CENTURIONE, Martino
Figlio di Teramo, nacque a Genova in una data imprecisabile. Già nell'anno 1469 egli aveva larghi commerci con la Spagna, tanto che fu lui, insieme al banchiere Pantaleone Italiano, a fornire a Cristoforo Colombo la somma necessaria per l'allestimento di una nuova spedizione verso le Indie nel 1497. Negli affariebbe, però, alterna fortuna: nel 1501 insieme con Agostino Grimaldi trasferiva a Roma sul conto del re di Spagna 42.000 ducati destinati a sostenere spese di guerra; nel 1502 risulta tra i mercanti residenti presso la corte spagnola ai quali doveva rivolgersi l'oratore Gerolamo Di Negro per ottenere consigli circa il modo di comportarsi; nel 1506 insieme con Stefano Centurione indirizzava una procura ad alcuni agenti per verificare i libri contabili della ditta "Bartolomeo Cattaneo e Francesco Bracelli" di Lione dichiarata insolvente e della quale era creditore; nel 1514 una lettera di cambio per la fiera di Medina del Campo emessa nel 1509 a Venezia da Benedetto Pinelli e dal C. venne inviata protestata, sicché l'anno seguente G. B. Grimaldi, su mandato di Domenico Doria, poteva cedere ad altri membri della sua famiglia i diritti vantati su tale lettera; sappiamo, inoltre, che la sua azienda a Valenza fallì.
Nonostante questa sfortunata esperienza, il C. acquisì una vasta conoscenza dei problemi economici e finanziari che i Genovesi, numerosi in tutta la Spagna, dovevano affrontare nei loro difficili rapporti con la monarchia. Per tali qualità, egli venne adoperato in varie missioni presso quella corte, tanto da diventare il protagonista delle vicende diplomatiche tra Genova e la Spagna negli anni precedenti il dominio del Doria.
Nel 1520 il C. ottenne il suo primo incarico trasmessogli dall'ambasciatore G. B. Lasagna: nella sua relazione, il C. elencava i risultati della sua missione.
Egli doveva protestare contro le rappresaglie spagnole sui beni dei Genovesi in Spagna, questione che pensava si dovesse comporre con il ritorno della pace tra l'Impero asburgico e la Francia; doveva bloccare la vendita del diritto dell'1% gravante sui beni dei Genovesi nel Napoletano, diritto che veniva percepito da don Pedro de Urrea e che la figlia ed erede si accingeva a mettere al'asta in Barcellona: il C. riuscì a prendere contatti per giungere ad un accomodamento. Difese, inoltre, la Comunità di Savona dalla richiesta di rappresaglia avanzata da un sardo; si appellò contro la sentenza a favore del governatore di Minorca che aveva richiesto rappresaglie sui beni genovesi; avendo ottenuto la conferma dei privilegi concessi da Ferdinando e Isabella ai Genovesi, ne curò la pubblicazione in Spagna, ma non poté farlo a Valenza per una sollevazione popolare.
Nel 1522 l'esercito imperiale cinse d'assedio Genova, dove i Fregoso si appoggiavano alla Francia, e sottopose la città al tremendo sacco del 30-31 maggio. Genova fu costretta a una pesante dominazione che le tolse ogni autonomia in politica estera, mentre all'interno il nuovo doge, Antoniotto (II) Adorno, era una creatura imperiale priva del potere reale, nelle mani dell'ambasciatore Lope de Soria. Quasi certamente fu proprio il C. il primo inviato ufficiale della Repubblica a Carlo V dopo il sacco, col difficile compito d'opporsi alle continue vessazioni.
Il C. in questo periodo doveva trovarsi a Venezia, dove fu testimone delle trattative intavolate con quel governo per staccarlo dall'alleanza francese e che ebbero come protagonista Gerolamo Adorno, fratello minore del doge e capo del partito spagnolo a Genova.
Partito il 26 luglio 1523, dopo essere sbarcato a Barcellona il 14 agosto, il C. giunse alla corte in Burgos il 5 settembre, ottenendo udienza quattro giorni dopo.
