MARTE (Mars)
Dio indigeno molto venerato dai popoli italici principalmente come protettore di tutte le attività guerresche. Presenta caratteri più complessi rispetto ad Ares (v.), a cui viene assimilato; viene associato anche a Venere (cfr. Lectisternium del 217, Liv., xxii, 1, 8 ss.), insieme alla quale fu considerato progenitore della famiglia Giulia. Sposò, secondo una tradizione, Nerrio, divinità bellicosa, prefigurazione di Bellona.
Il nome Mars pare derivare foneticamente dalla forma più antica Mavors (C.I.L., i, 808), ma l'etimologia e la radice non sono chiare. Le ipotesi avanzate si basano per lo più sulla funzione del dio: così Varrone (De lin. Lat., v, 74) che associa M., in quanto dio della guerra, alla radice mar (virile). Meno frequenti sono il termine osco-sabino Mamers, ricollegabile all'etnico Mamertini (Varr., De lin. Lat., v, 73) e le forme documentate nel Carmen fratrum Arvalium, Marmar e Marmor (C.I.L., i, 28).
Nelle raffigurazioni è documentato solo come dio della guerra, con caratteri sovrumani, ma dotato delle armi del primitivo esercito romano (v. battaglia di Thurium del 282 a. C., Val. Max., i, 8, 6). Questo aspetto prevale in Roma, dove fu uno dei dodici grandi dèi e fu considerato progenitore della stirpe romana. Alla nascita di Romolo e Remo è associata pure la lupa, animale a lui sacro. Soltanto dalle fonti, che ricordano le antiche cerimonie sacre, è noto il primitivo carattere agreste del dio, anche se non è suo compito portare l'abbondanza, ma quello apotropaico di scacciare ogni male dai campi. Avrebbe fatto parte di un'antica triade, assieme a Iupiter e a Quirinus, i quali tuttavia ebbero sempre un culto distinto con un proprio flamen. Tale triade e quella dei flamines sono state messe in rapporto con l'ipotetica tripartizione sociale delle tribù di Roma antica, che hanno invece un valore gentilizio o topografico.
Nell'ambiente etrusco-italico il suo culto era molto diffuso: in molte città un mese prendeva nome da M. e spesso era presente il sacerdozio dei Salii. Si tratta principalmente di divinità armate, protettrici della guerra, fuse poi, sotto il modello di Ares, in una figura unica, che nella pars familiaris del fegato di Piacenza è documentata come Mar, Marisl, Mari, mentre sugli specchi il dio della guerra talora si chiama Laran e appare pure come amante di Turan. I templi dedicati a M. in Etruria venivano edificati solo fuori le mura delle città, secondo la testimonianza di Vitruvio (i, vii, i), che adotta una suddivisione topografica degli dèi sulla base delle loro funzioni (v. anche maris).
M. era venerato in modo particolare nell'Umbria, anche con l'appellativo di Grabovius (cfr. Tabulae Iguvinae) e appunto in tale regione si è sviluppata la figura del dio gradiente con l'elmo dall'alto lophos, con la mano destra sollevata all'altezza dell'occhio per scagliare la lancia, e lo scudo nel braccio sinistro. Tale tipo risale allo Zeus folgoratore greco, pur nel mutare degli attributi, e risente, ovviamente, dell'influenza artistica etrusca. Alla prima metà del VI sec. a. C. va datato, infatti, un bronzetto di Bologna rappresentante un guerriero (probabilmente M. stesso), in posizione frontale, ma con un ritmico bilanciamento del corpo. Lo schema del gradiente, talora reso con una tendenza alla stilizzazione longilinea e con un gusto vivacemente popolaresco, trova una numerosa esemplificazione nelle statuette umbre, sia nella tipologia del M. nudo e idealizzato, ma sempre con elmo, lancia e scudo, che si può far iniziare col bronzetto arcaico da Ancarano di Norcia, sia nella tipologia più frequente di M. rivestito di corazza e di gambiere (cnemidi). In questa produzione si mette in risalto non tanto la finezza artistica o la ricerca di un armonico rispondersi delle varie parti, quanto il carattere essenziale del dio, cioè l'incedere a grandi passi e l'atto del vibrare la lancia. Un maggiore impegno stilistico è visibile nel bronzetto di Villa Giulia e in quello di Firenze della metà del V sec., in cui si nota una descrizione attenta dei particolari dell'armatura con preziosi effetti calligrafici e una disposizione degli arti, perfettamente rispondentisi, avvalorata dall'obliquità dello scudo.
