FICINO, Marsilio
Nacque a Figline nel Valdarno il 19 ottobre 1433 da Diotifeci d'Agnolo di Giusto, medico, e da Alessandra di Nannoccio di Montevarchi. Della sua prima educazione letteraria nulla si sa di preciso. Secondo il suo primo biografo, Giovanni Corsi, a Firenze fu humanioribus litteris... abunde eruditus. Continuò i suoi studî a Pisa, durante l'interruzione dello studio fiorentino dal 1449 al 1451. Ritornato a Firenze vi compì il tirocinio grammaticale con Luca di Antonio da S. Gimignano e messer Comando di Simone Comandi di Pieve S. Stefano. Il suo primo maestro di filosofia fu Nicolò di Iacopo Tignosi da Foligno, lettore di medicina e di logica e filosofia peripatetica nello studio fiorentino, ma fin d'allora il peripatetismo gli apparve non scientia ma malitia, e si volse agli scrittori platonici, e al platonismo si dedicò interamente quando, tornato da Bologna per compiervi il corso di medicina dopo appena un anno (1458), Cosimo de' Medici lo prese sotto la sua protezione "consacrandolo al divino Platone". Poco tempo dopo si diede allo studio del greco, probabilmente sotto la guida del Platina, e vi fece in breve tali progressi che poté tradurre gl'inni attribuiti a Orfeo e ad Omero, gl'inni di Proclo di Licia, la Teogonia di Esiodo e l'Argonautiche. Nella villetta di Careggi, donatagli da Cosimo, attese alla traduzione del Pimandro di Ermete Trismegisto, e infine iniziò la traduzione dei dialoghi platonici, solo interrotta dai ragionari su argomenti di filosofia, di letteratura e di politica con gli amici più intimi. Questi ragionari dell'Accademia charegiana, come egli amava chiamare la sua villetta, furono l'inizio della famosa Accademia platonica.
Morto Cosimo de' Medici (1464), il F. continuò ad essere aiutato da Piero, che, seguendo l'esempio paterno, gli donò molti codici greci e latini e lo spinse a pubblicare alcune traduzioni di Platone. Profondamente animato dall'ideale di conciliare il cristianesimo col paganesimo, anche per desiderio di Lorenzo, si decise in età matura a farsi prete (1473), affinché ex pagano Christi miles factus, potesse più agevolmente dedicarsi al compito che si era prefisso di raggiungere. Difatti negli anni che seguirono al 1474 la sua attività letteraria si fa più intensa, ma la sua vita, dopo la Congiura dei Pazzi (1479), non trascorse più serena come prima. Egli si lasciò trasportare dalla passione politica, tanto da giudicare il Savonarola, da lui ritenuto poco prima un santo, come un anticristo. Morì nella sua villa di Careggi il 1 ottobre 1499.
