ma, per non ingannarsi sul carattere delle letture e degli studi ficiniani di questi anni, si dovrà notare che, già tra il febbraio ed il marzo del '55 (stile fiorentino '54), egli scriveva il ms. S. 14 sup. della Bibl. Ambrosiana di Milano, comprendente il De Deo Socratis di Apuleio, il commento di Calcidio al Timeo, oltre al Gorgia di Platone nella versione del Bruni ed ai Topica ciceroniani (cfr. Suppl., I, p. LIV; Gentile, In margine, p. 38); mentre risale al maggio del '56 un altro codice appartenuto al filosofo e in parte scritto di sua mano, il ms. 709 della Riccardiana di Firenze, che raccoglie scritti di particolare importanza per chiarire le fonti e la genesi dell'ispirazione "platonica" ficiniana: e, cioè, la parte finale dell'Asclepius, seguita da testimonianze su Ermete Trismegisto tratte da Agostino, Cicerone e Lattanzio, il De Platone e il De mundo di Apuleio, i Dialogi VI, X, I e II di Seneca, la Formula vitae honestae di Martino di Braga, estratti dal De finibus di Cicerone e relativi appunti, la Dialectica dello PseudoAgostino, un estratto dell'Altividius e la versione latina del Theophrastus di Enea di Gaza (Catalogo, pp. 15 ss.). Come ha osservato il Gentile, proprio la presenza dell'Asclepius e dell'Altividius accresce particolarmente l'interesse di questo codice, giacché fu proprio per il tramite dell'Asclepius che il F. poté avvicinare gli scritti ermetici, quando ancora non conosceva il greco, ed operare un primo accostamento tra l'insegnamento del Trismegisto e quello di Platone che già, nell'epistola De divino furore (1457) e nell'opuscolo in volgare Di Dio et anima (1458), gli permetterà d'interpretare scambievolmente dottrine ermetiche e platoniche.
Sono proprio questi gli anni in cui il F. compi davvero le sue scelte dottrinali definitive, sulle quali è ben probabile che influisse anche l'esempio ed il possibile aTmaestramento di un altro intellettuale più anziano di lui di quasi dieci anni, buon conoscitore delle lingue classiche, poeta e commentatore di Petrarca e di Dante, e di spiccate simpatie platoniche, Cristoforo Landino. R vero che il F. nella sua epistola dedicatoria a Lorenzo il Magnifico della sua versione di Plotino (Op., p. 1527), fece risalire le sue prime meditazioni platoniche e la sua frequentazione di Cosimo il Vecchio addirittura al '52. Ma, se questa ricostruzione tende a spostare troppo lontano nel tempo l'inizio della sua missione "provvidenziale" di restauratore della "platonica sapientia", sta di fatto che nel '56 aveva già terminato la sua prima opera filosofica veramente impegnativa, quelle Institutiones ad platonicam disciplinam, scritte - come egli affermò (Op., p. 929) - proprio per esortazione del Landino che avrebbe provveduto a farle leggere a Cosimo. L'opera, che il F., pur senza renderla pubblica, non distrusse, conservandone sino a tarda età l'unico esemplare, non ci è pervenuta.
In ogni caso, dopo aver letto le Institutiones, Cosimo e il Landino, pure approvandole, consigliarono il giovane autore a non renderle pubbliche prima di essersi perfezionato nello studio del greco e di esser risalito alle "fonti" della sapienza platonica (Op., p. 292). E qui si apre un capitolo particolarmente complesso e delicato della biografia del F. circa un suo soggiorno presso l'università di Bologna per approfondire lo studio dei filosofi peripatetici e dedicarsi alla medicina. L'ipotesi, avanzata dal Corsi e ripresa dal Della Torre, è stata confutata dal Kristeller e in parte riabilitata dal Marcel.
Si dovrà anche ricordare che negli anni successivi al '57, oltre a comporre alcuni scritti sui quali torneremo, il F. si dedicò allo studio del greco, secondo il consiglio di Cosimo e del Landino, per giungere ad una compiuta conoscenza delle fonti originali del pensiero classico e della tradizione platonica.
Comunque, gli anni tra il '56 ed il '62 furono, sotto molti aspetti, un periodo devvero cruciale della biografia del F., caratterizzato dalla stesura di vari scritti, alcuni non poco importanti, e da un'intensa e complessa ricerca che rivela il carattere del tutto particolare del suo "platonismo" e delle fonti e tradizioni di cui si nutrì. Lo stesso filosofo, in una lettera al Poliziano, scritta probabilmente nel '74 (Ep., I, I, 20, pp. 44 s.), stendendo il catalogo delle sue opere, indicò come composti tra le Institutiones e la Theologia platonica (iniziata probabilmente nel '69) i seguenti scritti: Compendium de opinionibus philosophorum circa Deum et animam (in volgare); Oeconomica; De voluptate; De quattuor philosophorum sectis; De magnificentia; De felicitate; De iustitia; De furore divino (in volgare); De consolatione parentum in obitu filii (in volgare); De appetitu (in volgare); Oratio ad Deum theologica; Dialogus inter Deum et animam theologicus (e a queste opere si potrebbe anche aggiungere l'Epistola ad amitinam consolatoria che riprende, quasi alla lettera frasi e concetti del De consolatione parentum). Il catalogo è, senza dubbio, tardo e incompleto, ma fornisce un'utile traccia per identificare alcuni testi pubblicati prima del '62. Difatti, con la sola esclusione degli Oeconomica di dubbia identificazione, si tratta di scritti tutti conosciuti, alcuni dei quali furono compresi nel I libro delle Epistolae, costituito da lettere e brevi trattati in forma epistolare, databili tra la fine del '57 e la fine del '75. Ma la lista comprende anche opere che non furono rese pubbliche ed esclude, invece, altre edite nelle Epistolae. Nondimeno, per quanto concerne l'accertamento e la datazione, si può subito osservare che il Kristeller ha suggerito l'identificazione degli Oeconomica con l'Epistola ai fratelli del 6 ag. 1455 (Suppl., I, p. CLXV), laddove il Marcel (Ficin, p. 215) ha piuttosto ricordato le fitte annotazioni poste dal F. in margine al codice già citato, dove aveva copiato la versione bruniana dell'Ethica e degli Oeconomica. Il Dialogus inter Deum et animam theologicus, sotto forma di lettera a Michele Mercati, non è datato, ma la sua impostazione ed il tono nettamente platonico (non privo pure di suggestioni orfiche ed ermetiche) fanno pensare a una data prossima al '62 (cfr. Ep., I, 1, 4, pp. 12-16). Il De iustitia, immediatamente seguente nell'Ep. U, 5, pp. 17 s., con il titolo: Lex et iustitia), è una lettera indirizzata ai giuristi Otto Niccoli e Benedetto Accolti ed ai cavalieri Pietro de' Pazzi e Bernardo Giugni (che il Gentile ha datato tra il 6 genn. '62 e il 30 ag. '64); ed in questo scritto si parla pure della richiesta rivolta al F. dai destinatari, ma anche da Cosimo, di "Grecas Platonis Leges efficere", che si riferisce però non alla versione delle Leggi, bensì a quella del Minosse, compiuta appunto durante la vita del Medici (cfr. Marcel, Ficin, pp. 216 s.). Il De furore divino, epistola a Pellegrino degli Agli (Ep., I, I, 6, pp. 19-28), è datata dallo stesso F. al 1º dic. 1457. È però un'operetta così intensamente platonica e ricca di riferimenti impliciti ad Apuleio e a Macrobio da indurre il Marcel (Ficin, p. 217) a suggerire il suo spostamento al '62. Ma, in realtà, i testi di Platone qui usati sono soprattutto il Timeo, il Fedro ed il Fedone, questi ultimi nella versione del Bruni, mentre i richiami ad Ermete e ad Orfeo sono del tutto compatibili con le conoscenze testuali del filosofo nella data indicata.
Minori problemi presentano gli altri testi. Infatti il De magnificentia è un'epistola inviata il 1º giugno '57 all'amico Antonio Canigiani (Suppl., I, p. CXXXIX; II, pp. 7-11) più nota sotto il titolo De virtutibus moralibus. Il De voluptate, indirizzato sempre al Canigiani da Figline il 30 dic. '57 (Op., pp. 986-1012; e cfr. Suppl., I, p. CXV), è uno scritto di maggiore impegno teorico, nel quale è esposto il concetto platonico della "voluptas". Circa un mese più tardi, il 24 genn. '58 (stile fiorentino '57), il F. scrive, in volgare, una lunga lettera a Francesco Capponi, Di Dio et anima, che prende poi il titolo di Compendium de opinionibus philosophorum de Deo et anima (Suppl., I, pp. CLIXCLX; II, pp. 128-57), ove, insieme con quello di Platone, già dominano i nomi di Ermete, Plotino, Giamblico. Proclo, Calcidio, Apuleio, e quello del Trismegisto. Sempre al '57, con buone ragioni, il Kristeller ha datato l'epistola De quattuor sectis philosophorum (la platonica, la peripatetica, la stoica e l'epicurea), notevole anche per le due citazioni di Lucrezio "Epicureus nobilissimus" (Suppl., I, p. CXXXIX; II, pp. 7-11).
È dunque facile isolare gli scritti ficiniani del '57-'58, alcuni dei quali (il De voluptate e il Compendium) furono, se non composti certo divisati, durante il soggiorno estivo a Campoli, nei possessi di Giovanni Canigiani, padre di Antonio, nel corso di colloqui ed amichevoli discussioni che avevano come soggetto temi di particolare interesse anche per filosofi che si professavano platonici, come quello del piacere, già reso così popolare dal Valla, e quello della natura e dell'immortalità dell'anima.
C'è però assai di più: la conferma che il F. tra l'autunno e l'inverno del '57 leggeva e commentava Lucrezio e ne diffondeva le dottrine, comunicandole ad alcuni amici particolarmente fedeli. Certo, lo stesso filosofo, verso la fine della sua vita, rivelò, in una lettera all'Uranio (Op., p. 933), di aver scritto alcuni brevi commenti ("commentariola") a Lucrezio, composti "nescio quomodo"; ed aggiunse di aver destinato alle fiamme, seguendo l'esempio di Platone, quei frutti della sua "levitas iuvenilis". Però le lettere che, nel cod. Landi 50 della Bibl. com. di Piacenza, seguono una raccolta di alcuni scritti ficiniani del '57, già appartenuta ad Antonio Morali, forniscono preziose notizie sul carattere ed il significato del "conimentariola" (Suppl., I, p. XXXIX; II, pp. 81-87). Si tratta di sei epistole (una a Pellegrino degli Agli, due ad Antonio Morali, una a Michele Mercati, una a Piero de' Pazzi ed una ad un corrispondente anonimo) che, nel loro complesso, costituiscono una sorta di abrégé di quanto il F. doveva aver scritto.