Da una officina umbra è uscito anche il M. di Todi, la cui iscrizione dedicatoria è in lingua umbra. Nella statua bronzea sono evidenti influenze greche, non perfettamente fuse, nel classicismo del volto e nella ponderazione del corpo, che determinano così una certa disarmonia nell'impianto generale dell'opera, databile alla prima metà del V sec. a. C. Il dio, che aveva sul capo un elmo, indossa una corazza a lamelle dalle dettagliate notazioni; impugnava una lancia con la sinistra ripiegata mentre il braccio destro proteso reggeva una patera o un picchio, animale a lui sacro, del cui valore totemico si è discusso (cfr. Pauly-Wissowa, s. v. Picus). Associato a Minerva appare in una scena di significato incerto, ricollegabile, pare, con il bagno di immortalità e di invulnerabilità, su una cista bronzea prenestina: M. nudo, ma con elmo, scudo e lancia, è tenuto dalla dea sopra un grosso pìthos, da cui escono fiamme.
Anche nell'antica Roma i templi di M. sarebbero stati fuori del pomerio; esisteva tuttavia, secondo le fonti, un sacrarium Saliorum o sacrarium Martis sul Palatino, che forse è da considerare come la sede delle riunioni dei Salii. I dodici ancilia di M., caduti dal cielo o recati dal picus, erano conservati sul Palatino; oppure, secondo un'altra ipotesi, erano custoditi assieme alle hastae Martis nella Regia, in cui esisteva una cappella dedicata a Marte. Un suo sacello fu fondato da Tazio sul Campidoglio presso il santuario di Giove Feretrio. Nel Campo Marzio, cioè fuori del pomerio, M. fu venerato in due sedi distinte: come dio agricolo con i riti delle Equirria e dell'October equus in un tempio o ναός, situato probabilmente presso S. Carlo al Corso, e come dio militare presso l'Ara Martis, centro del lustrum (v. rilievo di Domizio Enobarbo), che è da collocare nella parte meridionale del Campo.
Oltre al tempio apud Circum con la statua di Skopas (v. ares) a M. fu dedicato nel 388 a. C. un tempio sulla via Appia fuori Porta Capena, la cui statua di culto raffigurava il dio fra lupi. Riferibile a questo edificio sacro è forse il frontone fittile del Museo dei Conservatori della fine del II sec., riproducente una scena sacrificale (suovetaurilia). M. occupa il centro del frontone, sottolineando anche otticamente la sua natura divina; indossa una corazza ornata di frange; aveva nella destra protesa una patera e con la sinistra si appoggiava allo scudo, secondo uno schema che sarà tipico del M. Ultore.
Augusto eresse a M. un piccolo tempio a pianta circolare con pronao tetrastilo o esastilo, noto solo da monete, per custodirvi le insegue riprese ai Parthi nel 20 a. C., per poi dedicargli nel 2 a. C. il tempio del suo Foro. L'edificio costruito pro ultione paterna è raffigurato su un rilievo di Villa Albani, che si è attribuito all'Ara Pietatis Augustae (44 d. C.): era periptero per tre lati con otto colonne corinzie su di un podio rivestito di marmo bianco. Nel centro del frontone era un gruppo di tre figure stanti: Venere, Fortuna e M., che non riproduce però la statua di culto del tempio; il dio, che regge con la destra una lancia e con il braccio sinistro ripiegato una spada e ha in capo un elmo attico, ripete nello schema della gamba destra in appoggio e della sinistra retratta e piegata al ginocchio e nel suo presentarsi semiammantato, la tipologia del principe ellenistico, dell'Alessandro di Lisippo e del Posidone di Milo.
Ad un tipo di stratega risalente ad un originale statuario (v. la testa di Archia delle monete siracusane), si riallaccia la testa galeata di M. barbato sul dritto della monetazione romano-campana coniata dalla zecca di Napoli dal 320 a. C. Nel rovescio appare la protome di un animale strettamente legato a M., il cavallo, che è raffigurato pure nella serie successiva (280-270 a. C.), in cui la testa del dio diviene giovanile e imberbe, con una trasformazione dovuta in parte a esigenze stilistiche.
