ABBA, Marta
Nacque a Milano il 25 giugno 1900 da Pompeo, commerciante, e da Giuseppina Trabucchi.
Nata col secolo, all’età di quattordici anni Abba si presentò all’Accademia dei Filodrammatici di Milano, ma, troppo giovane per esservi ammessa, dovette attendere un anno prima di potervi accedere (con uno strappo al regolamento che prevedeva l’età minima di sedici anni per l’iscrizione). La frequentò per tre anni, sotto la guida di Ofelia Mazzoni e di Enrico Reinach, diplomandosi a pieni voti e ottenendo il premio Castiglioni. Dopo le iniziali esibizioni in compagnie filodrammatiche, l’influente drammaturgo Sabatino Lopez seppe vincere le resistenze della famiglia e la scritturò al Teatro del Popolo di Milano, da lui presieduto, dove nel 1923 esordì con la compagnia diretta da Ettore Paladini, a fianco della celebre attrice Esperia Sperani. Ai suoi primi passi nel teatro professionale Abba si misurò con un repertorio eclettico, che andava dai drammi di Roberto Bracco, tipici di un teatro di transizione, sospeso tra verismo e psicologismo, al 'milanese' di Carlo Bertolazzi, al teatro di Dario Niccodemi, dai modi boulevardiers, sino alle brillanti commedie francesi d’importazione, tanto gradite al pubblico del tempo. Nel 1924 entrò a far parte della compagnia di Virgilio Talli, capocomico annoverato tra gli antesignani del teatro di regia in Italia, per le sue capacità nella concertazione degli attori e la cura della messinscena. Al Teatro Manzoni, dove la compagnia si esibiva nel Gabbiano di Anton Čechov, Abba, nei panni di Nina, si fece notare da Marco Praga, che, pur non apprezzando il lavoro del drammaturgo russo, la elogiò come rivelazione della serata: «C’è una tempra di attrice in questa giovane e, aggiungo, di primattrice. La sua bella figura scenica, la sua maschera, la sua voce ch’è di timbro dolcissimo e insieme delle più calde, l’intelligenza di cui ha dato prova in questa parte protagonistica del dramma cecofiano, la sua sicurezza e la sua disinvoltura, la dimostrano nata per la scena, e subitamente matura per affrontare il gran ruolo» (cfr. M. Praga, Cronache teatrali 1924, Milano 1925, p. 103).
Primo ad accogliere la segnalazione fu Luigi Pirandello, nella sua nuova veste di capocomico, impegnato a dar vita al Teatro d’Arte di Roma, presso palazzo Odescalchi. Inviato a Milano il suo assistente, Guido Salvini, e malgrado le richieste economiche esorbitanti per una giovane attrice, l'accordo venne concluso e Abba fu scritturata come prima attrice con una paga di 170 lire giornaliere (Lamberto Picasso, primo attore della compagnia, ne prendeva 160).
Il debutto al Teatro d’Arte di Roma ebbe luogo il 22 aprile 1925 con una novità di Massimo Bontempelli, Nostra Dea, «commedia moderna» in 4 atti che ha per protagonista una donna affascinante e volubile, la cui singolare particolarità consiste nel mutare personalità a seconda del vestito che indossa. Il personaggio consentì all’attrice di dare prova della versatilità del suo talento, forgiato dal variegato repertorio interpretato al tempo del suo apprendistato milanese, dando vita, nell’arco breve dello spettacolo, a una galleria di caratteri ad ampio spettro, dal comico al perfido: «[…] abbiamo volta a volta conosciuto» – scrisse Silvio d’Amico, il più autorevole critico della capitale – «una Abba monella, passiva, dolce, sognante, perfida, compunta, implorante, e via dicendo. Saggi, data la natura della farsa, di carattere esteriore, ma, se non tutti originali, tutti eccellenti; e che ci fanno sperare con tanta più fiducia nella rivelazione dello spirito di questa nostra attrice nuova» (S. d’Amico, Cronache 1914/1955, a cura di A. d’Amico - L. Vito, introd. di G. Pedullà, Palermo 2002, p. 502).