In ogni caso, gli anni tra il '59 ed il '62 sono certo tra i più oscuri della vita del F.: né si può escludere che, a Firenze o a Bologna, si dedicasse effettivamente anche a quegli studi di medicina di cui resta traccia così evidente nelle sue opere. Fu, però, proprio in questo periodo che il filosofo - come ha notato il Gentile (Ep., I, pp. XXIII-XXIV) - "d[ette] forma a una singolare miscela di epicureismo, ermetismo e platonismo, a cui sarebbe sempre rimasto legato", ma fondata ancora soltanto sulla conoscenza delle fonti latine possedute, tuttavia, con un'eccezionale padronanza. Poi, nel giro di pochi anni, mediante la conoscenza del greco, poté iniziare lo studio dei testi platonici nella loro lingua originale e le prime traduzioni. Sempre il Gentile, che le ha studiate con particolare attenzione, ha osservato come tali versioni siano state condotte "secondo un ordine particolare, che sembra riflettere l'idea, ripresa proprio da (Giorgio) Gemisto (Pletone) della derivazione della filosofia platonica dagli scritti antichissimi dei prisci theologi". Difatti il F. stese un commento agli Oracula Chaldaica, attribuiti a Zoroastro, volse in latino gli inni attribuiti ad Orfeo, Omero ed Esiodo (di cui tradusse anche la Theogonia), le Argonautiche pseudoorfiche e gli scritti pseudopitagorici (Ep., I, p. XXV; e cfr. Catalogo, pp. 25 ss., 28-31, 32-35).
Simili considerazioni ripropongono in nuova luce un altro problema capitale della biografia del F., quello dei suoi rapporti con Cosimo de' Medici, a sua volta connesso con l'altro, non meno importante, dell'influenza delle idee e degli scritti del Pletone. Il F. - s'è visto - fece risalire addirittura al '52 i suoi primi rapporti con Cosimo (Ep., I, p. 154), sostenendo che a quest'ultimo portò a leggere le sue Institutiones sin dal '56. Può essere che la prima data anticipi di qualche anno l'inizio effettivo di una certa familiarità "filosofica" con Cosimo che, comunque, non contrastava necessariamente con la dichiarata "clientela" nei confronti di Piero de' Pazzi. Ma il secondo episodio sembrerebbe testimoniare già una particolare attenzione di Cosimo per gli studi platonici del giovane Ficino.
Queste supposizioni sono suffragate dai documenti, che mostrano lo stretto rapporto che s'instaurò tra il vecchio Cosimo ed il F. a partire dalla fine del '62. Il 4 settembre quest'ultimo gli dedicava la versione dell'inno orfico "al Cosmo", insieme con i ringraziamenti per quanto Cosimo faceva per lui e, in particolare, per avergli posto a disposizione l'"Academiam ... in agro Charegio", come "sacellum" della sua meditazione, ed i "Platonica volumina" sui quali doveva lavorare (Suppl., I, p. CXLII; II, pp. 87 s.). Tra quei codici era anche quello che conteneva tutti gli scritti di Platone, oltre a vari testi della tradizione platonica e "pitagorica" che il Gentile ha identificato con il cod. LXXXV, 9, della Bibl. Laurenziana di Firenze, probabilmente recato a Firenze da Gemisto e da lui venduto a Cosimo.
Il 4 dic. 1462 Cosimo acquistò per il F. (definito nell'atto d'acquisto "studens in philosophia") e per la madre Alessandra una casa in via S. Egidio, prossima all'ospedale di S. Maria Nuova; quindi, il 18 apr. '63, gli donò una casa con terreno, posta "nel popolo di San Piero a Careggi" e, dunque, assai vicina, anzi situata quasi di fronte, alla villa che era il suo soggiorno preferito. Infine, il 17 agosto, quasi a sancire il nuovo status del figlio, anche Dietifeci gli faceva dono di alcuni suoi beni, consistenti in case e in terreni posti a Montevarchi e a Figline, nell'usufrutto del podere e dei beni avuti da Cosimo, nei libri comprati per farlo studiare e nei suoi, che sarebbero passati al figlio dopo la sua morte; poi il 27 maggio '65 lo emancipava, donandogli una casa nel popolo di S. Leo a Celle, uno dei luoghi prediletti del Ficino.
Il destino del F. era ormai definitivamente legato al suo eccezionale compito di "restauratore" della filosofia platonica, svolto, in primo luogo, con la sua attività di traduttore e commentatore. E si trattava di un compito che, contrariamente a quanto è stato spesso detto, non contrastava affatto con l'insegnamento aristotelico svolto nello Studio da Giovanni Argiropulo, perché il F. era convinto, come il Gemisto, che le dottrine dello stagirita costituissero preparazione agli "arcana mysteria" del platonismo, così come il maestro bizantino non nascondeva i propri interessi e simpatie platoniche. Si delineava, così, il disegno di una nuova "iniziazione" filosofica e sapienziale che dal sapere "fisico" ed "etico" aristotelico ascendeva di grado in grado sino alla "theologia", fondata sulla sapienza divina dei "prisci" e dei platonici. Questa filosofia era decisamente avversa all'empietà di Averroè (che anche il Gemisto aveva considerato responsabile di un'interpretazione erronea e fuorviante di Aristotele) e di Alessandro di Afrodisia, che avevano distrutto l'antica comunione della "pietas" e della "philosophia" con la loro negazione dell'immortalità dell'anima. Anche se il F. avesse cercato di conciliare il suo platonismo con un'interpretazione assai personale del cristianesimo, nel quale risolvere e conciliare tutte le fedi, va pur detto che egli si mosse sempre con molta ambiguità e sottile prudenza, in una situazione di crisi religiosa latente e di non chiara e rigida ortodossia, qual era quella precedente ai grandi conflitti confessionali del XVI secolo.
Non è quindi casuale che la sua attività di traduttore e commentatore platonico fosse interrotta subito all'inizio dalla versione del Corpus hermeticum, che il F. disse di aver compiuto per invito di Cosimo, ma che, in realtà, completava la serie degli scritti dei "prisci theologi". La versione, terminata nell'aprile del '63, fu condotta sul cod. LXXI, 33 della Bibl. Laurenziana di Firenze, l'unico che contenga solo i quattordici trattati volti dal F. in luogo dei diciotto che costituiscono il Corpus; un codice che vendé (e non "comprò", come scrive erroneamente il Marcel, Ficin, p. 255), più tardi al Poliziano (Catalogo, pp. 37 s.). Poi la versione (edita, all'insaputa del F., a Treviso, il 18 dic. '71, per i tipi dello stampatore Geraert van der Leye; cfr. Catalogo, pp. 43 s.; Suppl., I, p. LVII) fu volgarizzata dal mercante fiorentino e "confilosofo" Tommaso Benci, che terminò il suo lavoro il 10 ottobre (Catalogo, pp. 41 s.); indizio, questo, non solo della rapida fortuna dei testi ermetici, ma anche della loro diffusione in ambienti certamente estranei all'alta cultura filosofica ed alla disciplina delle "Scholae". Intanto il F. continuava a tradurre i primi dialoghi platonici; e l'11 genn. 1464 da Celle scriveva a Cosimo, comunicandogli lo "stato" del suo lavoro. L'epistola era la risposta al pressante invito di Cosimo a recarsi a Careggi, portando con sé la versione del Filebo, dalla cui lettura si attendeva di conoscere la via che più facilmente conduce alla felicità (Ep., I, I, 1, p. 6). Ed appare evidente l'impazienza con cui il vecchio Medici, già prossimo alla morte, sollecitava l'opera del suo protetto. Ma il F., quando Cosimo era ancora vivo, tradusse soltanto dieci dialoghi, come chiarisce il Proemium in primos decem dialogos ad Cosmum Medicem, conservato nel cod. della Bodleian Library di Oxford Canonicianus latinus, 163 e cioè: l'Ipparco, il Della filosofia, il Teagete, il Menone, l'Alcibiade primo, l'Alcibiade secondo, il Minosse, l'Eutifrone, il Parmenide, il Filebo. Nel Proemium il F. cercò di spiegare le ragioni della sua scelta, delineando una sorta di "progresso" o "percorso" filosofico dei dialoghi (diversi dei quali sono considerati ora spuri o dubbi) che dall'Ipparco, dedicato al desiderio dei beni terreni, conduce al Filebo, che tratta del "sommo bene".
Si deve anche notare che il F. aggiungeva alla versione dei dieci dialoghi quella del De doctrina Platonis di Alcinoo, del De Platonis diffinitionibus di Speusippo, dei Versi d'oro (Aurea praecepta) e dei Symbola pseudopitagorici, confermando il carattere e l'ispirazione della sua "rinascita" platonica. P questo, nella sostanza, il bilancio dei "lavori" platonici del F., in vita di Cosimo. Si sa però che egli indicò proprio questi anni come il tempo della rinnovata Accademia platonica che si sarebbe formata a Careggi sotto la protezione di Cosimo.
Cosimo de' Medici morì il 1º ag. '64; e di lui il F. avrebbe a lungo rivendicato l'eredità ideale. identificandolo, specie in alcune lettere e "proemi" a Lorenzo, con l'immagine platonica del "governante-sapiente", restitutore di un'antica verità (cfr. Ep., I, I, 87, pp. 153 s.; epistola scritta nel settembre 1474). Si affrettò, comunque, a tentare di stabilire gli stessi rapporti con il figlio Piero, suo unico erede, dopo la morte di Giovanni, e che gli era successo anche nel potere politico. Gli dedicò, infatti, lo stesso anno, la versione del De morte di Senocrate che doveva aver già iniziata negli ultimi tempi della vita di Cosimo, se pure si deve prestar fede alla narrazione dello stesso F. che indica, tra le ultime letture da lui tenute al signore già quasi morente, lo scritto in quistione ed il Filebo (Op., p. 1965). L chiaro: il filosofo nutriva la speranza che Piero continuasse il "patronato" del padre nei confronti della "rinascita" platonica e del piccolo gruppo degli amici dell'Accademia, tra i quali annoverò sempre tutti i Medici, da Cosimo ai figli di Lorenzo. Ma l'atteggiamento del nuovo signore fu diverso per le crescenti difficoltà della politica interna ed estera della Repubblica, durante il suo breve predominio politico. Il F. non manifestò mai alcun risentimento nei suoi riguardi, anche se alcuni accenni inducono a ritenere che non si instaurasse mai con Piero il profondo "sodalizio" che lo aveva unito a Cosimo. Nondimeno, il Corsi (Ficin, p. 683) ha lasciato scritto che anche Piero ebbe frequenti contatti col F. per chiarire le dottrine platoniche, gli fece avere codici latini e greci e lo incoraggiò a pubblicare le versioni platoniche. E, invero, il F. - come scrisse nel Proemium di dedica a Lorenzo dei suoi commentari a Platone - dopo la morte di Cosimo dette a leggere a Piero le versioni di altri otto dialoghi, pur dedicandogliene soltanto tre, quelle dell'Ippia maggiore, del Liside e del Teeteto (Op., p. 1129). Il 1º apr. '66, in una lettera al Mercati (Suppl., I, p. CXLIII; II, pp. 88 s.), faceva di nuovo il punto sul suo lavoro, comunicandogli di aver già tradotto ventitré dialoghi e di star lavorando al Cratilo; aggiungeva di aver deciso di dedicare il Sofista allo stesso Mercati ed il Politico all'amico Migliore Cresci, "Academiae tutor"; e se autorizzava il Mercati a far leggere al Cresci i dialoghi di Platone tradotti in suo possesso, lo pregava di impedire a chiunque di copiare le sue versioni, perché dovevano essere ancora emendate e perché intendeva renderle pubbliche solo dopo aver compilato tutta la traduzione del corpus.