Le istruzioni inviategli dalla Repubblica sottolineavano non solo la gratitudine per la benevolenza di Carlo verso Genova e per il suo dolore verso "il passato e grande infortunio" patito dalla città, ma anche la necessità di essere sollevati dagli obblighi finanziari richiesti. Questo aspetto economico era assai sentito e toccava al C. mettere in evidenza sia le difficili condizioni in cui versavano le casse dello Stato sia i gravosi impegni che già toccavano a Genova nella difesa dagli attacchi francesi; doveva inoltre insistere perché fossero pubblicati in Valenza gli articoli della pace, ottenendo da Carlo la conferma dei privilegi genovesi. A tale scopo gli si dava facoltà di raccogliere tali privilegi in un libro, provvedendo alla sua pubblicazione e alla sua autenticazione. Al C. spettava, dunque, il compito di difendere quegli interessi commerciali che si temeva potessero essere colpiti, nonostante la benevolenza di Carlo. Morto nel marzo 1523 Gerolamo Adorno, il C. fu incaricato di tranquillizzare l'imperatore sulla stabilità del governo di Antoniotto, ricordando altresì i meriti che la famiglia Adorno si era acquistata verso la Spagna. Nei fatti, poi, Genova fu costretta ad aderire alla lega antifrancese del 3 ag. 1523 senza essere interpellata: la proposta dell'Adorno di ridurre la quota genovese, visti gli oneri che la Repubblica già sosteneva con la sua partecipazione allo schieramento politico asburgico, non ebbe successo, nonostante l'attività instancabile del Centurione.
A Burgos il C. venne ricevuto dal gran cancelliere, Mercurino da Gattinara, e poi da Carlo, che ebbe "bone parole" verso le proposte avanzate dall'ambasciatore. Il C. fece presenti le difficoltà economiche della città, dissanguata dalle continue pretese dei ministri cesarei in Italia, presentando le proposte genovesi in un memoriale, che ottenne soltanto espressioni di riconoscimento da parte di Carlo, ma nessun effetto pratico. Il C. inoltre seguì la corte negli spostamenti per la campagna di Francia, "a ben che se mi prepari in campo una mala vita talmente incommoda e costosa che haverò ben bisogno l'aiuto di Dio il quale sa quello che fin qui ho avanzato o sminuito, ma poi che la sorte mi ha condutto nel ballo bisogna suportarlo" (lett. da Logroño, 27 sett. 1523, in Lett. min. Spagna, 1/2410).
Le vessazioni contro i Genovesi continuarono ed il C. fu costretto a lamentarsi per gli ostacoli che i ministri castigliani frapponevano al commercio genovese, trovando ascolto presso il Gattinara, che difendeva la città, comprendendone la decisiva importanza strategica e considerandola come "camera imperiale". Particolarmente gravoso era il "vestigal genoves" che colpiva le merci importate o esportate da Valenza, del quale il C. chiese la soppressione. Carlo V invitò l'ambasciatore a preparare un altro memoriale per il Consiglio segreto, ma i riconoscimenti dell'importanza di Genova e le dimostrazioni di rincrescimento per l'atteggiamento dei ministri cesarei non sortirono alcun effettò pratico. Il C. continuò tuttavia instancabile la sua opera, lasciando a corte memoriali su memoriali e riuscendo a strappare per i mercanti genovesi la concessione di libero traffico marittimo coi porti spagnoli, ma le vivaci proteste dei mercanti spagnoli fecero revocare tale privilegio, dopo innumerevoli difficoltà e discussioni. Riottenuto ancora una volta dal C., esso fu sospeso, essendosi presa a pretesto la "insolentia" di un capitano genovese. Di fronte alla progettata invasione della Provenza, il C. riferì a corte l'opinione della Repubblica che, temendo un danno irreparabile ai suoi commerci attivissimi in quella regione, opponeva continue obiezioni all'impegno militare che ad essa si richiedeva. In cambio di tale aiuto, il C. propose che a Genova fosse concessa la totale esenzione dalle imposte gravanti sul commercio del grano, ma Carlo rifiutò, almeno fino a che l'occupazione della regione non fosse stata effettuata. Il governo, inoltre, incaricò il C. di seguire attentamente le manovre dei Savonesi che miravano ad ottenere dalla corte spagnola appoggi nel loro tentativo di liberarsi dall'asservimento a Genova, al quale erano stati costretti dall'esercito imperiale. L'ambasciatore fu altresì informato, con istruzioni del 7 genn. 1.526, della decisione di devastare il porto di Savona e rovinarne il molo. Ma il C., stanco e amareggiato per le continue difficoltà che la corte opponeva alle sue richieste, chiese nel gennaio 1526 di essere richiamato, suggerendo però l'invio immediato in Spagna di una persona adatta, giacché l'orizzonte politico si presentava sempre più oscuro.Il C. ottenne lettera di congedo da Carlo il 31 agosto e riprese, probabilmente, la sua attività privata di banchiere. Già nell'ottobre del 1525 si era fatto raccomandare alla Signoria di Venezia per essere nominato console veneto a Genova, attraverso i buoni uffici dell'ambasciatore veneziano a Milano, Marc'Antonio Venier. Nel luglio del 1528 egli era al servizio diretto di Carlo V e fa inviato a Genova per procurare navi da carico e con istruzioni segrete che, secondo l'Oreste, potevano riferirsi ad una missione presso il Doria, il quale stava maturando in quel periodo la sua decisione di abbandonare il campo francese. Nel settembre fu di nuovo inviato dalla Repubblica alla corte spagnola insieme a G. B. Grimaldi, altro banchiere attivo in Spagna.