Documentata da monete dei triumviri, coniate verso il 38 a. C. e pertanto precedenti il tempio di M. Ultore, è la immagine di M. imberbe, nudo, ma con elmo, la gamba destra in appoggio e la mano destra alzata a reggere la lancia. Come prototipo è stato usato qualche originale greco del IV sec. (l'Alessandro lisippeo e l'Ares nudo con elmo), modificato con l'aggiunta di un manto dietro le spalle. Il tipo è molto diffuso: formava un acroterio del frontone del tempio capitolino di Roma nella ricostruzione domizianea; orna insieme figura di Venere la fronte dell'Ara di Ostia (124 d. C.) che esalta un mito italico avvolgendolo di forme greche. Frequenti sono pure le statuette bronzee diffuse nel bacino del Reno dai soldati romani, anche in redazioni provinciali, quale quella di una collezione privata di Berlino, dal viso patetico sotto un elmo corinzio e dal corpo snello (seconda metà del II sec. d. C.). Gli esemplari migliori di questa serie sono quelli del Louvre, uno da Reims e un altro da Coligny. Quest'ultimo, dal volto vigorosamente delineato, è databile agli inizî del I sec. d. C. e proviene da un tempio dedicato a M. Augusto; è interpretabile sicuramente come M., in quanto il calendario solare inciso su tavole enee attorno allo zoccolo, allude ad un aspetto del M. celtico. Talora con la sinistra reggeva una spada ad esempio nel bronzetto di Spira e nella statua marmorea di Klagenfurt -, mentre nell'esemplare di Kassel la destra fa il gesto dell'allocutio. Lo stesso tipo appare anche nella scena di lustratio della base dei Decennalia del Foro Romano, sul colossale sarcofago dell'imperatore Balbino e viene usato nella statua iconica di Adriano (v.) del Museo Capitolino. Di derivazione greca sono pure alcune teste barbate ed elmate del dio (Ara Pacis, Museo Barracco, Magonza e Vienna); richiami al mondo insulare asiatico sono invece nel busto di Aquileia, con elmo e corazza, della fine del II sec. d. C.
In vivace movimento, avanzante a grandi passi è il M. Gradivus, epiteto questo usatissimo anche nella terminologia ufficiale e che si riferisce al primitivo carattere agricolo del dio (grandire) passando poi al significato di "incedente" (gradior, Paul., 97). Lo si trova già sul denaro di Valerio Flacco del 104 a. C. e su una gemma di Boston di età repubblicana. Loricato e con l'elmo, con spada e lancia si avvicina ad Augusto, guidando il gruppo delle province vinte su una tazza d'argento di Boscoreale; imbraccia invece uno scudo sui rilievi flavi del Palazzo della Cancelleria. Anche la statua di culto del tempio capitolino di M. Ultore si collega al M. Gradivus; come attestano le monete comate nel 20 a. C., M. è avvolto in un manto e regge un insegna sulla spalla. Esistono, d'altra parte, numerose statuette di M. con una lancia e un trofeo fra cui è quella bronzea di Delémont, dal vivace moto di danza.
Con lancia e trofeo il dio è raffigurato pure sulla base di Civita Castellana di età cesariana, dove però M., personaggio principale della scena di sacrificio, ha elmo, corazza e cnemidi ed è quasi del tutto scomparso il senso di movimento. Si avvicina cioè alla tipologia adottata per la statua del secondo tempio di M. Ultore, sede del culto di M. e di Venere (Ovid., Tr., Il, 295), i quali tuttavia non erano rappresentati in un unico gruppo statuario. Il dio era in atteggiamento di riposo, alzava la destra a reggere la lancia, mentre la sinistra si abbassava sullo scudo posato a terra. È una rielaborazione romana di motivi e schemi greci; il dio è tuttavia barbato ed ha corazza e elmo. Tale è la figura di M. che assiste idealmente alla scena di lustratio censoria del rilievo di Domizio Enobarbo (v.); carattere di statua ha invece quella del rilievo di Cartagine. La derivazione del M. Ultore è attenuata, pur rimanendo sempre evidente, sulla base di Sorrento, dove manca lo scudo, che avrebbe tolto efficacia all'arrestarsi del dio, e la lancia è sostituita da una spada, per rendere più acuto il senso di minaccia incombente (la variante è ripetuta in una statuetta di bronzo a Spira). Innumerevoli sono le derivazioni sia nella statuaria - M. del Capitolino del II sec. d. C. - sia sui rilievi e nei bronzetti, diffusi anche nelle province dai legionari. Viene pure usato come elemento decorativo delle chiavi di alcuni fornici degli archi di Costantino, di Settimio Severo e di una vòlta a Mactar (III sec. d. C.). Oltre che su gemme e su monete, dall'età di Traiano al III sec. d. C., il tipo del M. Ultore è rappresentato numerose volte fra le divinità sulle basi quadrangolari, esagonali ecc. delle colonne e degli altari nel territorio gallico. Riproducono costantemente lo schema solito, molto spesso banalmente e senza rigore di stile, introducendo lievi varianti: il dio talora manca dell'elmo o è nudo; lo scudo viene spostato verso il fondo o è collocato sopra un plinto. In alcuni casi si ha una inversione del ritmo - lancia nella sinistra e scudo sulla destra - come si verifica su monete di Caracalla; il mutamento è dovuto, secondo il Cumont, all'essere stata tracciata la figura dritta sul conio, risultando rovesciata sulle monete. Si distacca dalla serie la raffigurazione del pilastro del Museo di Cluny, databile all'età adrianea: il dio è imberbe, il volto patetico è incorniciato da lunghi capelli ondulati e da un elmo a protome leonina, il torso presenta una delineazione volumetrica.
