BERNARDINI, Martino
Nacque a Lucca il 2 febbr. 1487 da Martino e da Caterina, figlia naturale di Iacopo da Ghivizzano.
Del padre del B. si sa che, dopo avere avuto in gioventù "molti infortuni" e trascorso "assai tempo a Milano, dove hebbe più figli naturali" (Baroni, f. 419), tornato a Lucca vi acquistò una posizione politica di rilievo pervenendo alle supreme cariche dello Stato. Alla morte della madre (giugno 1521),che aveva sposato in seconde nozze Giovanni Michele Guinigi, il B. ereditò col fratello Giovanni la cospicua fortuna. Nel 1519 sposò Margherita, figlia di Michele Guinigi, che gli portò in dote 1.100 ducati d'oro. Da Margherita ebbe due figli, Iacopo e Cesare, nato nell'aprile 1523, e tre figlie, Faustina, morta all'età di un anno, Felice, maritata a Vincenzo Mei, e Caterina, sposa prima di Martino Gigli e poi di Benedetto di Martino Buonvisi.
A capo di una grande compagnia mercantile, interessata in una molteplice attività di traffici e di operazioni bancarie e articolata in più sedi e società, con diramazioni da Anversa a Palermo, il B. fu principale nella Compagnia di Lione di Martino Bernardini, Vincenzo Spada e compagni; principale nella Compagnia di Lione di Martino Bernardini, Nicolao e Paolo Burlamacchi, Michele Diodati e Giuseppe Bernardini. In un periodo di accentuate spinte inflazionistiche, che valorizzava in parte i prodotti della terra, il B., come altri grandi mercanti del tempo, si dedicò, traendone gran lucro, alla compravendita dei grani siciliani, in collegamento col fratellastro Pietro Paolo, mandato"a governare la n.ra ragione di Palermo" (Baroni, f. 419).
Il contratto per l'importazione di forti quantitativi di grarii siciliani, stipulato con un marittimo raguseo, nel febbraio 1528, e il conto elaborato con Vincenzo Spada, relativo all'acquisto di 10.019 salme di grano sempre in Sicilia, nel 1549, comprovano l'attivo ruolo svolto dalla compagnia del B. nel commercio di commissione dei cereali, nel tempo in cui la Sicilia era ancora uno dei principali granai d'Europa e gli Stati cittadini ricompensavano con lauti premi i rifornitori e garanti del difficile settore annonario. Sul piano finanziario un significativo indice del volume e del raggio delle attività del B. è il credito di 27.725 scudi dovutogli, in solido con Bernardo Cenami, agente dei Buonvisi in Anversa, dalla corte di Francia in epoca imprecisata.
Esponente di quell'aristocrazia mercantile su cui poggiava il potere oligarchico dello "stato largo", il B. fu per oltre mezzo secolo impegnato, in posizione di primo piano, nelle tormentate vicende politiche ed economiche della Repubblica, partecipe anche delle sue controversie religiose, per il ricambio ancora attivo a questa epoca degli impegni e responsabilità civili con i fermenti della vita spirituale. L'ipotesi di una tradizione familiare domenicana del B. è sufficientemente documentata. Risulta, infatti, che il B. fu un devoto parrocchiano di S. Romano, il grande centro della devozione lucchese, animato da fervore savonaroliano, in fiero contrasto col lassismo dei canonici lateranensi di S. Frediano. E sul B. "loro affectionato richo et da bene" (Cronaca di S. Giorgio, f. 33 v) i frati di S. Romano sapevano di poter contare, sì che appare del tutto naturale che essi, nel 1518, ricorressero alla sua competenza amministrativa, nell'occasione della delicata operazione diretta a porre le monache di S. Nicolao Novello sotto la tutela dei domenicani.