Nel marzo del '68 egli sospese, ancora una volta, i suoi impegni di traduttore "platonico", per dedicarsi ad un'opera che - a ben guardare - non era affatto estranea alla preoccupazione di congiungere la sua "renovatio" di Platone e dei platonici alle massime tradizioni fiorentine e, in particolare, alla memoria di Dante che, in una sua notissima pagina, presentò in veste di platonico "philosopho poetico" (Suppl., II, pp. 184 s.): il volgarizzamento della Monarchia, dedicato all'uomo politico mediceo Bernardo del Nero ed all'architetto e "tecnico" Antonio di Tuccio Manetti.
La biografia del Corsi, sia pure con una formula assai vaga ("eo tempore"), fa risalire agli anni della signoria di Piero la lettura ed il commento pubblico del Filebo. Come si è visto, il dialogo appartiene al gruppo di testi tradotti durante gli ultimi mesi della vita di Cosimo, che aveva mostrato un così forte desiderio di conoscerne le dottrine; certamente, proprio il fondamentale interesse etico di questo dialogo dové indurre il F. a sceglierlo per iniziare la diffusione del platonismo non solo tra il ristretto gruppo dei suoi amici, ma in un pubblico più vasto, composto non solo di "detterati", bensì di appartenenti al potente patriziato mercantile e finanziario ed agli stessi ambienti politici e intellettuali ai quali si rivolse anche con i suoi volgarizzamenti. Le lezioni del filosofo si svolsero - scrive il Corsi (Ficin, p. 683) - con successo ed una grande frequenza di pubblico.
La loro traccia sarebbe sopravvissuta in un manoscritto che conteneva anche le Institutiones, ma che oggi è perduto. Esiste, invece, un altro manoscritto quattrocentesco, il Vat. lat. 5953 della Bibl. apost. Vaticana, che contiene la probabile prima versione del commento al Filebo; nella prefazione, il F. dice di aver accettato di commentare Platone, "celebri hoc loco", per rispondere all'invito dei "nostri migliori concittadini".
Il Kristeller, tenendo conto del fatto certo che il F. vi tenne più tardi le sue lezioni sulle Enneadi (Studies, p. 111), ha ritenuto che il "luogo celebre" dovesse essere identificato con la chiesa del monastero camaldolese di S. Maria degli Angeli che, del resto, sin dal tempo di Ambrogio Traversari, era stato la sede di un importante "cenacolo" intellettuale, nel quale si riunivano, intorno al monaco, umanisti, dotti e anche uomini politici e di affari, come lo stesso Cosimo. Pure il Marcel ha accettato questa identificazione (Ficin, p. 310); mentre l'Allen (The "Philebus" commentary, pp. 522 s.) ha suggerito piuttosto l'incompiuta "rotonda" del Brunelleschi, del resto annessa a quel monastero. Inoltre, contestando la cronologia proposta dal Marcel, ha dimostrato come il commento al Filebo, nella sua prima versione, sia stato scritto sicuramente dopo l'altro celeberrimo commento al Simposio (composto sicuramente tra il novembre del '68 e il luglio del '69). Sicché il F., dopo aver terminato nel '68 la prima stesura di tutte le traduzioni platoniche, avrebbe successivamente steso il commento al Simposio, per poi iniziare quello del Filebo (connesso, forse, all'insegnamento pubblico), che lo occupò tra il luglio e l'inverno del '69; quindi, tra il '69 ed il '74, avrebbe lavorato alla composizione della Theologia platonica e, nel '74, a quella del De christiana religione.
Si tornerà più oltre a discutere queste date. Ma il ragionevole spostamento del commento al Filebo dopo quello al Simposio impone di parlare subito di questo scritto che è, certo, in assoluto il più celebre e noto del F. e che suscita, a sua volta, un'altra serie di problemi quanto mai importanti e delicati. Com'è noto il commento, composto in forma di dialogo e che, in certo modo, "reduplica" la struttura del testo platonico, si apre, insieme con la presentazione dei personaggi, con l'indicazione della sua "scena" rappresentata dal banchetto che Lorenzo dei Medici aveva voluto organizzare il 7 nov. '68, per onorare Platone. nel giorno della ricorrenza della sua nascita e della sua morte. Di questo banchetto (che rinnovava una cerimonia istituita da Plotino, secondo la narrazione che ne riferisce Porfirio nella Vita Plotini), il F. parlò in due epistole che mostrano come quel convito non fosse una finzione letteraria, ma un avvenimento reale. L'attribuzione a Lorenzo dell'iniziativa del banchetto è stata accolta senz'altro dal Marcel che l'ha trovata confermata nel cod. autografo Vat. lat. 7705 della Bibl. apost. Vaticana, da lui considerato l'"archetipo" della tradizione del commento e sul quale ha fondato la sua discussa edizione critica (Ficin, Commentaire sur le banquet, pp. 40 ss.). Il Gentile (Per la storia, pp. 6 ss.), studiando il cod. Strozz. 98 della Bibl. Laurenziana di Firenze, ha mostrato invece come, nella redazione più antica, Lorenzo non venisse neppure menzionato e facesse la sua "comparsa ufficiale" vicino al Ficino, "nelle vesti inusitate di patrono del[la] rinascita platonica", voluta dall'avo e continuata, sia pure in misura ridotta, dal padre, soltanto in una più tarda redazione, già intesa a creare, per il giovane signore, l'"immagine del filosofo-reggitore, secondo il ben noto modello platonico" (cfr. anche Catalogo, pp. 60 s.).
C'è di più. Sempre parlando del commento al Simposio, il Corsi afferma che, nel periodo in cui commentava pubblicamente il Filebo, il F. divisava di scrivere una Theologia platonica "instar prope Gentiliurn religionis" e di rendere pubblici gli inni di Orfeo ed i "sacrificia" (espressione abbastanza oscura che non è facile decifrare): ossia un programma che rivelerebbe la forte influenza di Gemisto. Un occulto "miracolo divino" glielo aveva impedito, di giorno in giorno, sprofondandolo in una sorta d'angoscia simile a quella provata da Girolarno per la sua ammirazione di Cicerone. Da questo stato di disperazione l'avrebbe tratto il più caro e vicino dei suoi amici, Giovanni Cavalcanti, inducendolo appunto a comporre quel commento, per alleviare il suo dolore e mostrare agli amanti della "vana bellezza" la via che conduce a quella "immortale".
Sarebbe stato questo l'inizio della "conversione" del F. che, pur restando platonico, avrebbe "cristianizzato" la Theologia platonica e, poi, composto il De christiana religione, trasformandosi da pagano in "milite cristiano", ed assumendo infine il sacerdozio (Ficin, p. 683).
Il 2 dic. 1469 morì Piero de' Medici. Il F. rivolse subito le sue attenzioni al figlio Lorenzo che gli era successo nel potere, insieme col fratello Giuliano, e che, nei suoi disegni, avrebbe dovuto riprendere il programma platonico del nonno e incarnare il tipo del "reggitore-filosofo" auspicato da Platone e da Gemisto. Come si vedrà, i rapporti tra il F. e Lorenzo non furono affatto così facili, continui e idilliaci come è stato a lungo ritenuto. A vero che il primo documento di una certa familiarità tra i due risale al '66 e che, nel '71, il F. scriveva di sua mano una lettera del Magnifico a Giovanni Antonio Campano. È però altrettanto certo che, agli inizi della sua signoria, Lorenzo preferiva ancora l'"allegra compagnia" di Luigi Pulci, personalità così lontana dal F. ed a lui avversa; e che, addirittura, parodiava la dottrina d'amore ficiniana, "in una data non lontana dal 1469", anno di stesura del commento del Simposio. Pure, dopo l'assunzione al potere, il 4 dic. '69, mutò atteggiamento, nel tentativo di smentire le voci sulla sua condotta privata ed attribuirsi l'aura di "sapienza" platonica già appartenente a Cosimo. Si trattò pur sempre di un mutamento non immediato né repentino: gli studiosi propendono nell'indicare gli anni '72-'73 come quelli in cui Lorenzo si avvicinò, sia pure con qualche esitazione, al modello ficiniano del "reggitore-filosofo".
Naturalmente, la crescente influenza del F. su Lorenzo suscitò reazioni anche assai aspre. È noto che su di lui e i suoi costumi correvano voci malevole che lo stesso signore si preoccupò di smentire, così come non dovevano mancare serie riserve su una filosofia lontana da ogni tradizione scolastica e che assumeva un carattere "teologico" molto sospetto, con il richiamo al mito dei "prisci sapientes" e la frequentazione di autori temibili.
Proprio nel '69 il cardinale Bessarione aveva dato alle stampe la versione latina dell'Adversus caluinniatorem Platonis, opera scritta per rispondere alla polemica antiplatonica e antigemistiana di Giorgio di Trebisonda, mostrare il sostanziale accordo tra Platone ed Aristotele, e sostenere la conciliabilità del platonismo con il cristianesimo. Il cardinale, antico discepolo di Gemisto, ne aveva inviato il 13 settembre una copia al F., di cui lodava il "Platonicae doctrinae studium eximium" (Ep., I, I, 11, p. 34) e con il quale aveva già avuto precedenti rapporti epistolari. Il F. gli aveva subito risposto celebrando la sua opera di difensore dell'"aurum. fulgens" della dottrina platonica, reso ancora più splendente dall'"officina" di Plotino, Porfirio, Giamblico e Proclo, ma fatto da lui, "piissimo teologo" veramente "tractabile manibus oculisque innoxium"; con entusiasmo, aveva esaltato l'avvento del tempo in cui i "mysteria" della teologia sarebbero stati "purgati" dalla rigorosa discussione dei sapienti come l'oro dal fuoco (Ep., I, I, 12, pp. 35 s.). Ciò conferma l'influenza esercitata anche dal Bessarione sul F. all'inizio della faticosa elaborazione della Theologia platonica, un'opera che avrebbe dovuto sancire la perfetta coesistenza del cristianesimo con il platonismo e con la tradizione dei "prisci", conclusa dalla meditazione neoplatonica. Ma per proporre una simile neologia" occorreva un carisma sacerdotale; sicché il comune interesse del F. e di Lorenzo doveva cospirare nel promuovere il definitivo passaggio del filosofo allo stato clericale, dal quale, per di più, avrebbe tratto anche una più sicura condizione economica.
Il F. aveva già ottenuto il 13 marzo '70 (stile fiorentino '69) la collazione della cappella di S. Maria della Neve a Montevarchi, giuspatronato dei Nannozzi, suoi parenti materni; tre anni dopo, il 5 genn. '73 (stile fiorentino '72) fu eletto pievano della chiesa di S. Bartolomeo a Pomino, diocesi di Fiesole; poi, rapidamente, il 18 settembre venne ordinato diacono, il 18 dicembre sacerdote e, il 6 genn. '74 (stile fiorentino '73), rettore della chiesa di S. Cristofano a Novoli.