Una figura allegorica è divenuto M. - elmo corinzio, corazza, lancia e scudo - nella scena dell'adventus di Marco Aurelio nell'arco di Costantino e anche in due scene della facciata N dell'arco di Benevento (v.), dove la spada si sostituisce alla lancia. Un atteggiamento da generale romano rivela il dio in un rilievo dell'arco di Leptis. Con elmo italico semisferico è dipinto a Pompei sia unito a Venere, sia assieme ai dodici dèi consenti, sia infine da solo.
M. appare pochissime volte in scene mitiche, soprattutto perché sono rare le saghe in cui il dio abbia un ruolo preminente; forse è identificabile nel guerriero in lotta con Diomede nel ciclo iliaco della Casa del Criptoportico di Pompei. Tuttavia è collegato con la storia di Rhea Silvia: sull'Ara Casali, infatti, accanto al ricordo dell'episodio di M. e Venere sorpresi da Vulcano, rappresentato sul lato principale con schemi postfidiaci, è raccontato l'avvicinarsi del dio a Rhea Silvia addormentata e l'esposizione dei due gemelli alla presenza di M. che regge una lancia e un trofeo (tipo del Gradivus). M., armato di scudo, lancia e corazza, si avvicina a grandi passi verso Rhea Silvia sdraiata a terra e seminuda. La composizione, che in qualche caso adotta uno schema verticale, poiché il dio scende volando dall'alto, e ricorda quelli del mito di Dioniso e Arianna è ripetuta su sarcofagi e rilievi, in dipinti di Roma (Domus Aurea) e di Pompei (Casa di Romolo e Remo), in un mosaico da Ostia del II sec. e in uno di Lixus del III sec. d. C. e su un vaso di bronzo coevo da Erp. M. talora pur conservando elmo, lancia e scudo, è ricoperto solo da un manto che gli svolazza dietro le spalle; così appunto appare nel frontone O del monumento di Igel presso Treviri. Non più addormentata, come racconta Ovidio (Fasti, III, 12 ss.), ma sempre vicina ad un ruscello, appare la vestale nel fregio dipinto del Colombario dell'Esquilino di età augustea: il dio sta per rapire Rhea Silvia che ha lasciato cadere a terra l'anfora con cui doveva attingere acqua, mentre due pastori stanno fuggendo. Lo schema muta totalmente anche su un frammento di sarcofago del Vaticano: Rhea Silvia ammantata si appoggia al braccio destro di M. che sta scendendo da un monte. Alla saga di Rhea Silvia e delle origini di Roma va riferita la scena del dipinto, scomparso, della Villa Adriana, in cui M. armato osserva i gemelli allattati dalla lupa e anche l'augurium augustum di Romolo prima di fondare Roma dei rilievo delle Terme riproducente il frontone del tempio di Quirino, dove la testa elmata di M. appare tra Iupiter e la Vittoria.
Nelle province,e soprattutto nel territorio celtico, il culto di M. fu diffuso dai soldati, che portarono nelle loro guarnigioni le iconografie già viste del dio, loro protettore. L'interpretatio romana si rivolge anche alle divinità tribali celtiche che identifica e collega al M. romano, senza tuttavia ricordarne i nomi e senza cogliere le sfumature e la complessità del pantheon gallico. Cesare stesso (De bel. Gall., vi, 17, i ss.) attribuisce al M. celtico il compito di bella gerere, mentre la documentazione offerta dai monumenti figurati ed epigrafici ne fa una divinità polivalente e poliforme, poiché l'indifferenziazione funzionale della religione celtica corrisponde e contrasta con il politeismo degli dèi specializzati di Roma. Il nome M. si aggiunge e si sovrappone a molti nomi di divinità indigene; si determina cioè la sostituzione del dio romano a quello celtico secondo uno schema onomastico studiato dal Thévenot, che non sempre è valido, poiché postulerebbe una costante identità di funzioni.