Nel novembre del 1521 la chiesa di S. Giulia, sine cura ambitissima per i molti vantaggi che assicurava al suo rettore, si rese vacante per la morte dei vecchio rettore, canonico di S. Martino. L'interesse subito accesosi attorno al cospicuo beneficio ecclesiastico, spinse l'aspirante più qualificato, il vicario vescovile Lionello Cybo, avversato per la sua condizione di "forastiero", a prender posizione contro il Diodati, candidato dei potenti Arnolfini, che si presentava forte della delega di tredici "voci" della contrada. Il Cybo fece intervenire allo scopo la rappresentanza maggioritaria (ventuno "voci") dei giuspatroni di S. Giulia affidandone la procura al Bernardini. Ricevuta la formale investitura elettiva, il B., in rappresentanza delle ventuno "voci" della contrada, nominò il Cybo rettore di S. Giulia, recandosi poi "a farlo stituire al d. Vescovo, che così fece come ne appar contratto p. mano di S. Vincenzo Granucci" (Fatto de Poggi…, f. 254). La parte della contrada influenzata dagli Arnolfini aveva provveduto per conto suo a eleggere il Diodati "ma il vescovo - secondo le parole del B. - non li volse ammettere e poi l'ammise. Ma il d. Vicario aveva prima avuto la Bolla per lui, restavagli aver la possessione quale la tiene il Protonotario Arnolfini" (ibid., f. 255). Mentre infatti più ferveva la contesa beneficiaria a Lucca, il protonotario apostolico Bartolomeo Arnolfini riusciva a ottenere in Curia il breve di possesso per S. Giulia. E di questo documento si avvalse per insediare un suo procuratore, forte dell'appoggio diretto del Bargello. Mantenuta fino a quel momento sul piano legale, per l'intervento dei Poggi a favore del Cybo la contesa prese una piega pericolosa, finché degenerò nell'azione cruenta che mise in pericolo l'esistenza stessa del "pacifico et populare Stato". L'intervento dei Poggi, di cui erano note le inclinazioni aristocratiche e le tendenze antioligarchiche, aveva alterato la natura e i termini del contrasto, e il B. si trasse indietro abbandonando la partita. Fedele a una sua concezione di equilibrio del potere oligarchico egli aveva sostenuto il Cybo fino a quando si era trattato di contrastare in nome della legittimità la sopraffazione degli Arnolfini. Ma non poteva accettare l'intrusione poggesca palesemente rivolta, con ambizioni di potere signorile, a infrangere l'egemonia concordata delle grandi famiglie. Quando poi gli esponenti più avventati del "grande consortato" poggesco passarono alle vie di fatto, adoperando a fini di sovversione tirannica la violenza armata, la condanna del B. fu netta.
Il B. non si limitò tuttavia a condannare la sovversione, ma, sedata la rivolta il 12 luglio 1522, prese parte attivamente all'azione intrapresa dalle grandi famiglie riunite attorno al Maggior Consiglio per eliminare i focolai esterni di ribellione, alimentati dai fuoriusciti poggeschi. Egli accettò pertanto di essere designato ("riformagione" del 23 luglio 1522) come mallevadore con altri undici maggiorenti tra i quali Martino e Ludovico Buonvisi, Stefano Spada, Gian Lorenzo Malpigli, "insolidum pagar quelle persone ammassassero o desser presi li ribelli, tutte le tagle sutoli misse per il Consiglio" (ibid.,f. 257). "Che Iddio ce ne cavi di danno, e lassi seguire il meglio per la nostra libertà", scriveva il B. (ibid.) ricordando questo difficile momento della vita della Repubblica, che coincide quasi con la sua prima elezione al gonfalonierato, nel 1523.
Le tensioni determinate dal moto dei Poggi non erano eliminate, e si preparava l'offensiva esterna armata, esplosa nel 1525, quando nuove difficoltà strinsero da vicino Lucca in seguito allo scontro tra gli eserciti di Carlo V e di Francesco I in Italia. In questo clima il 20 dic. 1524 il B. fu chiamato a far parte di una magistratura straordinaria, organo tra i più delicati della vita istituzionale., operante su mandato consiliare con altissimo potere discrezionale. A lui e agli altri magistrati fu affidato il compito di placare, dietro congruo esborso, il duca d'Albany, che, al comando delle truppe francesi provenienti dalla Garfagnana, stava saccheggiando il territorio della Lucchesia, estorcendo tributi alle popolazioni; di lì a poco altri negoziatori affronteranno gli esattori di Carlo V per nulla soddisfatti della ambigua politica di equidistanza della "città imperiale".