Dalla cattedra dello Studio fiorentino, in chiesa e nelle conversazioni, il F. commentava Platone e i neoplatonici, fra cui specialmente Plotino, Porfirio e lo pseudo-Dionigi Areopagita con l'intento palese di apportare nuovi materiali all'apologetica cattolica. Ma fu nella massima opera, la Theologia platonica, che egli cercò di svolgere il suo concetto fondamentale dell'identità perfetta della filosofia con la religione. Il problema dell'infinito e del finito fu per lui, come per il Cusano, il problema principale della religione e quindi della filosofia. Perciò egli notava che l'uomo non differisce dalle bestie se non per la religione, la quale gli è così naturale come il nitrito ai cavalli e il latrato ai cani (Theol. plat., in Opera, Basilea 1561, XIV, p. 230). Ma la religione è lo stesso infinito che è in noi (ivi, p. 317). Questo concetto importa la divinizzazione dell'uomo, ma nel senso che non è Dio che deifica l'uomo, bensì è l'uomo che si deifica. Di qui la rappresentazine dell'anima razionale come l'unità d'infinito e di finito, di eterno e di temporale. "Le cose che sono sopra l'anima razionale sono solamente eterne: quelle che sono sotto lei sono solamente temporali; e l'anima razionale è parte eterna, parte temporale. Quest'anima imita Iddio con l'unità, gli Angeli con l'intelletto, la specie propria con la ragione, gli animali bruti col senso, le piante col nutrimento, le cose che mancano di vita con l'essere. È adunque l'anima dell'uomo in un certo modo tutte le cose" (De christ. relig., c. XVI). Donde deriva quell'altro concetto ardito che Dio non per altro fine diventò uomo, se non perché l'uomo "qualche volta in qualche modo diventasse Dio". Su questo concetto si fonda il principio della dignità umana, che è svolto dal F. in una forma rigorosamente filosofica. Difatti per lui la conoscenza di noi stessi importa la conoscenza del divino che è in noi (Epist., I, p. 659). Per questa autocoscienza noi non solo intendiamo noi stessi, ma anche le altre cose e Dio stesso (ivi, VIII, p. 885). Così la storia dell'uomo diventa la storia della razionalità, e quindi a mano a mano che si dispiega la ragione si trionfa della fortuna che è cieca e irrazionale (Ubi sapientiae plurimum, minima opus est sorte, Epist., III, p. 748). Ma se l'uomo è il compendio di tutto l'universo, è naturale che egli cerchi di diventare tutto e di comprendere ed esperimentare in sé tutte le vite (Theol. plat., XIV, c. 3, pp. 309-310) e se cupit, conatur, incipit Deus fieri proficitque quotidie, egli è fondamentalmente progresso infinito. Così l'infinita esperienza umana importa il moderno concetto della storia (Epist., I, 658) che è libertà. Perché l'uomo, secondo il F., è insofferente di ogni servaggio, e se egli è costretto a servire odia il padrone, perché noi tendiamo in qualunque caso a essere superiori e crediamo che sia contro la dignità naturale dell'uomo l'essere superati, anche nelle minime cose, dagli altri (Th. pl., XIV, p. 311). Questo concetto della libertà assoluta dell'uomo conduce il F. non solo all'esaltazione della civiltà sempre progrediente, ma anche alla divinizzazione umana.
Egli parla di tre guide della nostra vita: la ragione, l'esperienza e l'autorità, ma, in conclusione, l'unica guida, a cui si riducono le altre due, è l'esperienza. Ma l'amore si celebra in grado eminente nella scienza divina che è la filosofia. Perché solo il filosofo possiede una mente divina, alla quale si può pervenire attraverso varî gradi, fra cui quelli rappresentati dalle virtù civili. In questo processo si rivela la creatività umana, che, come il F. dimostra nella sua Theologia platonica, consiste nel fatto che la mente dell'uomo quando attinge qualche vero, non vede, ma fa il vero, come Dio stesso, e allora la mente che possiede l'idea diviene la stessa verità di quella cosa che per una siffatta idea è stata creata. Anzi, la mente umana è così facitrice della verità, che si può dire che la divina ragione si tocca tactu quodam mentis substantiali potius quam imaginato (Th. plat., XII, pp. 268-69). Donde il carattere della religione che è propria del F., il quale scorgendo il divino in tutte le cose, ma specialmente nell'uomo, considera la varietà delle religioni come un ornamento mirabile dell'universo. La varietà nell'unica religione è necessaria: ciò che importa è che Dio sia onorato, anche se in modi diversi. Il concetto di una religione naturale è accolto anche dal F., e per esso le idee cristiane della grazia, della mediazione, del peccato originale sono presentate sotto una luce profondamente diversa da quella tradizionale. Ma è soprattutto la teodicea ficiniana che presenta una fisionomia nuova. In Dio sono le forme sostanziali, che costituiscono gli esemplari e le cause di tutte le cose, ma Dio, che è paragonato al sole, intendendo e volendo sé stesso sa e crea tutte le cose (Th. plat., XI, p. 250). Di qui il panpsichismo ficiniano, che si riduce a una specie di panteismo, il quale è visibile specialmente nella cosmogonia che egli tratteggia. In essa Dio rappresenta la massima realtà come unità immobile, bontà, bellezza e giustizia assoluta; da Dio emanano gli angeli, moltitudine immobile, puri intelletti; dagli angeli l'anima razionale, moltitudine mobile, forma pura, immortale; dall'anima razione si scende alla qualità dei corpi e infine alla materia.