All'assunzione del "carattere sacerdotale" da parte del F. seguì presto la prima pubblicazione a stampa di una sua opera, quella del Della christiana religione, volgarizzamento del De christiana religione, edito, nel testo latino, solo nel '76. Fu stampata a Firenze, da Niccolò Tedesco, lo stesso anno '74, forse verso la fine (ossia entro il 25 marzo '75, secondo lo stile fiorentino; cfr. Catalogo, p. 83; ma anche Suppl., I, pp. LVIII-LX, con le indicazioni delle edizioni seguenti, tra le quali quella rivista ed ampliata, pubblicata a Pisa, da Lorenzo e Agnolo Fiorentino, il 2 giugno ''84), e come gli altri volgarizzamenti fu dedicata a Bernardo del Nero.
Il testo latino del De christiana religione (che, secondo il Kristeller [Suppl., I, p. LXXVIII] ebbe tre redazioni, la prima, del '74, perduta, ma testimoniata dal volgarizzamento, la seconda conservata nel cod. XXI, 9, della Bibl. Laurenziana di Firenze, destinata a Lorenzo e la terza fornita dalla stampa: cfr. Catalogo, pp. 83-86) fu pubblicato, prima del 10 dicembre, a Firenze, per le stampe di Niccolò di Lorenzo; ed ebbe quindi numerose ristampe (Suppl., I, pp. LVIII-LX). Che poi il F. mirasse a legare questo ardito programma filosofico-religioso al "patronato" di Lorenzo lo mostra la dedica del testo latino, posto sotto la sua protezione. Ed a lui dedicò pure, tra la fine del '77 e gli inizi del '78, l'Argumentum in platonicam theologiam, come annunzio dell'opera maggiore ormai compiuta.
Ciononostante sono stati rilevati, già in alcune epistole del '76, indizi che sembrano indicare una crescente incrinatura dei rapporti tra il filosofo ed il signore (tipica la lettera al Michelozzi, del 21 settembre, edita dal Kristeller, Some, p. 33). In particolare è stato pure osservato che, sin dal '69, il F. si avvicinò al circolo romano del cardinale Francesco Piccolomini, forse per assicurarsi un'altra protezione nell'incertezza della sopravvivenza del regime mediceo; né v'è dubbio che, negli anni seguenti, il F. si avvicinasse ai Riario, a Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa, ed a quegli scontenti della "parte" medicea, già impegnati ad organizzare la congiura che, nel '78, mise in serio pericolo il regime e nella quale erano coinvolti principalmente i Pazzi.
A questo mutamento dei rapporti tra il F. e Lorenzo dové contribuire anche la polemica tra il filosofo ed il Pulci, esplosa nell'inverno del '76 (stile fiorentino '75). Non è possibile ricostruirla nei particolari; basterà dire che il F. temeva l'influenza del Pulci, così come conosceva la beffarda ironia che il poeta del Morgante riservava alla sua filosofia e le allusioni alle sue opinioni sulla magia.
Frattanto - secondo il Corsi (Ficin, p. 684) - il F., tra il '75 e il '78 (ma l'indicazione cronologica è piuttosto vaga), si dedicò ad esporre agli amici le dottrine già affidate alla Theologia. Stese così, sulla fine del '76, alcuni opuscoli teologici; il 28 ottobre scrisse da Celle al Cavalcanti di averne composti tre sulle tre vie che permettono di elevarsi a Dio, inviandogli il proemio, non ancora corretto, del terzo opuscolo. Quindi, il 10 novembre, gli comunicò il titolo di cinque opuscoli che portava con sé a Firenze: De divina providentia; De ascensu a materia elementorum ad caelum sine materia; De raptu Pauli; De impedimento mentis a corpore eiúsque immortalitate; Quid sit lumen (Op., p. 733).
Nel corso del '76 il F. dové affrontare un'inchiesta ecclesiastica relativa ad un beneficio cui era stato designato da Rinaldo Orsini, cognato di Lorenzo e arcivescovo di Firenze. Ma, nonostante traversie e polemiche, il filosofo continuava la sua intensa attività, usando contro i suoi avversari le armi dell'ironia ed elaborando nuovi scritti. Scrisse, infatti, un De officiis per il musicista Cherubino Quarquaglioli (Op., p. 744); inviò a Lorenzo, il 14 apr. '77. una lettera, ricca di quei temi "eliosofici" sempre ritornanti (Op., pp. 755 s.); stese, probabilmente, alcune "declamatiunculae" dedicate al "genere umano" (Op., pp. 738, 7473 755, 772) e l'Argumentum de summo bono (Suppl., I, pp. CXLIII s.; II, pp. 91, 96); nel luglio, con una lunga lettera, ammaestrò il suo più giovane "complatonico" Giovanni Nesi sull'immortalità dell'anima, ma anche sulle ragioni per cui l'uomo può vivere in modo bestiale (Op., pp. 774 ss.), e iniziò e proseguì un fitto scambio di lettere con il patrizio e ambasciatore veneziano Bernardo Bembo. L'opera più interessante scritta nel '77, fu, però, il "librum de providentia Dei atque humani arbitrii", individuata da Hans Baron nel cod. XX, 58, della Bibl. Marucelliana di Firenze, sotto il titolo di Disputatio contra iudicium astrologorum, che - scriveva al Bembo il 14 giugno - costituiva una critica radicale dell'astrologia "giudiziaria" e una rivendicazione della provvidenza e della libertà umana.
Sia il Kristeller (Suppl., I, p. CXL), sia il Marcel (Ficin, p. 441) hanno supposto che la revisione e diffusione della Disputatio fossero, in qualche modo, impedite dalle gravi vicende fiorentine dell'anno seguente, che il F. visse in modo assai drammatico. E, invero, le sue peggiori premonizioni si sarebbero "verificate" nella primavera del '78, quando, il 26 aprile, il tentativo della congiura detta dei Pazzi non solo implicò, con conseguenze mortali, alcuni dei suoi "patroni", come Francesco Salviati e Francesco de' Pazzi, ma rese evidente l'istigazione del Riario e la possibile compromissione del giovane cardinale Raffaele Riario, allora presente a Firenze e subito arrestato.
Si dovrà sottolineare che il F., prima della congiura, aveva rivolto ai suoi amici e protettori implicati epistole e parole che il Fubini (F. e i Medici, p. 48) ha interpretato come rivelatrici di una consapevole conoscenza dell'approssimarsi di quell'evento. Per tutto il tempo della guerra il suo epistolario non reca traccia di suoi rapporti scritti con Lorenzo. E se, sulla fine del '79, il F. rivolse a Sisto IV accorati appelli per la pacificazione (Op., pp. 808 ss.; 813 ss.), sempre il Fubini (Ancora, p. 286) ha ricordato che, pure nella sua indubbia "condanna dell'intransigenza papale", egli "si mantenne estraneo al merito delle accuse, e con ciò prese le distanze dall'aggressiva propaganda del regime". Per di più l'"amitinus" Sebastiano Salvini, nel pubblicare il suo volgarizzamento dell'Epistola Rabbi Samuelis, dedicato a Raffaele Riario ed all'arcivescovo Giovanni Niccolini, "negoziatore" papale, sottolineò i legami assai stretti tra il F. ed il cardinale; e la stampa dell'opera, per i tipi di Niccolò di Lorenzo, poté essere compiuta al massimo tra la fine dell'80 e gli inizi dell'81, quando la memoria della congiura e della guerra era ben viva e presente.
Per qualche tempo il F. dové vivere nel sospetto e si può comprendere perché, nel corso dei primi anni '80, stringesse, per mezzo di Francesco Bandini, che vi si trovava sino dal '76, rapporti particolarmente stretti con la corte ungherese di Mattia Corvino e con lo stesso sovrano; e che a questo dedicasse il III e il IV libro delle Epistolae, con un proemio che lo esaltava come il difensore della Cristianità contro i Turchi e lo presagiva loro trionfatore.
Nonostante attraversasse un oscuro periodo di timore, il F. non accettò mai, dopo qualche titubanza, l'invito a trasferirsi a Buda; e continuò, anche in quegli anni drammatici, a meditare ed a scrivere. Nel giugno del '78 terminò di stendere i Sermoni morali della stultitia et miseria degli huomini, che erano, in realtà, il volgarizzamento di alcune epistole latine.
Il dilagare della pestilenza nell'autunno offri al F., medico dell'anima ma anche del corpo, come amò sempre considerarsi, l'occasione per scrivere, nel '79, il Consilio contro la pestilenzia, che, nell'81, fu edito a Firenze, dalla stamperia di S. Iacopo di Ripoli.
Durante la peste il F. visse a Rignano, nel possessi del Cavalcanti, a Celle o a Careggi, afflitto dalla misera sorte di Firenze. Nel dicembre '79 scrisse, per il Cavalcanti e Lotterio Neroni, l'Orphica comparatio Solis ad Deum, eloquente documento della sua "eliosofia" (Op., pp. 825 s.), un'epistola che, più tardi, avrebbe ripreso ed ampliato. La pace tardava ancora; e, se l'epidemia si allontanava, correvano altre drammatiche notizie: l'11 ag. '80 i Turchi sbarcavano ad Otranto, rinnovando la minaccia diretta al cuore della Cristianità, che il filosofo aveva preannunziato, quando aveva esortato il papa alla pace, per scongiurare, con gli altri "potenti", l'estrema rovina. Nel colmo dell'estate anche la salute del F. subì una dura crisi e neppure le cure di tre sapienti medici, tra i quali era Domenico Benivieni, riuscirono a scongiurarla; ne fu salvato - scrisse - solo dalla sua devota invocazione del soccorso divino (Op., p. 829). Considerò l'evento come una conferma miracolosa della missione provvidenziale cui era stato chiamato.
Nei mesi seguenti la pace, ancora incerta, si rinsaldò. Il papa tolse l'interdetto a Firenze e la lunga crisi fiorentina si risolse con la conferma del regime "laurenziano". Anche la minaccia turca fu frenata dall'improvvisa morte di Maometto II, avvenuta nella primavera dell'81; il 15 settembre Otranto fu liberata. E sembrerebbe di cogliere un nuovo sentimento di liberazione e di esultanza nell'epistola laudativa che il F. premise alla stampa del celebre commento landiniano alla Commedia dantesca (Firenze, Niccolò di Lorenzo, 30 ag. 1481).