Negli anni immediataniente successivi, il B. sembra che fosse diviso tra gli affari e l'adempimento di difficili e delicati arbitrati cui lo chiamavano il prestigio e l'autorità che godeva nella consorteria familiare: come quello sostenuto nella vertenza patrimoniale dei sette cugini eredi dello zio Paolino, che, diretto com'era a evitare la sopraffazione dei fratelli maggiori, rivelava la preoccupazione del B. per ogni incrinamento della coesione familiare, considerata come la base dell'ordinamento repubblicano.
Attorno al 1530 la crisi dell'economia per la contrazione della produzione serica, fondamentale attività produttiva lucchese, allargò improvvisamente i contrasti politici sulla scala sociale. Estranei alle vicende e alle contese della vita pubblica finché la lotta politica aveva involto questioni di equilibrio e di primazie consortili, gli artigiani furono d'un tratto sulla scena allorché i detentori del potere legislativo, prerogativa dell'aristocrazia mercantile, cercarono di addossare sulle loro spalle le conseguenze della depressione. Per fronteggiare la crisi una commissione incaricata di redigere nuovi statuti per l'esercizio della manifattura serica, di cui faceva parte il fratello del B., Giovanni, escogitò una serie di misure dirette a limitare il numero dei produttori, predisponendo al tempo stesso una riorganizzazione tecnica del settore. Ma provvedimenti così lesivi non potevano essere accettati dai "testori", che, dopo aver tentato vanamente di ottenere la abrogazione delle nuove norme statutarie, nell'assemblea della Curia textorum, del 30 apr. 1531, tenutasi nella chiesa di S. Francesco, decisero d'intraprendere una più energica azione di protesta sotto la guida di diciotto capitani straordinari.
Intervenendo con Bartolomeo Arnolfini in questa assemblea, il B. si adoperò per sedare gli animi. Più concretamente egli promise di perorare la causa dei "testori" dinanzi al Consiglio, e, delegato anzi a questo scopo dai diciotto capitani straordinari, ottenne dallo stesso Consiglio, immediatamente convocato, l'accoglimento delle loro principali richieste.
La pericolosa vertenza sembrava avviarsi verso la composizione equa e pacifica quando in città si sparsero voci di propositi punitivi del Consiglio nei confronti dei capi artigiani, sì che, per la pronta reazione dei "testori", dalla protesta si passò al tumulto e quindi alla rivolta aperta, in cui come consapevole forza di opposizione al potere oligarchico-mercantile si inserirono gruppi borghesi di recente inurbati, che volevano sanzionata con un riconoscimento politico la posizione raggiunta sul piano economico. La saldatura di queste forze faceva emergere la fragile struttura di uno Stato le cui sorti, attraverso la ricorrente delega dei poteri alle magistrature straordinarie, erano affidate a "pochi e ricchi cittadini", non molto avveduti politicamente e incapaci comunque di valutare le conseguenze di decisioni improntate a ristretto particolarismo. Il B., che pur avendo esercitato anch'egli poteri straordinari, si era preoccupato, in questa fase, di ogni abuso autoritario delle aggressive consorterie familiari volto ad alterare il precario equilibrio del potere oligarchico, dopo aver constatato che "il dare più autorità a uno ciptadino che a un altro causa poi di queste cose", ammoniva: "però noto a quelli che verranno che sempre si trovino in Consiglio dove si tratti di dare autorità, sotto che buon colore si sia, che l'un ciptadino ebbi a maneggiar l'altro, che non le passino, perché sempre quando queste autorità si passano, è per causa di bene, e così si mostra, ma poi, sempre e il più delle volte ricascano in male; però la più sicura è non passarle e sempre contradirle" (Sollevazione in Lucca…, p. 248). Lo sforzo del B. era dunque diretto dall'interno a dare stabilità al sistema attraverso la necessaria coesione del ceto dirigente. Ma di là della visione programmatica difficilmente enucleabile, nell'intuito politico, sempre vigile del B., e quel che più conta, nella sua prontezza a íntervenire in situazioni che rischiano anche di comprometterlo, sembra di avvertire come una tensione di volontà insoddisfatta dei vecchi schemi della politica consortile, che nel momento della crisi confida di poter esercitare un controllo sulle forze in movimento mediante il richiamo alla moderazione e lo sforzo personale di mediazione.