Nostra Dea, totalizzando 17 recite, fu lo spettacolo più replicato al Teatro d’Arte, unico testo non pirandelliano a restare in seguito sempre in cartellone durante i tre anni di vita della Compagnia. Secondo Federico Vittore Nardelli, autore dell’unica biografia pirandelliana scritta quando lo scrittore era ancora in vita: «Ecco, per Pirandello, è la vita. Se la statua si muove, e si muove con un corpo di donna, come vuoi tu che la tenerezza non vinca l’artista, che non lo prenda alla gola, che non lo commuova fino al delirio? È la vita, per lui. Sono i suoi giorni che si riempiono di voci, di sguardi, di passi, di risa, di lacrime. È la vita. Ecco, questo fu, per Pirandello, Marta Abba: la vita» (F.V. Nardelli, L’Uomo segreto. Vita e croci di Luigi Pirandello, Milano 19442, p. 277).
L’arrivo di Marta Abba turbò l’armonia al Teatro d’Arte. Mentre andava crescendo l’ascendente esercitato dalla giovane attrice sul maestro, aumentava il malumore di colleghi e collaboratori: «In breve» – ricorda Virgilio Marchi, scenografo di Pirandello – «l’Abba divenne il centro di attrazione della Compagnia, l’istinto potente, la curiosità della nuova interprete, le attenzioni rivoltele dal Maestro, vincevano sulla intelligenza generale dei compagni d’arte, dominando anche su quella acuta e colta di quell’attore scaltro e profondo che risponde al nome di Picasso. […] La creatura suggestiva incarnante la vita dei personaggi allontanava sensibilmente il Maestro dalla nostra confidenza» (A. d’Amico - A. Tinterri, Pirandello capocomico, Palermo 1987, pp. 413 s.).
Arrivata quando il repertorio era per buona parte già impostato, dopo il trionfale debutto e il ruolo di protagonista in una discussa novità di autore italiano, Paulette di Eugenio Giovannetti, nella breve stagione romana presso il Teatro Odescalchi (2 aprile - 3 giugno 1925) Abba dovette attendere il 18 maggio, data della prima dei Sei personaggi in cerca d’autore, affinché si compisse quell’incontro con la drammaturgia pirandelliana che ne avrebbe condizionato la carriera artistica e l’intera esistenza. Nei panni della Figliastra l’attrice venne elogiata dalla critica per la sua maturazione artistica, caratterizzata da un’appassionata adesione al personaggio. Si annunciava così la sua trasformazione in interprete pirandelliana, seguace convinta degli insegnamenti del Maestro, zelante al punto di affiggere sulla porta del camerino, anziché il suo nome di attrice, il nome del personaggio di turno, al fine di sottolineare il suo totale annullamento nella parte.
Nella tournée che seguì, a Londra e Parigi, Abba ebbe subito modo di incrementare la sua galleria di interpretazioni pirandelliane, esibendosi come Ersilia Drei in Vestire gli ignudi, Signora Frola in Così è (se vi pare) e Agata Renni in Il piacere dell’onestà. Nella stagione 1926-27 fu raggiunta dalla sorella minore Celestina (Milano, 25 maggio 1923 - 1° gennaio 1992), scritturata nella compagnia di Pirandello, nella quale figurò dapprima con lo pseudonimo di Tiziana Maloberti e poi con diversi nomi d’arte (Cele, Tina).
Da allora in poi, con la comparsa sempre più frequente della drammaturgia pirandelliana nel repertorio della Compagnia del Teatro d’Arte, anche la progressiva affermazione della Abba come interprete pirandelliana tout court subì una decisa accelerazione, sino a farla assurgere a musa ispiratrice di una parte significativa della produzione drammatica di Pirandello. Da Diana e la Tuda (1927) a L’amica delle mogli (1927), sino a La nuova colonia (1928) è un fatto che durante il triennio di vita della Compagnia da lui diretta (1925-28) le nuove produzioni drammaturgiche di Pirandello, tutte declinate al femminile, hanno il volto di Marta Abba.