Pure la relazione con Lorenzo, che si era così deteriorata negli anni passati, fu rinnovata, anche se, forse, non tornò mai ad essere così stretta come nei primi anni '70. Il F. riprese, comunque, la sua attività di commentatoree diffusore delle "verità platoniche", divulgando, con le sue epistole, non solo le proprie dottrine, ma anche lo stato dei lavori nei quali era impegnato. La traduzione di Platone, già compiuta da oltre dieci anni, ma costantemente rivista, doveva, infatti, esser completata da commenti dedicati ai singoli dialoghi e ben diversi dai brevi "argomenti" che li accompagnavano. Del resto, come segno dell'intensa ripresa dell'attività ficiniana, il Marcel ricorda che nell'agosto '74 il F. doveva aver compiuto anche la revisione definitiva della Theologia, perché, sempre in una lettera della primavera, poteva annunziare al Cavalcanti di averla conclusa (Op., p. 856) e l'8 maggio scriveva al Bandini di averne inviato il testo ai tipografi (ibid.).
La Theologia platonica, dedicata a Lorenzo, fu edita, in effetti, il 7 nov. '82, per i tipi di A. Miscomini (per le fasi dell'ultima redazione, cfr. Suppl., I, pp. LXXIX ss.; Catalogo, pp. 111 ss.).
Alla pubblicazione della Theologia seguì, a non molta distanza di tempo, quella delle versioni platoniche, complicata però da varie traversie e incidenti, sui quali minutamente c'informano le epistole ficiniane (Op., pp. 856, 858 s., 861, 884), e dalla riluttanza del F. a renderle pubbliche sinché non fossero del tutto perfezionate. L'unico fatto realmente sicuro resta la stampa dell'editio princeps, ben documentata dall'accordo iniziale (stipulato tra Filippo Valori e Francesco Berlinghieri, finanziatori dell'edizione, e fra' Domenico da Pistoia, direttore della stamperia di S. Iacopo a Ripoli, e Lorenzo Veneto, suo socio) che ne stabiliva l'inizio per il 6 febbr. '84 (Suppl., II, pp. 109 s.; Catalogo, pp. 116 s.; Viti, Documenti, p. 274).
Mentre la pubblicazione di Platone si avviava al suo esito, il F. componeva ancora la Concordia Mosis et Platonis e la Confirmatio Christianorum per socratica, citate negli ultimi "argomenti". E già si profilava un'altra impresa altrettanto decisiva per la storia della nuova cultura filosofica, la versione ed il commento alle Enneadi di Plotino che, secondo la narrazione del filosofo, era già stata desiderata da Cosimo (Op., p. 1537). Il F. scrisse pure che ad incitarlo a compierla sarebbe stato il giovanissimo Giovanni Pico della Mirandola, come intermediario "eroico" dell'anima "eroica" di Cosimo, desiderosa di veder realizzato il suo antico proposito (Op., p. 1537). Naturalmente non sappiamo che fondamento abbia questo racconto. In ogni caso, un codice della versione plotiniana, fatto copiare probabilmente proprio per il Pico (è il cod. della Bibl. naz. di Firenze, Conv. soppr., E. 1. 2562), reca, aggiunta ai titoli, per due volte la data dell'84; e l'epistolario ficiniano permette di seguire la traccia del lavoro, terminato - come dice lo stesso F. - il 16 genn. '86 (Op., pp. 870 s., 873 ss.). Ma è significativo che, proprio in quest'ultima lettera, rivolta a Pierleone da Spoleto, medico di Lorenzo, il maturo filosofo si lamentasse amaramente delle sue crescenti difficoltà economiche, aggravate dalla morte del fratello Cherubino, dei cui figli aveva dovuto assumere la cura. Mentre alludeva apertamente a Lorenzo, cui aveva cercato invano di far intendere la sua grave situazione, declinava l'invito a tradurre Ippocrate, scrivendo che avrebbe dovuto, per necessità, dedicarsi non alla teoria, ma alla pratica dell'arte medica.
Ciononostante, appena terminata la versione, il F. iniziò a commentare le Enneadi, difficile compito che lo occupò sino al '91. Ma trovava pure l'occasione per scrivere a Domenico Benivieni l'Epistola de rationibus musicae, connessa al commento al Timeo e stesa probabilmente entro l'84; e per "autenticare" il 9 apr. '86, insieme col Poliziano, il famoso "codex pisanus" delle Pandette. Sempre nell'86, in un suo "apologo", De raptu Margaritenymphe ab heroe Pico, trasponeva in immagini mitologiche il tentato ratto della moglie di Giuliano Mariotto de' Medici, compiuto dal Pico, ad Arezzo, il 10 maggio, e ne faceva la scherzosa apologia in un'epistola a Pierleone (Suppl., I, p. 56).
Si direbbe, però, che più della difficile situazione familiare pesasse sul F. la relativa freddezza di Lorenzo, che, sebbene dedicatario della Theologia platonica e delle versioni di Platone, aveva lasciato che altri si assumessero le spese della stampa e sembrava poco proclive ad ascoltare le sue richieste di aiuto finanziario. Il F., nel marzo dell'87, ruppe gli indugi, ricordando esplicitamente a Lorenzo la sua grave situazione familiare ed i bisogni dei suoi nipoti (Suppl., 1, p. 57). Lorenzo, questa volta, non fece mancare il suo aiuto: chiese, anzi, proprio al figlio Giovanni (eletto il 17 nov. '83, canonico del duomo, all'età di otto anni) di rinunciare a quel beneficio di pertinenza medicea ed alla relativa prebenda di 40 fiorini, perché potesse passare al filosofo.
La prebenda canonicale sovveniva, però, solo in parte ai suoi bisogni, che nell'epistolario sono frequente causa di lamentele. Ma ciò non incideva sull'attività intellettuale del F., ora sempre più arricchita dagli incontri con gli antichi e nuovi "complatonici", ai quali, dopo il suo ritorno a Firenze, nell'86, si era unito, sia pure in una posizione personale sempre molto autonoma, anche il Pico, già impegnato nell'indagine della segreta esegesi cabbalistica della "parola divina". Sono note le vicende del Pico, concluse, dopo l'arresto presso Lione, con il ritorno a Firenze, sotto la protezione di Lorenzo. Il F. - che, forse, continuava ancora la sua esposizione pubblica di Plotino - aveva, però, rallentato il commento, per dedicarsi a nuove versioni di testi neopiatonici, singolarmente importanti perché segnavano un più esplicito ritorno alle profonde radici del suo pensiero. Il 6 genn. '89 scriveva al Bandini di non aver potuto - ancora terminare l'"explicatio plotiniana", perché era stato "costretto" ("coactus") a tradurre il De daemonibus di Psello, una parte del De abstinentia di Porfirio, il De Aegyptorum Assyriorumque theologia di Giamblico ed il commento di Prisciano Lidio al De anima di Teofrasto. Annunziava pure che Filippo Valori stava trascrivendo le versioni ed i commenti già composti di Plotino in un codice destinato a re Mattia (Op., pp. 895 s.).
Sembrerebbe, però, che il lavoro plotiniano fosse ripreso nell'89 e precisamente nell'estate se, il 15 agosto, scrivendo al medico e filosofo Antonio Cittadini da Faenza, il F. poteva dire di esser tornato a commentare Plotino, dopo aver fatto "passare dalla Grecia in Italia" Teofrasto, Giamblico, Proclo "ed altri ancora" (Op., p. 900). Tuttavia, con il trentesimo trattato delle Enneadi, il commento ficiniano si sarebbe ridotto solo a brevi e concise analisi. Piuttosto, proprio l'approfondimento della lettura di Plotino lo aveva costretto e lo costringeva a nuove indagini e riflessioni da condurre con il diretto confronto di altri pensatori neoplatonici, nonché a chiarire dubbi, perplessità e rilievi avanzati da amici e corrispondenti. Il 25 marzo dell'89 dedicava a Filippo Valori l'Interpretatio Prisciani Lydi in Theophrastum de sensu e l'Interpretatio dello stesso autore al "de pliantasia et intellectu" sempre di Teofrasto (Catalogo, pp. 125 s.; e cfr. Suppl., I, p. XVIII). Inoltre, nello stesso cod. Strozzi, 97 della Bibl. Laurenziana di Firenze, dedicato a Giovanni de' Medici, raccoglieva, insieme coi testi tratti dal De abstinentia, la traduzione-parafrasi del De misteriis di Giamblico, degli Excerpta ... ex graecis ... commentariis in Alcibiadem Platonis primum di Proclo, del De sacrificio e del De occasionibus dello stesso autore. Ed è davvero illuminante che, per congratularsi con il "magnus sacerdos" cristiano elevato alla porpora, il F. si affidasse a Giamblico ed alla sua opera dedicata alla religione iniziatica dei sacerdoti egiziani ed assiri. Né mancò, il 15 apr. '89, di dedicare all'altro figlio di Lorenzo, Piero, il De somnis di Sinesio e il De daemonibus di Psello (Op., p. 898). Uno splendido codice adornato dalle miniature di Attavante riunì, poi, tutte queste versioni in omaggio a Lorenzo (Catalogo, pp. 128 s.).
La scelta di tali testi è certo ben indicativa del corso sempre più "esoterico" della riflessione ficiniana. Ma l'evento più clamoroso fu la redazione, stesa a Careggi, tra la primavera e l'estate dell'89, dei Libri de vita.
È stato sottolineato dal Garin e dalla Yates come questo trattato, nato in margine al commento plotiniano, fosse un evidente richiamo alle dottrine magiche dello Asclepius e rivelasse l'influenza anche di fonti più temibili, come il celebre e famigerato Picatrix (Catalogo, pp. 133-38, Suppl., I, p. LXIV).
Simili dottrine provocarono subito aspri attacchi contro il F. che, già il 15 sett. '89, rivolgeva a Piero Nero, Piero Guicciardini e Piero Soderini un'Apologia abilmente congegnata (Op., pp. 572 ss.). Il 16, poi, scriveva una seconda epistola a Bernardo Canigiani, Giovanni Canacci e Amerigo Corsini, per chiedere l'intervento a suo favore di Giorgio Benigno Salviati e ribadire la sua piena ortodossia (Op., pp. 574 s.). La stampa dei Libri de vita rafforzò gli attacchi; un'accusa contro di lui come sospetto di magia fu sollevata presso la Curia romana. Né si trattava di un'accusa di poco conto, specie dopo l'ancor vicino precedente della condanna del Pico. Nel gennaio '90 le epistole del F. testimoniano un grave timore e recano nuove pressanti richieste di aiuto. Scrive che gli è necessario tutto l'impegno dei suoi amici; si rivolge ad un giurista perché lo difenda dagli avversari, presentati nell'Apologia come "mostri velenosi"; chiede l'appoggio del generale dei domenicani. Poi, tra l'aprile ed il giugno, le richieste sono ancor più pressanti. Il F., mentre il 2 maggio, scrivendo a Lorenzo, mostra piena fiducia nel giusto ausilio divino, si rivolge ancora al Cittadini, ad Ermolao Barbaro, ad Antonio Calderini, al vescovo di Volterra, Francesco Soderini, al cardinale Marco Barbo, a Rinaldo Orsini (Op., pp. 909 ss.). Questi appelli e l'intervento del signore resero vana l'accusa: il 1º giugno Ermolao Barbaro poteva rassicurare il filosofo che il papa non aveva dubbi sulla sua innocenza ed anzi parlava di lui "honorificentissime", esprimendo il desiderio d'incontrarlo presto.
