BUONVISI, Martino
Nacque a Lucca da Benedetto e da Filippa di Martino Cenami nel 1489. Avviato alla mercatura, nel 1510 era già a Bruges con il cugino Niccolò di Paolo Buonvisi: da Lucca il 18 genn. 1511 Urbano Parensi, "gubernator" della società Buonvisi di Lione, creava procuratori i due Buonvisi a riscuotere un credito della società nei confronti del mercante spagnolo Alonso de Castro. Il 10 luglio 1512 i due, forse già stabilmente trasferiti ad Anversa, denunciarono il credito di una somma dovuta da Buonaccorso Balbani a Lorenzo di Paolo Buonvisi: i Balbani, fino all'inizio del secolo, erano stati gli associati dei Buonvisi in Fiandra, ma probabilmente vigeva ormai una compagnia Buonvisi ben presto intitolata a Niccolò, entro la quale operò il B., tanto più che suo padre Benedetto aveva affidato al nipote Niccolò la direzione di tutti i traffici dei Buonvisi per quattro anni dopo lasua morte, avvenuta nel 1516. Nel 1517 - secondo l'Ehrenberg - il B. sarebbe stato ancora ad Anversa; la data sembra dubbia perché il B., dopo la morte del primogenito di Benedetto Buonvisi, Bernardino, e forse per la decisione del fratello Antonio, di due anni più anziano, di non lasciare l'Inghilterra, fu presto chiamato ad assumere a Lucca la posizione di capofamiglia succedendo al padre. Da allora non ebbe occasione di occuparsi, all'estero, dei traffici e delle attività bancarie dei Buonvisi, anche se rimase interessato alle loro vicende.
La compagnia lucchese fu anzi intitolata al suo nome, oltre che a quello del fratello Ludovico: la "Martino e Ludovico Buonvisi", un cui procuratore agiva ad Anversa il 24 nov. 1525 e che l'anno dopo pagava a Genova 920 ducati per conto di alcuni mercanti di Siviglia acquirenti di marmo, non dovrebbe appunto esser altro che l'omonima società lucchese attestata nel 1528, quando il B., "principaliter nominatus", creava procuratore Stefano di Niccolò Bernardi, e nel 1530, quando attraverso il banco Buonvisi vennero rimesse decine di migliaia di scudi al pagatore dell'esercito imperiale. Sembrano confermarlo l'esistenza, prima del 1545, di una "Ludovico e redi (sic) di Martino Buonvisi e C. di Lucca", nonché la partecipazione della vedova del B. alla compagnia "Ludovico Buonvisi, Michele Diodati e C. del banco di Lucca" apertasi nel novembre del 1545.
Attività del B. e di Ludovico Buonvisi sulla piazza di Anversa sarebbero attestate - secondo il Denucé - per il periodo fra il 1529 (dopo la morte di Niccolò Buonvisi) e il 1542, quando comunque il B. era già scomparso: non è chiaro però quale fosse l'esatta intitolazione della compagnia, se d'una società d'Anversa si trattava.
Napoletana, e non lionese, fu un'altra compagnia di cui il B. era "principaliter nominatus", la "Martino, Giovanni Buonvisi e C." attestata nel 1523; essa era divenuta nel 1529, forse per l'uscita del cugino Giovanni di Lorenzo Buonvisi, la "Martino Buonvisi, Andrea Sbarra e C.".
Ma a parte queste dirette attività bancarie e commerciali e a parte gli investimenti nelle altre aziende della famiglia, il B. si dedicò prevalentemente alla politica e la sua posizione di capo della famiglia risulta evidente anche dall'intitolazione ("Martino Buonvisi e fratelli") della "posta" con cui furono iscritti i Buonvisi, per la cifra di 594 ducati, di gran lunga la più alta di tutte (soltanto i Diodati, poi associati ai Buonvisi, si avvicinavano loro con 425 ducati), al prestito forzoso di 16.000 ducati cui furono sottoposte 150 famiglie lucchesi nel 1532.
