BONACINA, Martino
Nato a Milano intorno al 1585 da nobile famiglia, ambrosiana, fu accolto nel 1605 fra gli oblati e insegnò diritto canonico e civile presso il seminario milanese, che proseguiva in quegli anni la fervida opera di rinnovamento pastorale intrapresa da S. Carlo Borromeo in attuazione del concilio tridentino. Nel 16 15 fu chiamato quale rettore presso il collegio dei nobili e più tardi passò a dirigere il seminario elvetico.
Oltre a vivere la complessità di fermenti e di iniziative dell'apostolato e del proselitismo religioso della sua Congregazione, il B. si aprì presto a interessi e studi di ordine teologico. Tuttavia il suo impegno speculativo, se evitò gli schemi più tradizionali della pratica apologetica e della polemica confessionale, non si tradusse neppure in uno sforzo di ripensamento e meditazione sollecitato da un più vivo e interiore approfondimento dei valori religiosi o da esigenze di più sensibile spiritualità. In questo senso il B. fu piuttosto un esponente tipico della seconda fase della restaurazione cattolica, quella della chiarificazione "divulgativa" e della fissazione normativa dei principi e dei decreti dommatici emersi dal concilio di Trento e promulgati dall'autorità pontificia. A quest'esigenza di conservazione e di salda e metodica sanzione dell'unità dottrinale il B. diede il suo contributo, non trascurabile, di ampia e ben impostata preparazione teorica e di esegesi erudita, e soprattutto l'apporto di un'attitudine concettuale capace di tradurre e di concretare le tradizioni apostoliche come i più recenti indirizzi della nuova scolastica e della teologia positiva nei termini di un'organica chiarificazione del sistema teologico.
Chiamato a Roma nel 1619 dal cardinale I. Aldobrandini ed eletto nel 1620 all'incarico di referendario dell'una e dell'altra segnatura, il B. affrontò in quegli anni alcuni dei temi di più diretto e immediato interesse dottrinario e istituzionale in relazione alle concezioni e ai problemi posti dalla Riforma, con i due trattati De Sacramentis, Venetiis 1621 (ristampato 1629) e De Matrimonio, Lugduni 1622. Ma la proprietà di dottrina e l'interesse per la teologia positiva del religioso milanese dovevano rivelarsi più efficacemente e con una più singolare ampiezza di visuali nei due tomi della De Morali Theologia, et omnibus coscientiae nodis, Lugduni 1624, e nei trattati immediatamente successivi: De Clausura, Venetiis 1626 (ristampato, Lugduni 1629); De Simonia, Lugduni 1627; De horis Canonicis, Venetiis 1729; e ancora in De Sacrosanta Christi Incarnatione, aliisque praecipuis Vitae Christi, ac beatissimae Originis Mariae Mysteriis Tractatis, Mediolani 1629 (ristampato, Venetiis 1636).
È soprattutto nella De Morali Theologia (di cui uscì un Compendium a cura di A. Goffart a Lione nel 1630 e una Summa a Colonia nel 1671) che è dato cogliere tuttavia l'indirizzo concettuale più personale del B., di elaborazione delle tesi probabilistiche, e insieme lo sforzo di tradurre le proposizioni della teologia morale in una prima normativa a carattere precettistico e di orientamento, in relazione sia all'indebolimento dei rapporti fra religione e morale emerso con la Riforma sia ai vari problemi etico-religiosi sollevati dalla pratica quotidiana. Il suo, comunque, non si presenta ancora come un modello di casistica minuta quale svolgerà in seguito sino in fondo il pensiero dei più autorevoli esponenti gesuiti con approdo al lassismo, quanto piuttosto uno dei tentativi più riusciti (ne fanno testo le numerose ristampe, a cominciare da quelle di Anversa del 1632, di Venezia del 1635 e di Parigi del 1645) di dare una chiara formulazione delle dottrine probabilistiche contro ogni pericolo di più avanzata affermazione della libertà di coscienza o quanto meno di slittamenti "opportunistici" sul piano religioso. Entro questi precisi limiti di enunciazione di principio e non metodologici va inquadrata l'opera del B., che pur fu una delle fonti più autorevoli di riferimento e di consultazione cui risali successivamente, alla fine del secolo e nei primi decenni del Settecento, la pratica catechistica e dottrinaria influenzata dalle tendenze antirigoriste (significative le riedizioni apparse in alcuni dei momenti più cruciali dello scontro fra gesuiti e giansenisti: a Venezia nel 1670, a Milano e a Lione nel 1678 e ancora a Parigi e Milano nel 1707 e nel 1720).