Dal maggio 1531, quando il Consiglio generale (cedendo alla "furia" popolare) accolse le richieste dei "testori", all'aprile 1532, che vide la vittoria della vecchia aristocrazia di governo sotto l'energica guida di Martino Buonvisi, tra le alterne vicende della lotta e i tentativi di compromesso, il B. mantenne la sua posizione di mediatore anche sesfortunato e deluso. Eletto il 20 ott. 1531 nella magistratura straordinaria dei dodici pacificatori dei due partiti, aristocratico e popolare, i buoni uffici di questa commissione risultarono vani. Al punto in cui era giunta la tensione, la risoluzione del conflitto sembrava ormai affidata solo alla forza. E di lì a poco, infatti, si ebbe la riscossa della parte aristocratica, troppo superiore al composito schieramento popolare e decisa a tutto pur di piegare l'avversario, anche all'ausilio degli Spagnoli. All'atto del bilancio di questa drammatica vicenda il B. pose peraltro l'accento sull'interna frattura della parte popolare, abbandonata dalle famiglie "mediocri" o "comode", paghe delle posizioni conquistate nel Consiglio, e divisa nel suo interno da preclusioni corporative. Ristabilito l'ordine, il B., per il suo ruolo di moderatore e di mediatore., poté essere considerato da una certa parte dell'opinione aristocratica come "il nobile che più ce l'aveva con gli altri nobili e che maggiormente favorì le richieste popolari" (Memoria sugli Straccioni di Nicolao Lamberti, f. 23).
Sottrattosi a stento, nel giugno 1532, alla sanzione del discolato, il B. rimase escluso per un dodicennio circa dalla vita politica. In questo periodo egli ebbe tuttavia incarichi delicati, anche se fuori delle responsabilità politiche operative. Dal febbraio 1536 a tutto l'anno 1538 fece parte, con Nicolao Liena, Gerardo Seriusti e Dino Sardini, della commissione nominata dal Consiglio per ordinare in una raccolta organica i documenti e gli atti riguardanti la giurisdizione e i diritti del Comune di Lucca, di cui parte principalissima furono i cosiddetti Libri delle Sentenze. Il significato politico e non di mera compilazione erudita di questa silloge, che si apriva con l'elencazione delle terre soggette al Comune agli inizi del Trecento, risulta evidente sol che si consideri che nell'anno di insediamento della Commissione era stato rinnovato lo statuto comunale ribadente il diritto di Lucca su ogni antico territorio sottrattole con la forza.
A partire dal 1530 è dato riscontrare un progressivo ampliamento del patrimonio immobiliare del B., che - come risulta dai molti contratti, rogati quasi sempre da ser Michele Serantoni -, pagando qualche volta con ducati d'oro del Sole del "cunio di Francia", acquista a ritmo crescente terreni e case da università, chiese e privati. I nomi dei Buonvisi, degli Arnolfini, dei Cenami, dei Sanminiati, degli stessi Bernardini, ricorrono spesso nei contratti di compravendita, in cui il B. figura sempre in qualità di acquirente. In un periodo che registrò il dirottare del ceto mercantile dagli affari e dai rischi dell'impresa commerciale nell'investimento fondiario, egli seguì accortamente e sistematicamente quest'onda di riflusso, costituendo la grande fortuna immobiliare di cui conservano testimonianza i suoi testamenti. Un segno singolare di questi nuovi orientamenti e propensioni del ceto mercantile si ebbe, come è noto, nella costruzione di ville nella campagna lucchese. Quella del B. a Coselli ha un proprio inconfondibile stile, costruita com'è su un modulo di "ripensamento gotico" del castello "a guisa di fortezza con molti torri onde diede da sospettare quali pensieri gli andassero per la testa con simil fabbrica" (B. Beverini, Elogi di uomini illustri in santità e dottrina, pp. 312 s., citato in I. Belli Barsali, La villa a Lucca dal XV al XIX secolo, Roma 1964, p. 55).