Con Diana e la Tuda Abba per la prima volta si trovò a incarnare un personaggio pirandelliano scritto appositamente per lei (sino a riprodurne le sembianze, liricamente esaltate nella prima edizione Bemporad del 1927: «È giovanissima e di meravigliosa bellezza. Capelli fulvi, ricciuti, pettinati alla greca. Occhi verdi, lunghi, grandi e lucenti, che ora, nlla passione, s'intorbidano come acqua di lago; ora, nella serenità, si fermano a guardare limpidi e dolci come un'alba lunare; ora, nella tristezza, hanno l'opacità dolente della turchese», L. Pirandello, Maschere nude, III, a cura di A. d’Amico, con la collab. di A. Tinterri, Milano 2007, pp. 593 e 960), riscuotendo un successo di stima, da condividere con l’autore. Le cose andarono meglio con L’amica delle mogli, la cui protagonista ideata ancora una volta a somiglianza della Abba, a partire dal nome di Marta Tolosani, è descritta da Pirandello come «bellissima: fulva; occhi di mare, liquidi, pieni di luce». Il sentimento crebbe a tal punto che, nel 1926, in un testamento olografo, Pirandello la nominò erede per un sesto, oltre a lasciarle i diritti delle opere scritte dopo il loro incontro (all'indomani della scomparsa dello scrittore, ne sortì un contenzioso con i familiari, che si concluse nel 1962 con una sentenza della Corte di Cassazione che, in data 21 febbraio 1969, riconosceva agli Eredi Pirandello il diritto di includere negli Opera omnia dello scrittore i testi teatrali di proprietà di Marta Abba: Il Foro italiano, dicembre 1969, vol. XCII, coll. 3265-78).
L’esperienza della Compagnia di Pirandello si concluse il 15 agosto 1928 a Viareggio, ma, di fatto, si era già chiusa qualche mese prima, con la rappresentazione in prima assoluta al Teatro Argentina di Roma, il 24 marzo, di La nuova colonia, novità che inaugurava la trilogia dei «miti» pirandelliani, in cui la protagonista, La Spera, prostituta redenta dalla maternità, nel finale, rimasta sola su uno scoglio con la creatura tra le braccia, sopravvive al maremoto che travolge l’isola. L’interpretazione della Abba fornì il destro a un critico attento e sensibile come Alberto Cecchi per una critica insolitamente circostanziata, che tracciava un bilancio, severo, rammaricato, dei tre anni trascorsi dall’attrice nella Compagnia: «quest’attrice della quale, tutti, al suo apparire, abbiamo cantato le lodi, s’è arrestata al suo primo personaggio, quello di Nostra Dea di Massimo Bontempelli, da lei interpretato tre anni or sono, al teatro Odescalchi. Le qualità di prim’ordine che senza dubbio essa possedeva vanno annegandosi in una maniera oramai meccanica, per la quale, l’Abba dice le sue parti con una voce precipitosa, mangiandosi le parole, riuscendo inintellegibile la più parte del tempo, e cantando secondo una di quelle cadenze che in arte sono conosciute sotto il nome di birignao. L’agilità fisica di cui fa mostra continuamente si risolve in una sorta di danza ostinata e irragionevole, che eccita a vuoto i nervi degli spettatori. È veramente triste assistere a uno spettacolo come quello della decadenza di un’attrice nella quale grandissime speranze erano state messe e che, appunto su queste speranze firmate in bianco, ognuno ha continuato ad ammirare di proposito. D’altra parte è oramai impossibile continuare a tener gli occhi chiusi e, se c’è qualche cosa da salvare, l’unico modo è forse quello di parlarne brutalmente, come con nostro dolore facciamo. Sta di fatto che sabato sera, nella parte della Spera, che è bellissima, umanissima e poeticissima, un’attrice di qualità avrebbe trovato quel tanto che bastava a fare addirittura trionfare il lavoro, invece di condurlo disastrosamente ai contrasti finali» (v. A. d’Amico - A. Tinterri, Pirandello capocomico, cit., pp. 279 s.).