Anche in questi frangenti il F. continuava il commento plotiniano. Il 12 novembre Luca Fabiani finì di trascrivere il bellissimo codice in due volumi (Firenze, Bibl. Laurenziana, LXXXII, 10-11) che, ornato dalle miniature di Attavante, fu presentato a Lorenzo, con proemio che ricostruiva, sotto il segno di Cosimo e del suo disegno di "renovatio" platonica, la lunga fatica del F. come traduttore ed "interprete" degli autori della "prisca theologia" e della "pia philosophia" (Catalogo, pp. 147-50; Suppl., I, p. XII). La spesa dei codici fu assunta, di nuovo, da Filippo Valori; ma fu Lorenzo a provvedere a quelle della stampa, subito avviata, nel nuovo clima di rinata amicizia per il F. che sembra testimoniata dalle epistole degli anni '90 e '91. Ma ciò non impedì al F. di protestare vivacemente con Bernardo Dovizi, segretario di Lorenzo, per l'imposta troppo alta a favore dello Studio di Pisa che veniva a gravare sulla sua prebenda e di ottenere l'esenzione per i suoi meriti che - riteneva - gli valevano i "publica stipendia" (Op., pp. 9 12 s.). Poco dopo inviava a Lorenzo un codice nel quale aveva raccolto i suoi scritti giovanili o della prima maturità e, poi, ancora, il proemio ad un "lib[er] qui inscribitur homo" che non s'intende se fosse una raccolta di vari testi o un progetto di rielaborazione dei temi a lui consueti (27 e 30 ottobre; Op., p. 916).
La stampa del Plotino, testo e commenti, affidata sempre al Miscomini, procedé lentamente (cfr. Op., pp. 928 s.): fu terminata soltanto il 7 maggio '92, a breve distanza dalla morte di Lorenzo, avvenuta l'8 aprile (Catalogo, pp. 150 s.).
I tempi erano di nuovo oscuri e temibili. Proprio nel '90 era tornato a Firenze Gerolamo Savonarola, la cui predicazione otteneva adesso uno straordinario successo, attraendo, oltre al Pico, divenuto suo amico e seguace, anche non pochi "confilosofi" del Ficino. Egli stesso, sempre così interessato alla profezia ed ai profeti, si era rallegrato della presenza a Firenze di un religioso così puro e sincero. Ma non doveva condividerne le fosche previsioni, se il 13 sett. '92 scriveva a Paolo di Middelburg quelle Laudes seculi nostri tamquam aurei, ove erano indicati tutti i segni di'una nuova "età dell'oro" sanciti dal ritorno della sapienza platonica (Op., p. 944). Ed è noto che aveva interpretato i presunti "prodigi", verificatisi alla morte di Lorenzo, come indizi della sua glorificazione celeste e ammonimento ai nemici dei Medici e di Firenze, privata del suo "padre", ma consolata dalla virtù "eroica" del suo erede, Piero (Op., pp. 930 s., 1538). In lui riponeva le sue speranze perché fosse protettore e promotore della "renovatio" platonica, ora ancor più compiuta con la nuova versione di scritti dello Pseudo-Dionigi.
Il F. l'aveva iniziata nell'estate del '90, con la traduzione del De mystica theologia, terminata nel dicembre; ed aveva poi preso a volgere il De divinis nominibus, lavoro cui attendeva nella primavera ed estate del '91 (Op., pp. 920 s.). In questa stessa estate, il 13 agosto, usciva a Venezia, per i tipi di Bernardino de' Cori e Simone da Lovere, la seconda edizione delle versioni platoniche e della Theologia, assai più corretta delle principes, perché aveva utilizzato le emendazioni recate in calce dal filosofo (Catalogo, pp. 119 s.). Ma questi meditava di pubblicare una seconda edizione fiorentina che unisse insieme le versioni ed i suoi "commentaria" a Platone, progetto di cui aveva scritto nel gennaio del '91 a Braccio Martelli (Op., p. 918), alludendo alla promessa di Lorenzo di finanziarla.
Queste stampe erano il segno della crescente fortuna degli scritti e delle dottrine del F., ben indicata dai suoi sempre più ampi legami con dotti stranieri che talvolta venivano a Firenze a visitarlo. Tra costoro fu il Preninger, suo fedele seguace e "propagatore" tedesco, il cui soggiorno fiorentino ebbe luogo nell'aprile o maggio '92, nel corso di un suo viaggio a Roma, per una missione diplomatica affidatagli da Eberardo, duca del Württemberg (Op., pp. 930, 932). A lui il F. scriveva il 3 agosto per comunicargli l'arrivo a Firenze di nuovi codici recati dal Lascaris, nei quali erano contenuti alcuni testi platonici e, tra questi, il commento di Proclo ai primi sei libri della Repubblica ed all'inizio del settimo (Op., p. 937). Ma il F. vi avrebbe pure trovato il commento di Proclo all'Alcibiade primo ed il trattato di Atenagora sulla resurrezione.
L'attività letteraria del F. continuava con immutato ritmo. Nel giugno '92 inviava all'Uranio due inni orfici ed il Simulacrum Iovis da Porfirio (Op., pp. 933 ss.), seguiti presto dal "catalogo" dei suoi "familiari" e "uditori" (Op., pp. 936 s.). Ma, già nell'aprile-giugno, aveva approntato la prima versione del De Sole, uno scritto dedicato al duca del Württemberg, inviato in Germania prima del 13 settembre (Op., p. 944). Ad esso fu unito il De lumine, nato dalla rielaborazione del Quid sit lumen, già dedicato, nel '76, a Febo Cappella. Frattanto il F. aveva inviato, il 3 agosto, all'Uranio una silloge di Excerpta ex Proculo in Rempublicam Platonis, accompagnata da un proemio, ed edita poi tra le epistole (Op., pp. 937-43). L'anno si chiuse con la preparazione della stampa del De Sole e De lumine, editi, sempre dal Miscomini, con la data del 31 genn. '93 (stile fiorentino '92).
L'elaborazione di questi scritti rallentò, ma non interruppe, la ripresa dei commenti a Platone, condotta fino all'autunno del '94: il 16 ottobre scriveva a Germain de Ganay di aver terminato il commento al Parmenide.
Dopo non riprese più la sua fatica di commentatore, ma, se pure non condusse a termine l'"interpretatio" platonica cui aveva sempre mirato, il F. aveva ormai assicurato la fortuna europea del nuovo platonismo, così congiunta a quella della sua personale filosofia. Lo dimostrano i rapporti da lui stabiliti con personalità intellettuali di tutti i maggiori paesi, da Germain de Ganay, Robert Gaguin e Jacques Lefèvre d'Etaples a Martino Uranio, Johannes Reuchlin, Paolo di Middelburg e Georg Herivart, da Thomas Linacre, William Grocyn e John Colet ai dotti ungheresi già ricordati ed agli ambienti polacchi, ove aveva operato il suo corrispondente Callimaco Esperiente.
A Firenze, però, gli ultimi anni del secolo erano il tempo di una crisi politica, religiosa e intellettuale profonda e irreversibile, di cui la predicazione savonaroliana era l'espressione più forte e drammatica.
Era ormai vicino quel "diluvio" già profetato dal Savonarola e che si manifestò con l'invasione dell'armata francese di Carlo VIII, destinata a dissolvere il precario equilibrio politico italiano, ad aprire il tempo delle "guerre horrende", ma anche a por fine al fragile potere di Piero de' Medici. Sono note le vicende che condussero alla fine della prima signoria medicea ed alla fuga di Piero da Firenze il 9 nov. '94. Il 17, il giorno della sospetta morte del Pico, il re entrava a Firenze, preceduto dal mito che lo presentava come il restauratore e riformatore della Cristianità e futuro liberatore del S. Sepolcro. Il F. aveva già recato in omaggio il De Sole e il De lumine a Jean Matheron de Salignac, quando era stato inviato a Firenze, per trattare il passo dell'esercito francese nelle terre della Repubblica (Op., p. 959); e s'è visto come nutrisse sincera amicizia per il de Ganay, il cui fratello Jean, cancelliere del re e presidente del Parlamento di Parigi, era con il sovrano. Non meraviglia che inviasse anche a quest'ultimo, per il tramite dello storiografo reale, l'italiano Paolo Emili, un'altra copia del De Sole (Op., p. 964), e che rivolgesse a Carlo VIII un indirizzo di saluto che presentava il re come l'inviato del Signore che avrebbe pacificato Firenze e strappato Gerusalemme ai "barbari" (Op., pp. 960 s.).
Del resto il F. che, nel momento più acuto della crisi fiorentina, si era ritirato a Careggi, nonostante il suo complesso e controverso passato "mediceo", non ebbe difficoltà ad adeguarsi al nuovo regime antimediceo, al quale avevano aderito molti dei suoi amici, dal Cavalcanti a Piero Soderini, da Bernardo Rucellai a Francesco Valori. Né fu oggetto di attacchi personali. Pochi mesi dopo, l'11 marzo '95, Matteo Capcasa stampava a Venezia la prima edizione delle Epistolae ficiniane, un'opera di eccezionale importanza non solo per la ricostruzione della sua biografia, ma anche per intendere lo svolgimento del suo pensiero, testimoniato da lettere che sono veri e propri trattati, scritti per illustrare i temi davvero "centrali" e sempre ritornanti nella sua meditazione. Il Gentile attribuisce, tra l'altro, ad Andrea Cambini e non al F., come ritenevano il Della Torre ed il Kristeller, il volgarizzamento delle Epistolae del I libro contenuto nel cod. 1297 (già AIV9) della Bibl. Casanatense di Roma. Tutte le Epistolae furono poi volgarizzate, con fedeltà ed eleganza, da Felice Figliucci ed edite a Venezia da Gabriel Giolito de Ferrari, nel 1546-48 (Catalogo, p. 145).
L'epistolario ficiniano si chiudeva con il '94, quasi a significare la fine di un'epoca di cui il F. era stato uno dei massimi protagonisti. Il 12 dic. '94, scrivendo al Cavalcanti, aveva cercato di spiegare perché la provvidenza divina permettesse che gli uomini, giusti o ingiusti, fossero tormentati da tanti mali, argomentando che anche ciò che noi chiamiamo "male" potrebbe essere permesso da Dio in vista di un maggior bene. Né mancava di richiamarsi alle dottrine platonica e neoplatonica sui demoni per spiegare l'origine dei vizi umani e di esaltare l'opera dei profeti che Dio invia per annunziare l'avvento di tempi terribili ed offrire la via della salvezza. Il Savonarola, inviato da Dio ai Fiorentini, era perciò presentato come il solo uomo che avesse salvato Firenze da peggiori pericoli e come la "voce divina" cui tutti i Fiorentini dovevano ubbidire (Op., pp. 961 ss.).