Riammesso nel Consiglio generale nel 1540, il 6 nov. 1544 il B. entrò con Pietro Burlamacchi e Bemardino Bernardi nel segretariato della Repubblica, organo di polizia politica dotato di ampi poteri e annualmente rinnovato, ch'era il tradizionale appannaggio delle grandi famiglie lucchesi. Due anni dopo, nel 1546, fu anziano surrogato, e dopo essere stato incaricato, col decreto del 21 ott. 1550, unitamente a Tobia Sirti, Iacopo Amolfini, Girolamo Lucchesini, Bernardino Cenami e Francesco Balbani, di compilare gli statuti della Gabella, approntati il 7 luglio 1551, fu infine, nello stesso anno, eletto gonfaloniere. Preparandosi alle nuove responsabilità politiche, il B., nel 1549, aveva intanto dato la misura del suo tatto politico anche sul terreno dei delicati rapporti di Lucca con Firenze, facendo arrestare il fiorentino Bartolomei che aveva sollecitato un appoggio in armati e denari contro la Signoria medicea.
Giunto il B. al gonfalonierato, nuovi rivolgimenti si preparavano nella società lucchese, al punto di confluenza di una crisi che finiva col coinvolgere l'economia, le istituzioni e la stessa vita spirituale.
Dalla crisi religiosa il B. fu direttamente colpito allorché nel 1555 la figlia Felice, sposa di quel Vincenzo Mei fallito clamorosamente nel 1547, abbracciata la fede dei riformati, abbandonò col marito Lucca rifugiandosi a Ginevra. Il B. accolse allora in casa il piccolo nipote Emilio, che i genitori non avevano voluto esporre ai rischi della "partita", adoperandosi a ricostituirgli quel patrimonio, che, per il fallimento prima e la confisca dei beni paterni poi, gli era venuto a mancare. Un anno dopo, nel maggio 1556, moriva il figlio Cesare, lasciando a sua volta un figlio naturale di nome Annibale, accolto anch'egli in casa del Bernardini
Le difficoltà dell'economia lucchese, in uno stato endemico di depressione e di declino a partire dalla seconda metà del Cinquecento, favorivano le inclinazioni aristocratiche delle vecchie oligarchie mercantili, sì che non sarà da stupire se il B., via via che l'attività cittadina si era venuta attenuando in un diffuso ripiegamento conservativo, si facesse "promotore e fondatore di aristocrazia" (Tommasi, p. 444). Ricoprendo nel 1556 la carica di gonfaloniere del Collegio decemvirale, il B. propose dunque una sospensiva delle leggi vigenti allo scopo di procedere a una radicale modificazione istituzionale dello stato in senso aristocratico: "Dopo essersi colloquiato segretamente con pochi, essendo Gonfaloniere - riferisce Gherardo Burlamacchi - Martino Bernardini, propose improvvisamente che sare' honore e utile a guisa de' Venetiani, fare un ceppo delle casate che in quel tempo godeano de gli honori, e da lì avanti non ve ne potesse entrare altri et ne uscissero quelli che i padri lor non ne havean goduto" (Quaderni di ricordi, f. 110 r). Non riuscendo, tuttavia, a mettere in atto questo radicale programma, il B. dovette alla fine ripiegare su una più moderata restrizione del "governo largo", appoggiandosi alla legislazione esistente in materia di partecipazione al governo di cittadini di origine straniera o provenienti dal contado, e segnatamente alla "riformagione" senatoriale del 22 nov. 1538 che da una parte vietava le cariche onorifiche e lucrative a coloro che avevano residenza nella città da dodici anni, ai loro figli e discendenti fino alla seconda generazione, e dall'altra manteneva gli altri diritti di cittadinanza e fissava le condizioni in base alle quali gli abitanti del contado potevano esservi ammmessi. Andando oltre queste concessioni, la legge martiniana del 9 dic. 1556 escludeva in modo assoluto i forestieri dal governo, prescrivendo altresì il divieto delle cariche politiche e delle magistrature civili per i nati da padre forestiero. La legge sanciva inoltre drastiche limitazioni nell'assunzione di responsabilità politiche e civili per gli abitanti del contado che a partire da quel momento venivano di fatto esclusi da uffici ordinari e cariche elettive.