Il M. celtico non ha come carattere fondamentale quello di dio della guerra; il suo culto si estende in una regione pacificata e resiste fino al Cristianesimo. È al contrario un dio pacifico, rustico, universale, protettore delle case, delle città e delle tribù. Il suo primo aspetto è di dio celeste e solare, venerato sulle alture, con il compito talora di guardiano del tempo o dei calendari solari; il cavallo, simbolo solare, è consacrato o assimilato al dio (v. statua di equide in bronzo, ora perduta, di Nuits-Saint-Georges in Borgogna dedicata a Segomo). Divinità del cielo e della luce è uno degli elementi caratteristici del M. Latobius, venerato dai Latobici; appare infatti nei tre aspetti di giovane, donna, vecchio, corrispondenti al suo potere sulla luce e sulla oscurità, sul cielo e sulla terra, su di un blocco a forma di omphalòs da Magdalensberg. Una gemma, di ugual provenienza, raffigura un M. giovanile, nudo, con spada e clava, che conduce un cavallo allusivo ai Dioscuri e al viaggio del sole. Assume pure l'aspetto di dio delle acque, in quanto scendono dal cielo, e anche di quelle salutari, trasformandosi in guaritore. I suoi santuarî sono edificati presso sorgenti, laghi, confluenze di fiumi: santuarî del Lac d'Antre dedicati a M. Augusto e tempio di Lenus sulla Mosella, eretto in due fasi nel II sec. d. C. presso una fonte con concezioni monumentali ispirate all'architettura classica e con elementi tradizionali indigeni (galleria attorno alla cella per le processioni). Collegato con le acque salutari è il M. Latobius di St. Margareten im Lavantthal; nel tempio costruito su una altura era assieme a un modello di nave, la statua di culto della fine del II sec. d. C., rinvenuta frammentaria: riproduce la tipologia del M. nudo, con manto dietro le spalle, lancia nella sinistra e scudo, il cui emblema reca forse il gruppo del dio e di Venere. L'iconografia che allude al carattere guerresco della divinità, è documentata con maggiore evidenza dalla statua bronzea, della fine della Repubblica, da Helenenberg e si ripete in numerosi rilievi funerarî del Norico.
Di tipo romano - dell'Ultore -, ma con scudo celtico e corazza a maglia è il M. dell'altare di età tiberiana da Mavilly, associato a Minerva con un seno scoperto; il carattere di fecondità viene accentuato dalla presenza di un serpente a testa di ariete, simbolo ctonio in rapporto con le acque feconde e miracolose. Il dio ha certi caratteri proprî di Apollo, seguendo una frequente contaminazione e ibridazione di tipi, ritrovabile anche a Vignory, dove il M., associato al serpente, tiene la clava (v. pure l'altare di Digione: M. regge la borsa tipica di Mercurio). Anche le divinità femminili che accompagnano, su certi rilievi, il M. celtico, sono simboli di fecondità e di ricchezza; si scoprono infatti un seno e hanno come attributo una cornucopia.
Una fusione di concetti romani (allegoria della Vittoria) e di temi locali (serpente) è data dalla raffigurazione di M., armato di elmo, lancia e talora coricato, sostenuto da un mostro anguipede su armature da parata per cavalli, databili alla seconda metà del III sec. d. C. e facenti parte del tesoretto di Straubing. La lotta fra il mostro e il dio è testimoniata anche da un rilievo frammentario di Spira.
