MARTINO BELLONE
Le testimonianze su M., capo della rivolta di Messina (v.) del 1232, sono assai limitate ed esclusivamente contenute in fonti narrative. Il cognome è tramandato in forma diversa: Ballono, Bellione dagli Annales Siculi; Mallone dalla testimonianza di Riccardo di San Germano; Matteo Paris si limita a riferire il nome. Non è nota la condizione sociale di M., ma, data la natura della ribellione messinese e una delle varianti del cognome, Mallone, che fa pensare a un'origine genovese, non è azzardato supporre la sua appartenenza al ceto mercantile della città siciliana.
Messina, fin dalle Assise di Capua del 1220, aveva teoricamente perduto le facilitazioni commerciali ottenute da Enrico VI e conservava soltanto la libera importazione ed esportazione delle vettovaglie, con il ripristino della dogana del 3 per cento per le altre merci. Tuttavia, nei fatti, la città mantenne gran parte dei suoi privilegi mercantili e, pur su-bendo la pressione dell'autorità centrale, ottenne qualche ulteriore vantaggio: l'abolizione delle zecche di Amalfi e Palermo, per esempio, diede nuovo vigore a quelle di Brindisi e, appunto, Messina. In definitiva, fino al 1231, i maiores civitatis continuarono a conservare il potere, se in una carta del 1224 Federico riconobbe una certa autonomia all'universitas e i mercanti, sia pure con qualche limitazione, godettero di rilevanti prerogative. Le Costituzioni di Melfi e i provvedimenti a esse collegati mutarono la situazione in modo decisivo. I burocrati non furono danneggiati in modo sensibile, anzi, grazie al potenziamento delle magistrature esistenti e all'istituzione di nuovi uffici, nel corso degli anni Trenta ebbero numerose occasioni di ascesa sociale e politica. Le componenti produttive, invece, subirono gravi contraccolpi. La città, quindi, non sentì come intollerabile il ridimensionamento delle competenze dello stratigoto, le cui sentenze riguardo alla giustizia criminale venivano sottoposte all'appello presso il giustiziere, giacché anche l'alto magistrato risiedeva a Messina; piuttosto, il riordinamento delle consuetudini, l'imposizione del monopolio su ferro, canapa, sego, pece, sale, tintoria e seta, l'istituzione di un fondaco statale e l'aumento delle tasse doganali colpirono duramente la vita civile, svantaggiarono le costruzioni navali e gli opifici e misero in gravi difficoltà i mercanti, i quali cominciarono a manifestare il proprio malcontento. Intanto Federico II, all'inizio del 1232, inviava in Sicilia Riccardo di Montenero, il quale, come maestro giustiziere, aveva il compito di imporre le nuove disposizioni di legge. I messinesi percepirono l'agire del funzionario come un attentato contro la loro libertà e, alla fine di agosto del 1232, insorsero.
La stringata notizia di Riccardo di San Germano, che parla genericamente di cives, senza indicare la composizione sociale dei ribelli e, in tale circostanza, senza neanche nominare M. come capo del moto, non consente di individuare i gruppi che concorsero alla rivolta. Se il Breve Chronicon dichiara che i messinesi "pro nihilo et sine causa contra imperatorem nisi sunt rebellare", dimostrando, così, una totale insensibilità alle dinamiche cittadine del Regno, gli Annales Siculi, confermando la notizia di Riccardo di San Germano, fanno esplicito riferimento al maestro giustiziere, che fu costretto alla fuga. Aggiungono, inoltre, che M. agì insieme ad "aliquantis hominibus Messane". Se la rivolta, quindi, dalle testimonianze narrative appare in qualche modo sfocata nelle sue molteplici motivazioni e nella sua genesi, risulta, però, chiaramente connotata dal malessere commerciale della città, come si evince dagli accenni all'azione di Riccardo di Montenero. Non aiuta per ulteriori approfondimenti un altro cronista dell'avvenimento: Matteo Paris, infatti, afferma che M. avrebbe tramato per consegnare la città al pontefice, rivelando, con questa asserzione, di avere scarsa dimestichezza con le vicende peloritane. I rivoltosi, comunque, furono in buon numero e si coordinarono agli ordini di M., forse, come si è detto, un mercante. Alcuni documenti, in gran parte recentemente pubblicati da Ciccarelli, permettono oggi di circostanziare il moto dal punto di vista sociale. Nicolò de Farinato fu detenuto nel castello di Capua, Nicolò "de Apothecis" con la moglie Calofina e Filippo "de Guerciis" con la consorte Palmira furono allontanati da Messina, Temonerio, figlio di Giovanni Miscitata, si vide sottrarre una vigna, i conti Carlo e Ranaldo Battifolla furono espropriati del loro feudo presso Milazzo. Se