Sciolta la Compagnia, Pirandello si ritirò in una sorta di volontario esilio a Berlino, nella speranza che la florida cinematografia tedesca potesse aprirgli nuove fruttuose prospettive. Abba lo raggiunse e si trattenne nella capitale tedesca sino al marzo 1929, quando, resasi conto che i progetti cinematografici del maestro non avevano alcuna concreta possibilità di realizzarsi, preferì fare ritorno in Italia. A capo di una propria compagnia, consacrata sulle prime a un repertorio unicamente pirandelliano, il 7 dicembre 1929 al Teatro di Torino, mise in scena per la prima volta in Italia Lazzaro, secondo «mito» pirandelliano, che accontentò il pubblico, ma scontentò la critica. Il 18 febbraio 1930 al Filodrammatici di Milano diede vita a un’altra novità pirandelliana, Come tu mi vuoi, in cui nuovamente interpretava un personaggio creato per lei, l’Ignota, che fece esclamare ad Alberto Cecchi: «Che strana attrice! Due anni fa era in piena decadenza, sopra una strada che ci sembrava dovesse condurla senza scampo al disastro. Ieri sera, così sola, autodidatta, senza capocomico, senza una compagnia che la tenga su, ma soltanto a furia di nervi, di intelligenza, di slancio, di passione, ci è parsa una delle più grandi attrici che abbiamo» (cfr. L. Pirandello, Maschere nude, IV, a cura di A. d’Amico, con la collab. di A. Tinterri, Milano 2007, p. 407). L’anno successivo Abba variò, tuttavia, il repertorio sino a introdurvi una trasposizione scenica del romanzo di Lev Tolstoj Anna Karenina. A partire dal 1931 la sua attività si fece più discontinua e, dopo un lungo periodo di riposo, recitò con successo a Parigi in francese L’uomo, la bestia e la virtù. Rientrata in Italia, si esibì nella goldoniana Vedova scaltra, per poi tenere a battesimo al Teatro dei Fiorentini di Napoli, il 4 novembre 1932, Trovarsi, ritratto pirandelliano dei tormenti di un’attrice, che rischia di smarrirsi oltre il labile confine tra realtà e finzione. Successo di stima per l’autore, ma consacrazione piena e calorosa per l’attrice, accolta a ogni tappa della tournée, da Roma a Torino, da calorosi consensi.
Nel 1933 Abba sembrò aver trovato una sede stabile per la sua compagnia presso il teatro del Casino Municipale di San Remo, dove il 7 novembre di quell’anno ebbe luogo la prima rappresentazione italiana del pirandelliano Quando si è qualcuno. Il richiamo alla vita per il vecchio poeta, che vuole sfuggire alla fama per trovare nell’amore una seconda giovinezza, ha nome Veroccia e, anche questa volta, il volto di Marta Abba. Tuttavia l’illusione di poter rinnovare nel teatro della città rivierasca il sogno di una compagnia dalla sede stabile non durò a lungo.
Tra il 1933 e il 1934 si consumò il suo tentativo di aprirsi una strada nel cinema: «Una lotta tenace, anche umile – tornata in Italia si sottopose a provini di voce, di trucco, di fotogenia – destinata a continue, deludenti sconfitte. A cominciare da Acciaio, diretto da Walter Ruttmann e ispirato a un soggetto firmato da Pirandello che non riuscì ad imporla contro Isa Pola. Grazie alla raccomandazione di Mussolini, sarà la protagonista femminile di un film di scarso impegno Il caso Haller, remake di un giallo tedesco» (L.F. d’Amico, L’uomo delle contraddizioni. Pirandello visto da vicino, Palermo, 2007, pp. 128 s.). Nel Caso Haller (1933), remake di Der Andere (1931) di Robert Wiene diretto da Alessandro Blasetti, Abba (nel ruolo della prostituta) recitò al fianco di Memo Benassi (Haller) e Camillo Pilotto (il capo della banda). Della sua interpretazione Filippo Sacchi, il più importante critico cinematografico di allora, scrisse «L'interesse maggiore del film è dato dalla presenza di Marta Abba, che per la prima volta si mostra sullo schermo. La sua arte personalissima e la sua maschera potente riescono ad avere ragione della falsa atmosfera del dramma, di quella débauche di maniera, di quello stiracchiato conflitto, e a dare anima e senso alla sua parte» (Corriere della sera, 14 febbraio 1934). La ritroviamo, poi, accanto a Nerio Bernardi (Federico Confalonieri), in Teresa Confalonieri (1934), pellicola risorgimentale di Guido Brignone vincitrice della coppa Mussolini alla Mostra del cinema di Venezia come migliore film italiano. Dell’interpretazione della Abba nei panni della contessa Confalonieri scrisse ancora Filippo Sacchi: «Marta Abba ha dato a questo personaggio tutti gli accenti più caldi e più belli della sua arte sagace e personalissima. È un’interpretazione completa per equilibrio, saldezza e insieme intimo fuoco, agitata commozione. Anche sotto l'aspetto cinematografico, certi suoi gesti di lenta disperazione, certi 'primi piani' irradianti trasognato fervore, sono fotogenicamente perfetti» (Corriere della sera, 27 ottobre 1934).