Monumenti considerati. - Fegato di Piacenza: A. Grenier, in Mana, iii, Parigi 1948, p. 34 ss., fig. a p. 36; Mostra dell'Etruria Padana e della città di Spina. Catalogo 1°, Bologna 1961, p. 248 s., n. 818, tav. cliv. Specchi etruschi: E. Gerhard, Etr. Spiegel, iii, p. 95, tav. xc; p. 158, tav. clxvi; iv, p. 13, tav. ccxxxiv, 2; v, tavv. 90, 381; L.. Banti, Il mondo degli Etruschi, Roma 1960, p. 123, tav. 79. Bronzetto del Museo Civico di Bologna: R. Pincelli, in Arte Antica e Moderna, iv, 1958, pp. 334-338, tavv. 119-120. Bronzetto da Ancarano di Norcia: Not. Scavi, 1878, tav. ii, i; U. Tarchi, L'arte etrusco-romana nell' Umbria e nella Sabina, Milano 1936, tav. lxxviii. Bronzetto del Museo di Villa Giulia: G. Bendinelli, in Mon. Ant. Lincei, xxvi, 1920, c. 251 ss., fig. 15, tav. ii. Statuetta bronzea del Museo Arch. di Firenze: G. Q. Giglioli, L'arte etrusca, Milano 1935, tav. 221, 2; Mostra dell'arte e della civiltà etrusca, Milano 1955, p. 83 s., n. 306, tav. lxi. M. da Todi: G. Q. Giglioli, op. cit., tavv. 250-251; Mostra di Milano cit., p. 100, n. 338, tav. lxxvii. Cista bronzea prenestina (Berlino, 6239): Monumenti inediti, Ix, tav. lviii; M. Renard, in Latomus, xiii, 1954, pp. 384-389. Sui luoghi minori di culto a Roma: S. B. Platner-Th. Ashby, A Topographical Dictionary of Ancient Rome, Oxford 1929, pp. 147, 327, 441; G. Lugli, Roma antica. Il centro monumentale, Roma 1946, pp. 8, 29, 212 s., 445. Sull'Ara Martis del Campo Marzio: F. Castagnoli, Il Campo Marzio nell'antichità, in Mem. Lincei, s. viii, vol. i, 1948, p. 93 ss.; E. Welin, Ara Martis in Campo, in Opuscula Romana, i, 1955, pp. 168-190. Tempio sulla via Appia: Platner-Ashby, op. cit., p. 327; Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes, iii, Roma 1955, p. 33 ss., nn. 57-90. Frontone fittile del Museo dei Conservatori: A. Andrén, Architectural Terracottas from Etrusco-Italic Temples, in Acta Inst. Suec., vi, 1940, p. 350 ss., fig. 34, tav. 112. A 4; I. Scott Ryberg, Rites of the State Religion in Roman Art, in Mem. Am. Acad., xxii, 1955, p. 22 s., tav. vi, fig. 14. Templi di M. Ultore: G. Lugli, op. cit., pp. 32, 266 s.; Fontes, cit., 1, Roma 1952, p. 48, nn. 1-2; H. Mattingly, Cat., i, pp. 58, 315; pp. 6o, 329; pp. 65, 366-370 (monete). Rilievo di Villa Albani: P. Hommel, Studien zu den römischen Figurengiebel der Kaiserzeit, Berlino 1954, p. 22 ss., fig. II; L. Cozza, in Boll. d'Arte, 1958, p. 107 ss., fig. 2. Monete romano-campane: L. Breglia, La prima fase della coniazione romana dell'argento, Roma 1952, p. 23 ss. Monete dei triumviri del 38 a. C.: H. A. Grueber, Coins of the Roman Republic in the British Museum, i, 1910, p. 584 s., nn. 4278-4280; iii, 1910, tavv. 57, 20-22. Rilievo con il Capitolium: S. Reinach, Rép. Rel., iii, p. 203, 2; A. M. Colini, I frontoni del tempio di Giove Capitolino, in Bull Com., 1925, p. 181 ss., fig. 1. Ara di Ostia del Museo delle Terme: J. M. C. Toynbee, The Hadrianic School, Cambridge 1934, p. 231 s., tav. lvii, i. Statuetta bronzea di Berlino (collezione privata): K. A. Neugebauer, Ueber einen gallorömischen Typus des Mars, in Bonner Jahrbücher, cxlvii, 1942, pp. 228-236, tavv. 19-21 (ivi altri esempî). Statuetta bronzea del Louvre: E. Espérandieu, Recueil géneral des Bas-reliefs, Statues et Bustes de la Gaule romaine, 7200; K. A. Neugebauer, art. cit., tav. 22. M. di Coligny: J. Buche, Le Mars de Coligny, in Mon. Piot, x, 1903, p. 61 ss., figg. 3-5, tav. ix; E. Thévenot, Sur les traces des Mars celtiques (entre Loire et Mont-Blanc), Bruges 