A propositi di sintesi sistematica delle varie fonti dottrinarie e concezioni teologiche, entro il quadro dell'ortodossia tridentina, corrisponde, per altra parte, il lavoro di raccolta e precisazione normativa e disciplinare portato avanti dal B., con tutta una serie di trattati (compresi poi negli Opera Omnia, usciti in tre tomi a Lione nel 1678 e ristampati a Venezia nel 1754), fra cui vanno ricordati il De beneficiis (1625), il Tractatus tres de legibus, peccatis et praeceptis Decalogi (1627) e il De legitima electione Pontificis (Lugduni nel 1637 e poi Venetiis nel 1638).
L'opera del B. non si esaurì peraltro nel campo degli studi di teologia positiva e nell'approfondimento dei temi dogmatici, ma investì anche alcuni problemi economico-sociali di più immediata rilevanza per il suo tempo, tentando di dare ad essi una risposta religiosa intonata alle concezioni etico-politiche espresse dal movimento riformatore del seminario milanese, al quale aveva continuato a essere legato anche dopo il trasferimento a Roma. Già il primo rettore del seminario ambrosiano, il gesuita F. Adorno, aveva affrontato in un lavoro rimasto inedito alcune questioni poste dall'attività mercantile, e in particolare quella di credito: su questo argomento e su altri relativi ai cambi, alle varie forme assicurative, al salario, alle imposte, il B. riprenderà e svilupperà un discorso assai più solido e integrale con il trattato De contractibus et restitutione comparso a Venezia nel 1621.
L'impegno del B. in questo campo sarà anzi uno dei più interessanti fra gli ultimi tentativi compiuti dal dottrinarismo cattolico di reagire in forze al mutamento profondo nei rapporti tra il pensiero teologico e il pensiero economico, intervenuto con la crisi della precettistica normativa aristotelico-tomista di fronte alla rottura della vecchia economia medievale e al delinearsi delle prime strutture capitalistiche nel settore commerciale e finanziario. L'interesse del B. per i problemi economici nasceva infatti dalla conoscenza diretta, maturata in uno dei più cospicui centri mercantili, quale quello ambrosiano, dei nuovi sviluppi assunti dalla speculazione commerciale, e accoglieva le sollecitazioni dell'ambiente religioso milanese per una revisione della tradizionale giurisprudenza canonista, che colmasse il divario sempre più evidente fra norme di condotta e pratica concreta, fra insegnamento teologico e linee direttrici dell'agire economico. Quantunque destinato a confondersi con non pochi tentativi coevi di assicurare la continuità di elementi etici nell'evoluzione della dottrina economica, e in ultima analisi la subordinazione dell'economia alla morale attraverso qualche concessione alla prassi ormai imperante (e anche il B. ne fece, in materia per esempio di cambi, ammettendo il cambio e il "recambio" purché il pagamento non si effettuasse in altro luogo e il tasso di "recambio" fosse stipulato in anticipo), il trattato del teologo milanese merita tuttavia di essere ricordato. Esso contiene infatti alcune note sulla finanza pubblica che sembrano rispondere ad esigenze concrete dello sviluppo economico ed enunciare insieme - come osserva giustamente il Barbieri - singolari giudizi e anticipazioni in materia di giustizia tributaria. Il B. riconosce innanzitutto il potere tributario quale esclusiva prerogativa dello Stato sovrano, in virtù dell'autorità conferitagli dalla collettività (e in questo senso è dato cogliere, fra l'altro, l'influenza esercitata sul teologo milanese dalle concezioni "consensualistiche" del Suarez). Successivamente, dopo avere intravisto (senza arrivare certo a una