Al B. inoltre fu affidata dai fratelli fin dal 1520 l'amministrazione delle proprietà immobiliari della famiglia "con patto avesse da tenere la casa aperta e spendere honorevolmente a spese comuni di tutti quattro; e perché si giudicava l'entrate d'essi beni stabili fusseno maggiori di quello in ciò si potesse spendere, accordorno Martino desse a domini Antonio, Lodovico e Vincentio ducati 80 d'oro larghi ogn'anno per ciascuno" (Casali, c. 202d). Oltre alla quota parte del palazzo Buonvisi, rimasto indiviso e valutato circa 10.000 ducati, toccarono al B. nella divisione del 1520 (firmò la dichiarazione di accettazione a Lucca il 16 settembre di quell'anno) beni immobili nella città e nel contado per un valore di 4.823 ducati: facevano spicco fra di essi "le posissioni di Monte San Quirici" che valevano da sole 1.017 ducati. Complessivamente la parte che era stata assegnata al B. rendeva annualmente 672 staia di grano, 281 some di vino, 81 libbre d'olio e 12 ducati.
Il B. fu ammesso al Consiglio generale della Repubblica fin dal 1517, lo stesso anno in cui venne stipulato il contratto di matrimonio con Caterina di Stefano Spada. Nel settembre del 1518 il B, venne inviato ambasciatore a Firenze insieme con Cesare de' Nobili. L'anno successivo ricoprì il suo primo anzianato per il bimestre maggio-giugno; fu poi nuovamente anziano nel 1521, 1521, 1526, 1531 e 1534 e gonfaloniere nel 1525, nel 1528 e nel 1536. Nel 1524, di nuovo con Cesare de' Nobili, e inoltre con Michele Burlamacchi, il B. fu ambasciatore d'obbedienza a Clemente VII.
I tre ambasciatori avevano anche avuto l'incarico di approfittare dell'occasione per persuadere gli Imperiali a ridurre le loro pretese circa i contributi richiesti a Lucca, ma il B. non era forse il più indicato per assolvere a una missione di questo genere, tanto che il duca di Sessa poté rispondere, senza troppi complimenti, che Lucca era "più richa che Genova o Firense", che "per tutto li nostri banchi erano li primi" e, se non bastasse, che "Martino Buonvisi solo, uno anno potria mantenere lo exercito cezareo a suoi spese" (Berengo, p. 53).
Se tale era la notorietà delle ricchezze del B. all'estero (passando per Viareggio nel settembre del 1533 l'oratore veneziano Marco Antonio Venier notò 3 navi cariche di grano siciliano "per conto de luchesi, zoè di domino Martino Buonvisi": Sanuto, LVIII, col. 739), non c'è da stupirsi che in patria egli sia stato presto chiamato a ruoli di estrema reponsabilità anche al di fuori dalle cariche tradizionali. Decisamente schierato, con tutta la sua famiglia, contro i Poggi, in occasione del moto da loro suscitato nel luglio 1522 (i Buonvisi, per conto dei Diodati, si erano assicurati una "voce" per quell'elezione del rettore della chiesa di S. Giulia che fu all'origine del conflitto), il B. fu, con il fratello Ludovico e con il suocero Stefano Spada, fra gli undici cittadini che il 23 luglio 1522 si fecero mallevadori delle taglie da pagarsi a chi avesse ucciso o fatto arrestare i poggeschi sfuggiti alla giustizia. Non solo, ma quel Filippo Calandrini che fece parte della segretissima commissione di tre membri incaricata di perseguire, ovunque fossero, i ribelli, era cognato del B. e dei suoi fratelli ed era stato sotto la tutela del loro padre Benedetto. Fra i poggeschi dichiarati ribelli troviamo invece un Ventura Buonvisi detto il Moro che, come forse rivela il soprannome, era un bastardo di Paolo o di Benedetto Buonvisi che avevano appunto due schiave "maure" di comune proprietà.