1955, p. 6255., tav. vi, i. Statuetta bronzea del museo di Spira (B 119): H. Menzel, Die römischen Bronzen aus Deutschland. i, Speyer, Magonza 1960, p. 4, n. 6, tav. 6. Statua in marmo di Klagenfurt: R. Noll, Kunst der Römerzeit in Oesterreich, Salisburgo 1949, tav. 3. Statua di Kassel: M. Bieber, Die antihen Skulpturen und Bronzen des Königl. Museum Fridericianum in Cassel, Marburgo 1915, p. 57, n. 138, tav. 39. Base della colonna dei Decennalia nel Foro Romano: H.P. L'Orange, in Röm. Mitt., liii, 1938, p. i ss., fig. 3, tavv. 3; 5, i; I. Scott Ryberg, op. cit., p. 117 s., tav. xli, fig. 6ì b. Sarcofago del Museo di Pretestato a Roma: Arch. Anz., lii, 1937, c. 482 s., fig. i. Testa dell'Ara Pacis: G. Moretti, L'Ara Pacis Augustae, Roma 1938, tav. 27; G. M. A. Richter, Ancient Italy, 1955, p. 100, flg. 286. Testa del Museo Barracco: id., op. cit., p. 100, fig. 285. Teste di Magonza e di Vienna: E. Espérandieu, op. cit., 5734 e 6794. Medaglione con busto di M. di Aquileia: G. Fogolari, Medaglioni aquileiesi con busti di divinità, in Studi Aquileiesi offerti a G. Brusin, Aquileia 1953, p. 141 ss., fig. 3. Denaro di Valerio Flacco del 104 a. C.: E. Babelon, Monn. Rép., ii, 512, ii. Gemma di Boston: A. Furtwängler, Gemmen, tav. l, n. 22. Tazza d'argento da Boscoreale: Mon. Piot, v, 1901, tavole xxxi-xxxii; E. Strong, La scultura romana da Augusto a Costantino, i, Firenze 1923, p. 80 ss., figg. 53-54. Rilievi del Palazzo della Cancelleria: F. Magi, I rilievi flavi del Palazzo della Cancelleria, Firenze 1945, pp. 15 ss., 73 s., tavv. vi, x. Statuetta di bronzo del museo di Delémont: W. Deonna, Mars tropéophore, in Zeitschrift für Schweizerische Archäologie und Kunstgeschichte, xiv, 1953, pp. 65-67, tavv. 19-20. Base della cattedrale di Civita Castellana: R. Herbig, Römische Basis in Civita Castellana, in Röm. Mitt., xlii, 1927, p. 129 ss., tav. 17. Monete con il tipo del M. Ultore: F. Panvini Rosati, Il tipo di Marte Ultore sulla moneta romana, in Numismatica, xii, 1946, pp. 97-105; C. C. Vermeule, Roman Cult Images on Coins of the Emperor Hadrian, Mars Ultor, Virtus and Mars Victor, in Numismatic Circular, lxiii, 1955, cc. 313 e 372. Ara di Domizio Enobarbo: F. Castagnoli, in Arti Figurative, i, 1945, p. 181 ss., tavv. lxxv-lxxvi. Rilievo di Cartagine: G. E. Rizzo, La base di Augusto, in Bull. Com., lx, 1932, p. 83, fig. 16. Base di Sorrento: G. E. Rizzo, in Bull. Com., lx, 1932, p. 81 ss., tav. iv. Bronzetto di Spira (1934-21): H. Menzel, op. cit., p. 3, n. 4, tav. 5. Statua di marmo pario dei Musei Capitolini: H. S. Jones, The Sculptures of the Museo Capitolino, Oxford 1912, p. 39 s., n. 40, tav. 7. Chiave del fornice occidentale dell'Arco di Costantino: H.P. L'Orange-A. von Gerkan, Der Spätantike Bildschmuck des Konstantinsbogens, Berlino 1939, p. 149 5., tav. 37 d. Rilievi di Mactar: G. Picard, in Bulletin du Comité des Travaux Historiques et Scientifiques. Section d'Archéologie, 1946, p. vi ss. Varianti nel tipo di M. Ultore: E. Espérandieu, op. cit., 7753, 1323, 1832, 3042, 3665, 7039. A ritmo invertito: F. Cumont, in Annales de la Société d'Archéologie de Bruxelles, xvi, 1902; E. Espérandieu, op. cit., 3849, 5886, 6379. Pilastro del Museo di Cluny: P. M. Duval, Musée de Cluny: la pierre aux trois divinités romaines, restauration et nouvelle présentation, in La Revue des Arts, iv, 1954, pp. 235-238, figg. 3-4; M. Pobé-J. Roubier, Kelten-Römer, 1958, p. 88, tav. 169. Rilievo di Marco Aurelio nell'Arco di Costantino: A. Giuliano, Arco di Costantino, Milano 