L'anima è chiamata la tertia essentia, che rappresenta la medietà fra ciò che è terreno e ciò che è ultra-terreno. Essa ha tre gradi: l'anima del mondo, le dodici anime degli elementi e delle sfere, e le anime degli esseri tutti. Questa raffigurazione è il risultato di elementi attinti a Plotino e Proclo, ma lo spirito che vi alita è dato dal principio di circolarità, che riesce, attraverso contraddizioni e oscillazioni, a porre non solo l'autonomia della natura, ma anche la dialettica moderna. Difatti la bellezza rappresenta il termine medio fra la bontà e la giustizia: essa come idea divina ha procreato l'Amore, cioè l'Amore di sé. E per l'Amore Dio rapisce a sé il mondo e il mondo è rapito da Lui: donde la continua attrazione che è fra Dio e il mondo, che da Dio comincia e nel mondo trapassa, e finalmente termina in Dio. Così il principio dell'universalità dell'Amore come lo stesso divino che si attua nella realtà circola in tutto il pensiero del F. e conferisce una fisionomia soggettivistica alla religione, alla morale, alla politica, all'educazione e all'estetica.
L'edizione migliore delle opere del F. è sempre quella di Basilea (1561), ristampe, ivi 1567, 1576 e Parigi 1641. Per la cronologia di esse cfr. G. Saitta, La filosofia di Marsilio Ficino, Messina 1923, pp. 17-34. Da notare la Monarchia di Dante Alighieri, tradotta da M. F. e pubblicata a Livorno, 1844, ma che ha avuto varie edizioni.
Bibl.: G. Corsi, Commentarius de platonicae philosophiae post renatas litteras apud Italos instauratione, sive Marsilii Ficini vita, ecc., Pisa 1881; F. Valori, Sommario della vita di M. F., in Termini di mezzo rilievo, ecc., Firenze 1604, pp. 28-32; J. G. Schelhorn, De vita, moribus et scriptis Marsilii Ficini commentatio, in Amoenitates litterariae dello stesso, I, Francoforte e Lipsia 1730, pp. 18-118; L. Galeotti, Saggio intorno alla vita ed agli scritti di M. F., in Arch. stor. ital., IX, pp. 25-91 e X, pp. 3-55 (1859); A. Della Torre, Storia dell'Accademia platonica di Firenze, Firenze 1902; E. Galli, La morale nelle lettere di M. F., Pavia 1897; id., Lo stato, la famiglia, l'educazione secondo le teorie di M. F., Pavia 1899; M. Meier, Gott und Geist bei Marsiglio Ficino, in Beiträge z. Gesch. d. Renaissance u. Refor., Freising 1917; I. Pusino, Religiozno-filos. vozzrenija M. Ficino (Idee religioso-filosofiche di M. F.), in Istor. Izvestija Mosk. Univ., 1917; G. Saitta, La filosofia di M. F., Messina 1923; I. Pusino, Ficinos und Picos religiös-philosophische Anschauungen, in Zeitschrift für Kirchengesch., XLIV, Gotha 1926; E. Panofsky e F. Saxl, Dürers "Melencolia I", Lipsia 1923, p. 49 segg.; G. Saitta, L'educazione dell'umanesimo in Italia, Venezia 1928, pp. 235-251; E. Cassirer, Individuum u. Kosmos in d. Philos. d. Renaiss., Lipsia 1928, pp. 49-55.