Nel settembre del 1525 i fuorusciti poggeschi giunsero a impadronirsi del castello di Lucchio, in val di Lima, dove restarono asserragliati una settimana: l'audacia dell'impresa destò in Lucca vivissime preoccupazioni e si istituirono numerose magistrature straordinarie per riconquistare il castello, per arruolare truppe, per punire i sudditi schieratisi con i poggeschi; di esse ancora una volta fece parte il Buonvisi. L'anno precedente, dopo l'ambasceria a Roma del gennaio, il B. era stato eletto, il 20 dicembre, fra i sei cittadini incaricati di trattare con il duca d'Albany; nell'aprile del 1525, insieme con otto cittadini, fra i quali Bonaventura Micheli (antico socio di Benedetto Buonvisi e di suo figlio Ludovico e da soli tre anni uscito dalla compagnia di Lione per crearne una nuova) e Urbano Parensi (già fidato "gubernator" dei Buonvisi di Lione ed ora associato al Micheli), il B. venne eletto a trattare con gli esattori imperiali; il 12 ott. 1529 fu eletto dei 18 incaricati di esaminare i rapporti della Repubblica con Carlo V.
Il B. è praticamente sempre chiamato a far parte di queste magistrature straordinarie che caratterizzarono la vita politica lucchese nel decennio che va dal moto dei Poggi alla rivolta degli Straccioni, e si trovò (ancora una volta col Parensi e col Micheli) fra i 12 eletti nel marzo 1528 per far fronte, con "larghissime e quasi discrezionali facoltà", all'aggravarsi della situazione politica e militare, contro i quali si levarono larvate accuse di tirannide. Un avvertimento che "la silenziosa e solidissima coalizione delle grandi famiglie" poste "al vertice della gerarchia politica lucchese", come scrive il Berengo, non seppe o non volle cogliere, così che nel gennaio del 1531 il tentativo di ovviare alla crisi dell'arte della seta con provvedimenti destinati a incidere sull'occupazione e sui guadagni dei tessitori determinò l'esplodere della grave rivolta degli Straccioni. E il B. (e con lui ancora Bonaventura Micheli) faceva parte della commissione di sei cittadini che aveva elaborato, per incarico del Consiglio generale, le nuove norme: con ciò anche ufficialmente, a livello di governo, i Buonvisi risultavano corresponsabili di una linea politica che comunque non avrebbe potuto non apparir dettata dagli interessi dei loro commerci e di quelli delle altre maggiori famiglie.
La strada delle trattative, prescelta dagli uomini dell'oligarchia per aver ragione degli Straccioni, sembrava poter riuscire, alla distanza, a domare il moto, e i Buonvisi, che certo non avevano interesse a sfidare gli umori della folla (e che soprattutto non potevano rischiare la paralisi del setificio senza mettere immediatamente in difficoltà le loro aziende all'estero, il che spiega - ben più della contraddittoria ipotesi del Carocci d'una solidarietà corporativa fra i Buonvisi e i tessitori da loro dipendenti - la moderazione di cui le fonti danno atto alla famiglia), si mantennero discretamente in disparte, anche se nel giugno del 1531 il B., insieme con il cugino Giovanni di Lorenzo e con altri esponenti del partito di palazzo, difese apertamente i canonici lateranensi di S. Frediano dalle minacce di espulsione levate dagli Straccioni.
Il 20 ott. 1531 il B. fu eletto in una magistratura straordinaria di 12 pacificatori che tuttavia non riuscirono a placare il fermento che regnava in città; sembra che i Buonvisi siano poi rimasti estranei al susseguente vano tentativo di alcuni rappresentanti del gruppo oligarchico di aver ragione con la forza degli Straccioni. Ma il nuovo scacco aggravava ulteriormente la posizione delle maggiori famiglie, costrette ad accettare le riforme imposte dai popolari, ed è in questo clima che nel dicembre del 1531 i "principali" della città offrirono Lucca a Carlo V sollecitando l'immediato intervento del marchese del Vasto "con l'exercito": di codesti "principali" si ignorano i nomi, ma è difficile pensare che il B. non fosse a parte del progetto; egli infatti, secondo un dispaccio dell'aprile 1532 dell'oratore senese a Firenze, era legato d'amicizia proprio con Alfonso d'Avalos, marchese del Vasto. L'indecisione di Carlo V spinse i rappresentanti dell'oligarchia a tentare una nuova soluzione di forza approfittando dei contrasti insorti fra i popolari. Così nella tenuta di Monte S. Quirico, di proprietà del B., i Buonvisi, usciti dalla città dopo un assalto al loro palazzo, organizzarono una spedizione che consentì, nella notte fra il 9 e il 10 apr. 1532, di aver ragione degli Straccioni.