1955, fig. 21; G. Becatti, La colonna coclide istoriata, Roma 1960, tav. 9. Arco di Benevento: L'Arco di Traiano a Benevento, in Atheneum, Novara S. d., tavv. xi, xxi. Arco di Leptis: R. Bartoccini, in Africa Italiana, 4, 1931, p. 87 ss., fig. 53. Dipinti di Pompei: S. Reinach, Rép. Peint., p. 5, 2; G. K. Boyce, in Mem. Am. Acad., xiv, 1937, tav. 25,2; V. Spinazzola, Pompei alla luce degli Scavi Nuovi di via dell'Abbondanza, Roma 1953, fig. 215 s., tav. d'agg. i; p. 542, fig. 599; pp. 912-914, figg. 908-910. Ara Casali: J. M. C. Toynbee, op. cit., p. 235, tav. Lviii. Sarcofagi e rllievi col mito di Rhea Silvia: C. Robert, Sarkophagreliefs, iii, 2, tavv. lx, 188; lxi, 190-191; lxii, 193; S. Reinach, Rép. Rel., iii, pp. 2, 1; 291, 2-3; W. Amelung, Die Sculpturen des Vaticanischen Museum, II, Berlino 1908, p. 87 s., n. 36, tav. 9; E. Espérandieu, op. cit., 4030; P. Hommel, op. cit., p. 41 ss., fig. 7; G. M. A. Richter, op. cit., p. 95, fig. 273. Dipinto della Domus Aurea: S. Reinach, Rép. Peint., p. 58. Dipinto della Casa di Romolo e Remo (Napoli, Museo Naz.): G. E. Rizzo, La pittura ellenistico-romana, Milano 1929, tav. 195. Mosaico da Ostia: G. Becatti, Scavi di Ostia, iv, Mosaici e pavimenti marmorei, Roma 1961; p. 36, n. 59, tav. cv. Mosaico di Lixus: Fasti Arch., iii, 1950, p. 334, n. 3490, fig. 83. Vaso bronzeo da Erp: S. Reinach, Rép. Rel., ii, p. 52, 2; J. Zingerle, in Oesterr. Jahresh., xxi-xxii, 1922, 24, p. 229 ss. Monumento di Igel: E. Espérandieu, op. cit., 5268, fig. a p. 452; Dragendorff-Krüger, Das Grabmal von Igel, Treviri 1924, p. 85. Fregio dell'Esquilino (Museo delle Terme): S. Reinach, Rép. Peint., p. 177, 4; A. M. Tamassia, in Arte Antica e Moderna, iv, 1958, p. 329 s. Frammento di sarcofago del Vaticano: W. Amelung, op. cit., p. 130 s., n. 52 B, tav. 14. Dipinto della Villa Adriana, noto da un disegno del XIX sec.:J. Le Gall, Recherches sur le culte du Tibre, Parigi 1953, p. 28, tav. x, 3. Rilievo frammentario del Museo delle Terme: P. Hommel, op. cit., p. 9 ss., fig. i. Equide in bronzo di Nuits-Saint-Georges: E. Thévenot, op. cit., pp. 46-48, fig. i, tav. ii, 3. Blocco in forma di omphalòs di Magdalensberg: H. Kenner, in Oesterr. Jahresh., xliii, 1958, p. 83 s., fig. 41. Gemma di Magdalensberg: id., ibid., p. 75 s., fig. 35. Santuarî del Lac d'Antre: E. Thévenot, op. cit., p. 64 ss., fig. 4, tav. iv, 2. Tempio di Lenus sulla Mosella: E. Gose, Der Tempelbezirk des Lenus Mars in Trier, Berlino 1955; A. Grenier, Manuel d'archéologie gallo-romaine, iii, i, L'architecture, Parigi 1958, pp. 420-423, fig. 135. Tempio di Latobius a St. Margareten im Lavantthal: H. Kenner, art. cit., p. 70 ss.; C. Praschniker, Die Skulpturen des Heiligtum des Mars Latobius von Margareten im Lavantthal, in Oesterr. Jahresh., xxxvi, 1946, Beiblatt, cc. 15-40, figg. 2-1 6. Altare di Mavilly: E. Espérandieu, op. cit., 2067, fig. 4; E. Thévenot, Le monument de Mavilly (Côte d'Or), in Latomus, xiv, 1955, p. 75 ss., tavv. I-II. Rilievo di Vignory: E. Espérandieu, op. cit., 3219. Altare di Digione: E. Espérandieu, op. cit., 3442. Rilievi con M. e una divinità femminile: E. Espérandieu, op. cit., 2347, 2348, 3567; E. Thévenot, op. cit., p. 137-139, 164, tavv. iii, i; vi, 3. Armature di Straubing (Baviera): J. Keim-H. Klumbach, Der römische Schatzfund von Straubing, Monaco 1951; F. Benoît, Le "dieu à l'anguipède" de Straubing, in Latomus, xi, 1952, pp. 467-476, tavv. xii-xiii. Rilievo di Spira: E. Espérandieu, op. cit., 5970.
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