Nell’ottobre del 1934 fu Mila di Codro accanto a Ruggero Ruggeri, che tornò a vestire i panni di Aligi in un’edizione speciale della dannunziana Figlia di Iorio con la regia di Pirandello e le scene di Giorgio de Chirico, rappresentazione offerta alla platea internazionale convenuta a Roma per il Convegno Volta sul teatro, organizzato sotto l’egida dell’Accademia d’Italia. A luglio fu Porzia nel Mercante di Venezia diretto da Max Reinhardt (Festival di Venezia, campo San Trovaso). E nel dicembre dello stesso anno a Parigi, lei, che aveva recitato in francese L’uomo, la bestia e la virtù, fu l’unica italiana a sfilare in costume di scena insieme con tutti gli interpreti francesi, che nel tempo avevano vestito panni pirandelliani, in una serata celebrativa dedicata a Pirandello, appena insignito del premio Nobel. Pirandello, dal canto suo, le aveva sempre consigliato di studiare le lingue e, dopo qualche mese trascorso a Londra per imparare l’inglese, nell’aprile del 1936 Abba accettò l’offerta di un impresario statunitense di recitare a Broadway Tovarich, commedia di Jacques Deval (nell’adattamento di Robert E. Sherwood), la cui protagonista, un’aristocratica russa scampata alla rivoluzione e rifugiatasi a Parigi, dove per vivere è costretta a fare la cameriera, era la parte ideale per giustificare la sua imperfetta pronuncia. Ultimato un periodo di rodaggio a Brighton e nei dintorni di Londra, il 17 settembre s’imbarcò per gli Stati Uniti e, dopo alcune recite a Filadelfia e Baltimora, il 5 ottobre poté finalmente debuttare al Plymouth Theatre di Broadway. Qui venne raggiunta dalla notizia della morte di Pirandello, avvenuta il 10 dicembre di quell’anno, consumato in pochi giorni da una polmonite.
L’ultima lettera dello scrittore a lei indirizzata è datata al 4 dicembre e si concludeva così: «Se penso alla distanza, mi sento subito piombare nell’atroce mia solitudine, come in un abisso di disperazione. Ma Tu non ci pensare! Ti abbraccio forte forte con tutto, tutto il cuore. Il Tuo Maestro» (L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, a cura di B. Ortolani, Milano 1995, p. 1392). In merito al nutrito carteggio tra Pirandello e la Abba, osserva Pietro Frassica: «C’è dunque una sorta di salto funzionale fra i due epistolari, non dato dalla scontata differenza di qualità letteraria, ma proprio dalla presenza di due diversi 'discorsi', l’uno appassionato e 'inutile', l’altro piano e tutto informativo, perfettamente sordo ai disperati appelli, impliciti o espliciti, del pur venerato interlocutore» (M. Abba, Caro Maestro… Lettere a Luigi Pirandello (1926-1936), Milano 1994, p. 10).