Fu il B., affiancato dal fratello Ludovico e dall'altro fratello Vincenzo, rientrato precipitosamente da Lione, a guidare l'impresa e a indirizzarla alla restaurazione e al rafforzamento del potere oligarchico: "sentendo che si gridava il nome di casa Bonvisi - racconta il Civitali - riprese quelli, e disse che gridassero il nome della libertà, e così gli altri cittadini tutti dicevano gridate Libertà! Libertà! e non Bonvisi! Bonvisi!". Se vi era stato il timore che "in questa gloriosa entrata de' Buonvisi" vi fosse qualche "secreto intendimento", il B. provvide subito a sgombrare il sospetto, e al gonfaloniere Giovambattista de' Nobili che gli aveva chiesto se intendeva farsi signore, rispose, "dimostrando quasi un poco di sdegno", "io non sono qui per altro che per la libertà come uno de' vostri cittadini affettionato a questa città libera; gridate tutti libertà, libertà" (Civitali). Il racconto del Civitali, che era personalmente legato ai Buonvisi (circa vent'anni più tardi gli commissionarono l'albero della famiglia), è peraltro confermato dalle più diverse fonti, anche non lucchesi; così il commissario estense in Garfagnana, così soprattutto l'oratore veneziano a Roma: "il governo è a voluntà di Martino Buonvisi, il qual pubblice diceva voler vivere libero in patria libera. Et hanno mandati oratori a Fiorenza a dir volea viver sotto questo governo. Da quelli signori fo laudato questo" (Sanuto).
Nel clima di certo spirito repubblicaneggiante diffuso nell'Italia del primo Cinquecento di fronte al crollo della libertà e dell'indipendenza di tanti piccoli Stati, i Buonvisi poterono meritare di aprir l'elenco dei "moderni amatori della patria" steso da Ortensio Lando nei suoi Cathaloghi, anche se la loro scelta, soprattutto dopo il tentativo di offrire la città a Carlo V, appariva più che altro dettata dalla consapevolezza di non aver forze sufficienti, all'interno e all'esterno, per sostenere il peso d'una Signoria. Signori o non signori, i Buonvisi restavano per ricchezza e per vastità delle relazioni commerciali e bancarie la prima famiglia di Lucca, e non a caso un progetto dei fuorusciti lucchesi per rientrare in città nell'autunno del 1532 prevedeva, fra le prime mosse, che "si dovesse circundare casa Bonvisi e amassarli", risparmiando soltanto il B. per scambiarlo con i popolari finiti sulle galee di Andrea Doria.
Dopo la repressione del moto degli Straccioni i Buonvisi ripresero il loro posto, con accresciuto prestigio, nel sistema oligarchico ormai definitivamente rafforzato, e dettero ulteriore impulso alle loro attività economiche. Il B. tornò ancora all'anzianato e al gonfalonierato e fino alla morte conservò il suo ruolo di capo della famiglia, destinato a passare a suo fratello Ludovico, anche tutore dei figli del B., Benedetto, Bernardino, Lorenzo e Paolo.
Sposando la figlia Anna a Michele di Alessandro Diodati, il B. aveva ribadito i vincoli con la famiglia che dopo i Buonvisi aveva il maggior giro d'affari a Lucca e in Europa: l'alleanza mercantile fra Buonvisi e Diodati doveva dare origine a un sistema di aziende capace di imporre da solo la sua volontà a tutta l'economia lucchese: si rinsaldava più forte che mai il cerchio che gli Straccioni avevano invano cercato di spezzare e che i Buonvisi si erano ben guardati dal mettere a repentaglio con una anacronistica Signoria.
Il B. morì a Lucca nel 1538.
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