Questo atteggiamento, condiviso da molti altri ex amici e familiari dei Medici, spiega perché, quando, agli inizi del '95, il gonfaloniere Filippo Corbizzi riunì un'assemblea di alti ecclesiastici e teologi perché si pronunciassero sul Savonarola, il F., intervenutovi, affermasse che il frate era uomo di grande e profonda dottrina (Ficin, p. 564). Certo è che fece parte della commissione, nominata il 31 agosto dalla Signoria, incaricata di redigere l'inventario dei codici medicei trasferiti nel convento di S. Marco, di cui era componente lo stesso Savonarola. Ed ancora nell'aprile '96 avrebbe assistito ad una predica tenuta dal frate a Prato, per i professori e studenti dello Studio ivi trasferito, dopo la ribellione di Pisa.
Il '96 fu segnato da un evento che dové essere profondamente doloroso Per il F., a lei sempre molto legato: la morte della madre. Pochi giorni dopo, il 2 dicembre, Lorenzo d'Alopa stampava, con la dedica a Filippo Valori, che dové essere il finanziatore, il I volume dei Commentaria in Platonem che comprendeva, oltre al proemio al Valori, l'"argomento" ed il commento al Parmenide, l'"argomento" per il Sofista, il Compendium in Timaeum, con altre aggiunte; l'"argomento" al Fedro, seguito dal "commentuni cuni summis capitulorum" e, dopo il colophon, il Textus Platonis in octavo de Re publica de mutatione Rei publicae per numerum fatalem (Op., pp. 1413-425) che il Kristeller ritiene composto sempre nel '96 o poco prima (Suppl., I, p. CXXIII). Infine, il F. vi aggiungeva una sua epistola al camaldolese Paolo Orlandini, suo seguace ed ora acceso savonaroliano. Il d'Alopa, dopo aver provveduto a stampare la versione ed il commento del De mystica theologia e del De divinis nominibus (che apparvero, poco dopo, con la dedica al cardinale Giovanni de' Medici, allora esule), avrebbe dovuto pubblicare anche il II volume dei commenti, che, però, non fu edito (Catalogo, pp. 155 ss.; Suppl., I, pp. LXVIII-CXIX).
Agli inizi del '97 il F. (che nella sua qualità di prete e di canonico aveva tenuto varie prediche, raccolte in Op., pp. 473-93) cominciò a commentare in pubblico, in duomo, le Epistolae paoline. Ma non andò oltre l'inizio dell'Epistula ad Romanos, senza poter completare il commento agli scritti cristiani che avevano forse maggiormente influenzato il suo pensiero. Si avvicinavano infatti gli eventi drammatici che egli visse con dolorosa partecipazione e che segnarono la sua insuperabile rottura con il Savonarola: il tentativo di rientrare a Firenze operato da Piero de' Medici, proprio durante il gonfalonierato di Bernardo Del Nero, capo riconosciuto dei "Bigi", ancora legati alla tradizione medicea; e, quindi, nell'agosto, dopo l'arresto e la delazione di Lamberto degli Antelleschi, che denunziò il Del Nero come complice di Piero, l'arresto e la condanna a morte del vecchio uomo politico, suo "amicissimo". Il F., in quei frangenti, si era prudentemente ritirato a Figline; e se, nel '95, aveva declinato l'invito di Pietro Dovizi a rifugiarsi a Venezia (Suppl., II, pp. 218 ss.), adesso, già nel luglio, scriveva ad Aldo Manuzio che Firenze era dominata da tre Furie, la peste, già riapparsa, la fame e la "sedizione"; sicché, oltre ad essere ammalato, non poteva più vivere sicuramente in città, né nei suoi sobborghi e consultare i propri libri, sparsi nelle sue dimore (Suppl., II, pp. 95 s.). Ma tornò a Firenze, nel settembre, quando acquistò una casa; ed altri documenti lo danno presente in città anche alla fine di ottobre e, poi, nel febbraio e marzo del '98, quando era già prossima la tragica fine del Savonarola.
Non si hanno testimonianze che documentino una esplicita presa di posizione del F. contro il frate, anche dopo la scomunica papale. E ciò induce a ritenere che proprio l'uccisione di Bernardo Del Nero sia stata la ragione del suo radicale mutamento nei confronti del Savonarola che, dopo il supplizio di questo, ebbe una sconcertante conclusione con la stesura dell'Apologia Marsilii Ficini pro multis ab Antichristo Hyeronimo Ferrariense hypocritarum summo deceptis ad Collegium Cardinalium (Suppl., II, pp. 76-79), uno dei più violenti attacchi contro la memoria del "profeta", presentato come un vero "Anticristo", seduttore dei Fiorentini.
Gli ultimi mesi della vita del F. non sono ben percorribili. Certo, il 12 nov. '98 era probabilmente a Figline. Ma non si hanno altre notizie sulla sua vita e sulla sua attività, tra la fine del '98 e l'autunno del '99. Il 27 settembre di quest'anno, il F. faceva testamento, a Firenze, nella chiesa di S. Marco, stabilendo che gli fossero tributati funerali assai semplici e trenta messe gregoriane nella stessa chiesa, oltre a disporre con saggezza ed equità dei suoi beni.
Morì a Careggi (Firenze) il 1º ott. 1499.
Fonti e Bibl.: Una ricca e rigorosa bibliografia generale del F., sino al 1984, è pubblicata da P. O. Kristeller, in appendice al suo saggio: M. F. and his work after five hundred years, in M. F. e il ritorno di Platone. Studi e documenti, a cura di G. C. Garfagnini, Firenze 1986, I, pp. 50-80, ulteriormente aggiornata sino all'86, nel lavoro dallo stesso titolo, ma assai ampliato, edito a Firenze nel 1987, pp. 36-66. Il Kristeller ha poi aggiornato tale bibliografia sino all'87, in P. O. Kristeller, Il pensiero filosofico di M. F., Firenze 1988, pp. 441-76, indicando anche opere ancora in corso di stampa. Questo volume è la 2 ed. della redazione italiana dell'ormai classica monografia: P. O. Kristeller, The philosophy of M. F., New York 1943; e, come afferma l'autore, è la sola ed. corredata dagli indici degli autori citati dal F. e dei passi dello stesso F. e di altri autori citati nel testo. Si rinvia, pertanto, in generale a tale bibliografia, alle cui indicazioni si possono aggiungere, anche per il completamento delle indicazioni dei luoghi e tempi di stampa, le seguenti: J. R. Clark, Roger Bacon and the composition of M. F.s "De vita longa" ("De vita", Book II), in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XLIX (1986), pp. 230-33; F. Hallyn, Copernic et le platonisme ficinien, in L'invention au XVIe siècle, Talence 1987, pp. 135-51; J. Monfasani, For the history of M. F.s translation of Plato. The revision mistakenly attributed to Ambrogio Flandino, Simon Grynaeus' revision of 1532 and the anonimous revision of 1556/57, in Rinascimento, s. 2, XXVII (1987), pp. 293-99; E. Früchtel, Einige Bemerkungen zu Zeit und Zeitlichkeit in der Platonica Theologia des Marsilius Ficinus, in Perspektiven der Philosophie, XIII (1987), pp. 21-38; R. Fubini, Ancora su F. e i Medici, in Rinascimento, s. 2, XXVII (1987), pp. 275-91; V. J. Bourke, A millennium of Christian platonism: Augustine, Anselm und F., in Anselm studies, II (1988), pp. 527-77; A. Field, The origins of the platonic Academy of Florence, Princeton, N.J., 1988; A. Kuczynska, The third world of M. F. on the indispensability of experiencing beauty, in Dialectics and Humanism, XV (1988), pp. 157-71; B. Mojsich, Platon, Plotin, F., "Wichtigste Gattungen" -Eine Theorie aus Platons "Sophistes", in Die Philosophie im 14. und 15. Jahrhundert, a cura di O. Pluta, Amsterdam 1988, pp. 19-38; O. Rossini, Il XII libro della "Theologia platonica": i sogni, miracoli, la memoria in M. F., in Cannocchiale, 1988, nn. 1-3, pp. 125-72; C. Vasoli, F. e il "De christiana religione", in Die Philosophie im 14. und 15. Jahrhundert, cit., pp. 151-90; Id., Per le fonti del "De christiana religione" di M. F., in Rinascimento, s. 2, XXVIII (1988), pp. 135-233; Id., Filosofia e religione nella cultura del Rinascimento, Napoli 1988, pp. 19-135; E. Garin, Umanisti artisti scienziati. Studi sul Rinascimento italiano, Roma 1989, pp. 93-124; P. Galand Hallyn, L'"elocutio" chezM. F., in Bulletinde l'Association Guillaum Budé, 1989, n. 2, pp. 152-64; Th. Leinkauf, Amor in supremi opificis mente residens: Athanasius Kirchers Auseinandersetzung mit der Schrift "De amore" des Marsilius Ficinus. Ein Beitrag zur weiteren Rezeptionsgeschichte des Platonischen "Symposions", in Zeitschrift für philosophische Forschung, XLIII (1989), pp. 265-300; S. Gentile, Sulle prime traduzioni dal greco di M. F., in Rinascimento, s. 2, XXX (1990), pp. 57-104; S. M. Buhler, "De stella Magorum" and the Renaissance views of the Magi, in Renaissance Quarterly, XLIII (1990), pp. 348-70; M. N. Bullard, M. F. and the Medici: The inner dimensions of patronage, in Christianity and the Renaissance, a cura di T. Verdon-J. Henderson, Syracuse, N.Y., 1990, pp. 467-92; J. Hankins, Cosimo de' Medici and the platonic Academy, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, LIII (1990), pp. 144-62; C. Vasoli, Tra "maestri", umanisti e teologi. Studi quattrocenteschi, Firenze 1991, pp. 93-172; Id., Su alcuni temi della "filosofia della luce" nel Rinascimento: F. (De Sole e De lumine) e Patrizi (libro primo della "Panaugia"), in Studi per Giovanni Solinas, Cagliari 1991, I, pp. 63-89 (Annali della Facoltà di lettere e filos. dell'Università di Cagliari, n.s., IX [1988]); J. Hankins, Plato in the Italian Renaissance, I-II, Leiden-New York-København-Köln 1991; St. Otto, Geometrie und Optik in der Philosophie des M. F., in Philosophisches Jahrbuch, XCVIII (1991), pp. 290-313; C. Vasoli, M. F. e l'astrologia, in L'astrologia e la sua influenza nella filosofia, nella letteratura e nell'arte dall'età classica al Rinascimento, Milano 1992, pp. 159-86; Id., Nota su alcuni "proemi" e dediche di M. F., in Language et vérité. Études offertes à Jean-Claude Margolin, Génève 1993, pp. 153-67; Id., La "ratio" nella filosofia di M. F., in "Ratio", VII Colloquio internazionale, Roma 1992, Firenze 1994, pp. 219-37.