la base sociale dei rivoltosi era composta da mercanti, bottegai e trafficanti, a essi si aggiunsero, dunque, milites e feudatari, i quali approfittarono del tumulto per tentare di scrollarsi di dosso l'insopportabile controllo di Federico. Tra i sostenitori del moto, invece, non sono segnalati i burocrati, sostanzialmente soddisfatti delle possibilità che offrivano gli uffici. La rivolta, intanto, si era estesa a Catania, Siracusa, Centuripe, Nicosia, Troina, Montalbano e Capizzi. Non sappiamo, allo stato attuale delle conoscenze, se ci fosse un collegamento tra le varie città, anche se il rapido esaurirsi della ribellione induce a pensare alla mancanza di qualsiasi coordinamento. M., dopo il fallimento del suo tentativo, fuggì con altri congiurati, ma fu catturato presso Malta. Federico non intervenne personalmente se non dopo alcuni mesi; nel mentre, fin dall'ottobre del 1232, si affrettò a mitigare alcuni provvedimenti finanziari, riguardo alle tasse di importazione ed esportazione e ai monopoli, e istituì delle corti presso le quali i sudditi potessero presentare istanze di reclamo contro gli arbitri dei funzionari statali. Nel febbraio del 1233 l'imperatore si trasferì dalla Puglia in Calabria e, nel mese di aprile (secondo il Breve Chronicon a maggio), entrò in Messina. Qui convocò i maiores e i minores nella cattedrale e assicurò tutti di aver perdonato i loro misfatti, ma, passati alcuni giorni, "non sequens mores et vestigia magnorum principum quorum verba retrorsum non habent", come nota con disappunto il Breve Chronicon, condannò alcuni a turpe morte e altri incarcerò, mentre "alii per fugam evaserunt". I condannati a morte, primo fra tutti M., "qui caput fuerat mote seditionis in populo", come sottolinea Riccardo di San Germano, furono impiccati o arsi vivi. M., in particolare, fu bruciato. Poi Federico rase al suolo Troina, Montalbano e Centuripe, i cui abitanti furono mandati a ripopolare Palermo. A Siracusa e Nicosia, come a Messina, l'imperatore fece uccidere o incarcerare i ribelli. Il rogo di M., ordinato da Federico II sub hereticorum pretextu, indignò Gregorio IX, il quale in una lettera del 15 luglio 1233, senza nominare i condannati, ammonì severamente lo Svevo a distinguere tra heretici ed errantes, tra chi si opponeva ai dettami della Chiesa e chi era un semplice ribelle politico.
In definitiva, la rivolta del 1232, promossa da M., fu orchestrata dagli ambienti dei mercanti e degli aristocratici, fortemente penalizzati dalla politica imperiale, mentre i funzionari, pur inseriti in un organismo centralizzato, rimasero estranei al moto, impegnati com'erano in un processo di ascesa sociale favorito dalla moltiplicazione degli uffici. La brutale repressione del 1233 inferse, però, un grave colpo al tessuto economico e civile di Messina che, fino al 1250, non ebbe più modo di segnalarsi nelle vicende del Regno.
Fonti e Bibl.: Historia diplomatica Friderici secundi, IV, 1, pp. 436-437 e 444-445; Breve Chronicon de rebus Siculis […], ibid., I, 2, pp. 904-905; Matteo Paris, Ex Cronicis Maioribus, in M.G.H., Scriptores, XXVIII, a cura di R. Pauli-F. Liebermann, 1888, p. 126; Annales Siculi, in appendice a Goffredo Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, in R.I.S.2, V, 1, a cura di E. Pontieri, 1925-1928, p. 117; Riccardo di San Germano, Chronica, ibid., VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938, pp. 182 e 185; D. Ciccarelli, Il tabulario di S. Maria di Malfinò (1093-1302), I, Messina 1986, nr. 11, pp. 25-26; nr. 28, pp. 60-62; nr. 31, pp. 66-69; nr. 45, pp. 90-91. W. Cohn, L'età degli Hohenstaufen in Sicilia, Catania 1932 (Breslau 1925), pp. 183-188; P. Pieri, La storia di Messina nello sviluppo della sua vita comunale, Messina 1939, pp. 73-76; E. Pontieri, Ricerche sulla crisi della monarchia siciliana nel secolo XIII, Napoli 19502, pp. 53-55; S. Tramontana, La Sicilia dall'insediamento normanno al Vespro (1061-1282), in Storia della Sicilia, diretta da R. Romeo, III, ivi 1980, pp. 269-271; Id., La monarchia normanna e sveva, Torino 1986, pp. 249-250 e 275-276; F. Martino, "Messana Nobilis Siciliae Caput". Istituzioni municipali e gestione del potere in un emporio del Mediterraneo, in Messina. Il ritorno della memoria, Palermo 1994, p. 346; J.-M. Martin, Le città demaniali, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, ivi 1994, p. 186; E. Pispisa, Medioevo meridionale. Studi e ricerche, Messina 1994, pp. 190 e 399-400; Id., Messina medievale, Galatina 1996, pp. 31 e 42-43; Id., Medioevo fridericiano e altri scritti, Messina 1999, p. 133.