chiara e consapevole affermazione teorica) il principio della competenza fiscale dello Stato sulla base dello scambio fra i tributi da una parte e i servizi pubblici resi alla comunità dall'altra, egli si sofferma in particolare su alcuni aspetti giuridici ed economico-sociali dell'imposta. L'imposta è giusta, secondo il B., quando è stabilita dalla legittima autorità (cioè dallo Stato direttamente), motivata da una causa giusta (di interesse pubblico) e proporzionale alla capacità contributiva di ciascun cittadino. Interessanti anche le sue annotazioni sul principio della obbligatorietà e generalità dell'imposta, quantunque esse risentano con più evidenza degli intenti moralistici e delle consuete riaffermazioni ecclesiastiche in materia di esenzione fiscale. Il B., contro l'orientamento tradizionale, ritiene che l'evasione dalle imposte (anche da quelle nuove o ulteriormente inasprite) vincoli la coscienza dell'evasore e debba considerarsi quindi alla stregua di un peccato. Esonerate da ogni onere fiscale dovrebbero essere invece le persone ecclesiastiche d'ogni ordine e grado, in omaggio alla "natura spirituale" della loro attività, tranne il caso di diretta partecipazione alla pratica mercantile (ma non vi rientrerebbe la vendita dei prodotti dei benefici e delle collette). Un'ultima considerazione di rilievo viene svolta circa le imposte sui consumi, nella valutazione delle quali egli ammette, tenendo conto delle frequenti ingiustizie e sperequazioni, un certo soggettivismo da parte del contribuente, autorizzato pertanto all'evasione dall'obbligo o quanto meno a una azione di difesa o rivalsa del suo buon diritto.
Il B. ebbe a beneficiare della personale considerazione di Urbano VIII, che nel 1624 gli aveva conferito la dignità di vescovo di Utica e sei anni dopo lo nominava suffraganeo dell'arcivescovo di Praga. Il momento era particolarmente delicato per la crisi dei rapporti fra papato e Asburgo intervenuta per le cautele adottate dalla diplomazia pontificia nei riguardi del Richelieu, nonostante che da Vienna si richiedesse un'esplicita condanna dell'alleanza franco-svedese. Un tentativo di riconciliazione da parte papale fra Francia e Impero era tuttavia in corso, e il B. parve per i suoi rapporti di dimestichezza con la corte imperiale (un suo fratello era uomo di camera di Ferdinando II ed egli stesso aveva ricevuto le insegne di conte palatino e di cavaliere del Toson d'Oro), una delle persone più indicate a dare un fattivo contributo in questo senso. Il B. tuttavia non poté nemmeno raggiungere la sua nuova sede: stroncato da una malattia durante il viaggio, morì nelle vicinanze di Vienna il 26 maggio 1631.
Bibl.: G. Ghilini, Teatro d'huomini letterati, I, Venetia 1658, pp. 169 s.; L. Allacci, Apes urbanae, Romae 1663, p. 189; F. Argelati, Bibl. Script. Mediol., Mediolani 1745, I, 1, col. 188; G. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1534-1536; U. Gobbi, L'economia politica negli scrittori italiani del sec. XVI-XVII, Milano 1889, pp. 226-228; A. Bernareggi, Superiori e alunni del Seminario milanese. M. B. e altri scrittori di teologia morale, in Humilitas, II (1929), pp. 247-252; Lexikon für Theologie und Kirche, II, Freiburg 1931, col. 444; R. De Roover, L'évolution de la lettre de change, XVI-XVIII siècles, Paris 1953, pp. 177 s.; G. Barbieri, Problemi di giustizia tributariain M. B., in Economia e storia, VII (1960), pp. 173-181; C. Eubel, Hierarchia catholica..., IV, Monasterii 1935, p. 355; H. Hurter, Nomenclator literarius..., I, col. 364; III, col. 888; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., IX, coll. 713 s.