Sembra, comunque, opportuno ricordare qui almeno alcune delle opere storiografiche ed esegetiche più recenti che hanno particolarmente influito sull'interpretazione del F., oltre alla già cit. monografia del Kristeller: E. Garin, La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze 1961, pp. 111 ss.; R. Klibansky-E. Panofsky-F. Saxl, Saturn and Melancholy, London-New York 1964 (tr. it., Torino 1983); P. O. Kristeller, Eight philosophers of the Italian Renaissance, Stanford, Cal., 1964, ad Indicem (tr. it., Milano-Napoli 1970); D. P. Walker, The ancient theology, London 1972, ad Indicem; A. B. Collins. The secular is sacred: platonism and thomism in F.'s platonic theology, Then Haagen 1974. Sul F. e la diffusione del platonismo: E. Garin, L'età nuova. Ricerche di storia della cultura dal XII al XVI secolo, Napoli 1969, ad Indicem; Id., Il ritorno dei filosofi antichi, Napoli 1983, passim; M. De Gandillac, La renaissance du platonisme selon Marsile Ficin, in Diotima, XIX (1991), pp. 83-89. Sulla cultura astrologica, magica ed esoterica del F. cfr.: D. P. Walker, Spiritual and demonic magic F. to Campanella, London 1959 (rist., Notre Dame 1975); F. A. Yates, Giordano Bruno and the hermetic tradition, London 1964, ad Indicem (tr. it., Bari 1964); P. Zambelli, F. e la magia, in Studia humanitatis Ernesto Grassi zum 70. Geburtstag, München 1973, pp. 121-42; E. Garin, Lo zodiaco della vita, Roma-Bari 1976, ad Indicem; G. Zanier, La medicina astrologica e la sua teoria. M. F. e i suoi critici contemporanei, Roma 1977; C. V. Kaske, M. F. and the twelve Gods of the Zodiac, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XIV (1982), pp. 195-202; Id., F.'s shifting attitude towards astrology in the "Vita coelitus comparanda", the "letter to Poliziano", and the "Apologia to the cardinals", in M. F. e il ritorno..., cit., II, pp. 371-81; T. Moore, The planets within: M. F.'s astrological psychology, Lewisburg 1982; W. D. Mueller Jahne, Astrologich-magische Theorie und Praxis in der Heilkunde der frühen Zeit, Wiesbaden 1985; P. Zambelli, L'ambigua natura della magia, Milano 1991, ad Indicem. Ma cfr. per la discussione generale su tutti i temi della filosofia e della tradizione ficiniana: M. F. e il ritorno..., cit., con saggi di E. Garin, P. O. Kristeller, C. Trinkaus, A. Chastel, M. Sicherl, S. Gentile, S. Niccoli, P. Viti, J. Hankins, A. M. Wolters, I. Klutstein, D. P. Walker, B. P. Copenhaver, C. V. Kaske, P. Castelli, F. Purnell, M. J. B. Allen, V. Branca, A. M. Voci, E. P. Malioney, C. Vasoli, O. Pelosi, J. Domański, J. C. Margolin, M. Muccillo.
Manoscritti, edizioni e traduzioni delle opere: cfr. soprattutto, P. O. Kristeller, Supplementum finicinianum, voll. 2, Firenze 1937 (rist. an., ibid. 1973; citato come Suppl.) da integrare con nuove precisazioni e indicazioni fornite dallo stesso Kristeller, in M. F. and his work (1987), cit. pp. 67-111 (per il census dei mss.) e pp. 112-44 (per le addizioni e correzioni alla lista delle edizioni delle opere e l'aggiunta di scritti recentemente scoperti), per le traduzioni, pp. 145-56. Per i riferimenti contenuti nella "voce" sotto la sigla Op., il richiamo è sempre alla seguente ed.: Marsili Ficini Florentini ... Opera quae hactenus extitere et que in lucem nunc primum prodiere omnia, Basileae, ex officina Henricpetrina, MDLXXVI (rist. anastatica, a cura di M. Sancipriano, Torino 1983). Per le ed. crit. delle opere ficiniane, cfr. 1), per le Epistolae: M. Ficino, Lettere, I, Epistolarum familiarium liber I, a cura di S. Gentile, Firenze 1990; cit. come Ep.; 2) per la Theologia platonica: M. Ficin, Théologie platonicienne de l'immortalité des âmes, I-II, a cura di R. Marcel, Paris 1964-1970 (comprende pure una vasta parte del libro II delle Epistolae). Un'ed. parziale, con versione in lingua italiana, è stata pubblicata da M. Schiavone, Teologia platonica, I-II, Bologna 1965; 3) per i commenti platonici: M. Ficin, Commentaire sur le Banquet de Platon, a cura di R. Marcel, Paris 1956; e, per il volgarizzamento dello stesso F., M. Ficino, El libro dell'amore, a cura di S. Niccoli, Firenze 1987; M. Ficino, The "Philebus" commentary, a cura di M. J. B. Allen, Berkeley, Cal., 1975, 19792; M. J. B. Allen, M. F. and the Phaedran Charioteers, Berkeley, Cal., 1981 (con ed. e trad. ingl. del commento al Fedro); Id., Icastes M. F. 's interpretation of Plato's "Sophist", Berkeley, Cal., 1989; W. Keith Percival, F.'s "Cratylus" Commentary. A transcription and edition, in Studi umanistici piceni, XI (1991), pp. 185-96. Ma, a proposito dei commenti platonici e delle loro vicende testuali cfr. anche almeno: J. Hankins, Some remarks on the history and character of F.'s translation of Plato, in M. F. e il ritorno, cit., I, pp. 287-304; S. Gentile, Per la storia del testo del "Commentarium in Convivium" di M. F., in Rinascimento, s. 2, XXI (1981), pp. 3-27; M. J. B. Allen, The platonism of M. F. A study for "Phaedrus" commentary. Its sources and genesis, Berkeley, Cal., 1984; Id., The second F. - Pico controversy: parmenidean poetry, eristic and the One, in M. F. e il ritorno, cit., II, pp. 417-55; Id., M. F.s interpretation of Plato's "Timaeus" and its myth of the Demiurge, in Supplementum Jestivum. Studies in honor of P. O. Kristeller, a cura di J. Hankins, J. Monfasani - F. Purnell, Binghamton 1987, pp. 399-439; S. Gentile, Note sui manoscritti greci di Platone utilizzati da M. F., in Scritti in onore di E. Garin, Pisa 1987, pp. 51-84; 4) per i Libri di vita: M. Ficino, Three books on life. A critical edition and translation..., a cura di C. V. Kaske e J. R. Clark, Binghamton, N.Y., 1989; 5) Consigliocontro la pestilenza, in B. Ferrari-S. Balossi, Consigli contro la peste, Pisa 1966; M. Ficino, Consiglio contro la pestilenza, a cura di E. Musacchio e Intr. di G. Moraglia, Bologna 1983; 6) volgarizzamento del F. del De raptu Pauli: in E. Garin, Prosatori latini del Quattrocento, Milano-Napoli 1952, pp. 931-69 (a fronte di una ed. rivista del testo latino).
Studi di particolare rilevanza per la biografia del F.: le biografie cinquecentesche di Giovanni Corsi e di Piero Caponsacchi (o, secondo il Marcel, l'autore della Vita secunda) sono edite in appendice all'unico tentativo di biografia organica recente: R. Marcel, Marsile Ficin, Paris 1958, pp. 679-89, 690-734 (citato come "Ficin"; cfr. anche E. Garin, La vita di M. F., in Rinascimento, II [1951], pp. 95 s.; Id., L'anonimo biografo del F., in Giorn. critico della filos. ital., XXXVII [1957], pp. 410 s.). Ma cfr. A. Della Torre, Storia dell'Accademia platonica di Firenze, Firenze 1902 (ripr. Torino 1960); P. O. Kristeller, Studies in Renaissance thought and letters, I, Rome 1955 (ripr. ibid. 1969), pp. 33-257 (raccolta di studi in parte già pubbl.; per l'ed. di testi giovanili del F., cfr. pp. 55-97; 146-50); Id., Some original letters and autograph manuscripts of M. F., in Studi di bibliografia e storia in onore di Tammaro de Marinis, III, Verona 1964, pp. 5-33; Id., M. F. as a beginning student of Plato, in Scriptorium, XX (1966), pp. 41-54; S. J. Hough, An early record of M. F., in Renaissance Quartely, XXX (1976), pp. 301 s.; S. Gentile, Un codice magliabechiano delle Epistole di M. F., in Interpres, III (1980), pp. 80-157; P. Kristeller, M. F. letterato e le glosse attribuite a lui nel Codice Caetani di Dante, Roma 1981; S. Gentile, In margine all'epistola "De divino furore" di M. F., in Rinascimento, s. 2, XXIII (1973), pp. 33-77; R. Fubini, F. e i Medici all'avvento di Lorenzo il Magnifico, ibid., s. 2, XXIV (1984), pp. 3-52; P. O. Kristeller, M. F. and the Roman Curia, in Roma humanistica. Studia in honorem ... Iosae Ruysschaert, a cura di I. Ijsewijn, Leuven 1985, pp. 83-98; M. F. e il ritorno di Platone. Mostra di manoscritti, stampe, documenti, catalogo a cura di S. Gentile - S. Niccoli - P. Viti, Firenze 1984 (cit. come Catalogo); S. Gentile, L'epistolario ficiniano: criteri e problemi di edizione, in M. F. e il ritorno, cit., I, pp. 229-38; P. Viti, Documenti ignoti per la biografia di M. F., ibid., I, pp. 251-83; S. Gentile, Note sullo "scritto" di M. F., in Supplementum festivum, cit., pp. 339-97; R. Fubini, Ancora su F. e i Medici, cit. per le traduzioni di Plotino, cfr. anche: A. Wolters, Aspects of F.s translation of Plotinus, in Proceedings. Fourth Medieval Forum. Plymouth State College, Plymouth 1983, pp. 98 s.; Id., F. and Plotinus' "Treatise 'On Eros'", in F. and Renaissance neoplatonism, a cura di K. Eisenblicher - O. Zorzi Pugliese, Ottawa 1986, pp. 189-97; Id., The first draft of F.s translation of Plotinus, in M. F. e il ritorno, cit., I, pp. 305-29. Per altre traduzioni: M. Sicherl, Die Handschriften, Ausgaben und Übersetzung von Jamblichos' "De mysteriis", Berlin 1957; Id., Platonismus und Textüberlieferung, in Jahrbuch der österreichischen byzantinischen Gesellschaft, XV (1966), pp. 201-29, poi, in Griechische Kodikologie und Textüberlieferung, Darmstadt 1980, pp. 535-76; Id., Druckmanuskripte der Platoniker-Ubersetzungen M.F.'s, in Italia medioevale e umanistica, X (1977), pp. 323-39. Per la grafia del F.: M. Sicherl, Die Humanistenkursive M.F.s, in Studia codicologica, Berlin 1977, pp. 443-50. Infine, il volgarizzamento ficiniano della Monarchia di Dante è stato ed. da P. Shaw, La versione ficiniana della "Monarchia", in Studi danteschi, LI (1978), pp. 289-408 (e cfr. Id., Per l'edizione del volgarizzamento ficiniano della "Monarchia", in Testi e interpretazioni, Milano 1978, pp. 927-39); mentre l'Invectiva ... ad suum Ghuardavillam... è stata pubblicata da E. Cristiani, Una inedita invettiva giovanile di M. F., in Rinascimento, s. 2, VI (1966), pp. 209-22.