Negli anni seguenti, e fino alla morte, non si registrano nella vita del B. avvenimenti di rilievo, se si esclude la rinnovata elezione a gonfaloniere del 1562. Risulta da varie testimonianze che egli si dedicò in questo periodo a mettere a punto una sua raccolta, perduta, di Memorie lucchesi. Atestimonianza dell'amore per le lettere e del mecenatismo del B. è una dedica, scritta a sua lode, dal giureconsulto Fanuccio Fanucci, avvocato e giudice nel tribunale di Ferrara e poi docente nell'università romana, nel Tractatus de lucro dotis…,Lugduni, "apud haeredes lacobi luntae", 1562.
Essendogli premorti i figli maschi, il B., in accordo con la sua tipica idea della continuità e forza del casato come base dell'ordine politico, legò i suoi beni in fedecommesso al nipote Giuseppe, con ampi stralci a favore delle figlie Caterina e Felice e dei nipoti Emilio e Annibale. Secondo il costume dei fedeli di S. Romano, all'atto di rogare il suo ultimo testamento, il 22 genn. 1568, egli dava precise disposizioni sui suoi funerali che egli "cittadino e mercante di Lucca" vuole "si faccino con modestia et senza pompa et subito morto si suoni le campane a doppio… et non si suoni altramente né in altro modo et non vuole che si metti panni neri in sala né altro ma la sala stia ornata di corami come suole stare… et quando sarà levato il corpo di casa debba recto tramite esser portato alla d. Chiesa (S. Maria de' Servi) senza girari per Lucca" (Testamento, ff. 219v-220r).
Il B. morì a Lucca il 28 novembre del 1568.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Consiglio generale. Riformagioni Pubbliche, vol. 32, f. 315v; Ibid., Comune di Lucca, Gabella maggiore, 6 nov. 1551-5 nov. 1593; Ibid., Notarile, vol. 1999, ff. 24v-27v, 14 genn. 1526; vol. 1941, ff. 87, 90, 7 febbr. 1528; vol. 2348, ff. 273-274, 22 ag. 1522; Ibid., Carte G. B. Orsucci,n. 41: Memoria sugli Straccioni di Nicolao Lamberti, c. 26; Ibid., Comune di Lucca, Libri di Sentenze. Copiario in pergamena, n. 4, capitoli 7-10; Lucca, Bibl. Governativa, ms. n. 1105: G. V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi. Famiglia Bernardini, ff.376-406, 424-426; Ibid., ms. n. 928, fase. 4-5, ff. 252-261: Fatto de Poggi Per cacione del Benefizio di S. Giulia. Descritto da Martino Bernardini in un suo Libro di memorie, esistente autografo presso li Signori Montecatini, ricopiato da me Bernardo Baroni;Ibid., ms. n. 928, fasc. 4-5, ff. 246-251: Sollevazione in Lucca detta degli Straccioni seguita nell'anno 1531. Descritta da Martino Bernardini in un suo Libro di Memorie esistenti appresso li Sigg.ri Montecatini, autografo e sincrono ricopiato da me Bernardo Baroni nel 1766; Ibid., ms. n. 1105; ff. 219-236: Testamento, rogato da Nicolao Ciuffarini il 22 genn. 1568.
N. Cianelli, Dissertazioni sopra la storia lucchese,in Meni. e doc. Per servire all'istoria della città e Stato di Lucca, II, Lucca 1814, pp. 270 ss.; C. Lucchesini, Della storia letteraria del ducato lucchese. Libri sette, in Mem. e doc. per servire all'istoria del ducato di Lucca, IX, Lucca 1825, pp. 195-196; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca dall'anno MIV all'anno MDCC…, in Arch. stor. ital., X(1847), pp. 44-45, 444-445; R. Ehrenberg, Das Zeitalter der Fugger, Jena 1896, I, p. 316; B. Bresard, Les foires de Lyon au Xve et XVIe siècles, Paris 1914, pp. 270-271; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra (Studi sulla emigrazione religiosa a Ginevra nel sec. XVI), in Riv. stor. ital. XLIX (1932), 4, p. 458; G. Carocci, La politica estera di Lucca tra il 1480 e il 1530…, in Notizie degli Archivi di Stato, IX(1949), pp. 77-78; Id., La rivolta degli Straccioni in Lucca, in Riv. stor. ital., LXIII (1951), I, pp. 28-59; J. Delumeau, L'alun de Rome XV-XIX siècle, Paris 1962, p. 202; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, pp. 46-49, 123-126, 243-245 e passim.