All’atto di partire per la tournée americana la Abba affidò alla rivista quindicinale di Lucio Ridenti Il dramma una memoria autobiografica, orgogliosa e risentita, dal titolo Marta Abba. La mia vita di attrice (cfr. Il dramma, XII [1936], rispett. nn. 237, 1° luglio, pp. 2-5; 238, 15 luglio, pp. 2-5; 239, 1° agosto, pp. 2-5), che si concludeva con una denuncia delle precarie condizioni del teatro italiano e che, a posteriori, suona come un addio a un’Italia ingrata, avara di quei riconoscimenti, che le sarebbero venuti dagli Stati Uniti. Nel luglio 1937 le venne assegnato il terzo premio dell’American dramatic league e il 28 gennaio 1938 sposò a Cleveland (OH) Severance A. Millikin, nipote di un magnate dell’acciaio, ritirandosi, di fatto, dalle scene. Dopo il divorzio, avvenuto nel 1952, e il conseguente ritorno in Italia, Abba formò con l’attore Piero Carnabuci una compagnia di breve durata, fece ancora qualche sporadica riapparizione sul palcoscenico, per ritirarsi, infine, definitivamente e isolarsi nella sua villa nei pressi di Aulla, da lei battezzata Trovarsi. Negli ultimi anni, colpita da paresi, visse a San Pellegrino Terme. Marta Abba morì a Milano, nella clinica di Santa Rita, il 14 giugno 1988.
La voce Abba, con cui si apre l’Alfabeto pirandelliano di Leonardo Sciascia, si conclude con una sorta di epitaffio: «Creatura, personaggio, attrice di inalienabile condizione pirandelliana: come del resto tutte le vite di coloro che con la vita di Pirandello hanno avuto a che fare. Vite di vittime di cui Pirandello era vittima».
Oltre a La mia vita di attrice, e ai carteggi nelle edizioni sopra menzionate (per cui si rimanda a L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, cit., e a M. Abba, Caro Maestro… Lettere a Luigi Pirandello (1926-1936), a cura di P. Frassica, cit.), tra gli scritti di Marta Abba è da segnalare Dieci anni di teatro con Luigi Pirandello (in Il dramma, XLII [1966], n. 362-363, novembre-dicembre, pp. 45-58), primo assaggio del copioso epistolario pirandelliano che, conservato all’Università di Princeton (NJ) e pubblicato pressoché integralmente nell’edizione delle opere apparsa nei Meridiani Mondadori, permette di comprendere meglio il complesso intreccio di motivazioni psicologiche e artistiche che legarono Pirandello e la Abba.
Tra le voci a lei dedicate in enciclopedie e dizionari biografici si segnalano quelle contenute in pubblicazioni coeve quali Enc. biografica e bibliogr. «Italiana»; N. Leonelli, Attori tragici attori comici, Milano 1940, I, pp. 14-18; M. Corsi, Chi è di scena?, Milano 1946, pp. 25-30 (dal titolo significativo: Un’esule: M. A.); tuttora valido il lemma presente nell’Enciclopedia dello Spettacolo, I, Roma 1954, coll. 4-6 (A. Fiocco); analitica ed estesa la voce redatta da K.L. Angioletti per l’Archivio multimediale attori italiani (A.M.At.I.), progetto di banca dati teatrali dell’Università di Firenze (http.//www.fupress.com); breve, come la sua carriera cinematografica, ma circostanziata, la voce a lei dedicata nel Filmlexicon, Roma 1958, ad vocem (E.G. Laura). Vedi, infine, M. A. (1900-1988), in Italiane, II, Dalla prima guerra mondiale al secondo dopoguerra, a cura di E. Roccella - L. Scaraffia, Roma 2004, pp. 3-6 (F. Merlo).
Della vasta bibliografia pirandelliana, all’interno della quale A. occupa un posto di rilievo, ci limitiamo a selezionare la biografia di F.V. Nardelli cit. (Milano 1932, 19442), pubblicata quando lo scrittore era ancora in vita, e il ponderoso Pirandello di G. Giudice (Torino 1975), apparso nella prestigiosa collana La vita sociale della nuova Italia. Limitatamente al triennio 1925-28, centrale nel rapporto tra Pirandello e Abba, si rinvia a A. d’Amico - A. Tinterri, Pirandello capocomico, cit.; della Abba parla diffusamente Luigi Filippo d’Amico, regista cinematografico e marito di Lietta (figlia di Lietta Pirandello e Manuel Aguirre), nel suo L’uomo delle contraddizioni. Pirandello visto da vicino, Palermo 2007. Infine, è d’obbligo il rinvio alle informate Notizie, contenute nel terzo e quarto volume di Luigi Pirandello, Maschere nude, a cura di A. d’Amico, con la collaborazione di A Tinterri, Milano 2004 e 2007.