Il passaggio di Andrea Doria nell'esercito imperiale portò nel 1528 alla caduta di Genova, che l'anno precedente era stata occupata dalle truppe francesi del Trivulzio. A differenza, però, del precedente governo dell'Adorno, ora il dominio del Doria, pur nell'atteggiamento deferente verso l'Impero, si sforzò di mantenere la sua libertà e autonomia di azione. Il primo atto di questo mutato clima fu il rifiuto di accogliere a Qenova come ambasciatore Lope de Soria che negli anni precedenti aveva spadroneggiato in città e veniva considerato adesso "largamente fastidioso". I due ambasciatori ebbero appunto l'incarico di far accettare questa decisione alla corte spagnola "per non dare alteratione alcuna in la città massime in questi principi molto bisognosi della satisfatione universale"; accanto alla gratitudine per la buona volontà dimostrata da Carlo verso Genova, essi dovevano inoltre porre l'accento sul fatto che la città si era liberata da sola e, pur aderendo alla politica asburgica, dovevano insistere sulla importanza attribuita alla riacquistata libertà: significativamente, ai due ambasciatori veniva inviata, insieme con le istruzioni, copia del primo articolo del contratto concluso tra il Doria e l'imperatore, concernente appunto la libertà genovese. Il C. e il Grimaldi, inoltre, dovevano giustificare la presenza di ambasciatori genovesi presso la corte francese - altro segno del nuovo spirito di indipendenza - col fatto che essi temevano l'arresto, qualora avessero preso la via del ritorno. Inoltre, dovevano ottenere tratte di grano dalla Sicilia per far fronte a una grave carestia.
Il C. venne ricevuto in prima udienza a Toledo nel febbraio 1529, dimostrando Carlo grande cortesia e buona disposizione verso le richieste genovesi. La missione ebbe termine nel giugno dello stesso anno, quando in Spagna fu inviato come oratore Sinibaldo Fieschi. Il C. compì il viaggio di ritorno al seguito dell'imperatore che, partito da Barcellona, arrivò a Monaco ai primi di agosto: da qui il C. precedette l'esercito imperiale, proseguendo alla volta di Genova coi forieri incaricati di predisporre gli alloggiamenti. Questo incarico fu l'ultimo che ricevette dalla Repubblica: stimato a Genova come a Madrid, ottenne numerose ricompense per le sue fatiche, come un'annua pensione e alcune pingui rendite sulla dogana delle Puglie. A Genova riprese, inoltre, l'incarico di console veneziano, che rivestirà ancora nel 1533. Egli aveva sposato Argentina figlia di Benedetto Pinelli, suo socio d'affari, dalla quale ebbe Gerolamo, che nel 1508 nominò suo erede, Francesco, Agostino, Giovanni Battista ed altri figli. Il C. morì nel 1534.
Fonti e Bibl.: Arch. di St. di Genova, Arch. segr., Lettere ministri Spagna, 1/2410; Ibid., Relaz. a ministri,2/2718 (ivi il Libro sul quale Martino Centurione ambasciator de la Comunità di Genova a la Cesarea et Catholica Maestà ha registrato la instructione soa et expeditione...); Ibid., Instruct. et relat.,3/2707 C; Ibid., Litterarum, filze 1/1958, 2/1959; Ibid., Mss. Fransone, n. 652, cc. 1609 s.; n. 653, cc. 1669-1674. Alcune lettere del C. sono pubbl. da C. Bornate a corredo della Hist. vitae et gestorum per dominum magnum cancellarium (Mercurino Arborio da Gattinara), in Misc. di storia italiana, s. 3, XVII (1915), pp. 277, 293, 368, 435-42, 520. Vedi inoltre M. Sanuto, Diarii, III, Venezia 1880, coll. 1249, 1385; XL, ibid. 1894, coll. 40, 97; LI, ibid. 1898, coll. 276, 283; LXVIII, ibid. 1903, col. 586; F. Colombo, Le hist. della vita e dei fatti di C. Colombo, a cura di R. Caddeo, II, Milano 1930. p. 68 n. 2; Istruz. e relazioni degli ambasc. genovesi, a cura di R. Ciasca, I, Roma 1951, pp. 51, 77 s., 83-85, 90, 93 s., 99 s., 102 s., 105, 108, 114 s., 123, 129 s.; Genova, Civica Biblioteca Berio, G. Giscardi, Origine e fasti delle nobili famiglie di Genova (ms. sec. XVIII), II, p. 475; F. M. Accinelli, Compendio delle storie di Genova dalla sua fondazione sino all'anno 1750, I, Lipsia [ma Lucca] 1750, p. 144; A. Neri, Andrea d'Oria e la corte di Mantova, Genova 398, pp. 25, 29; G. Oreste, Genova e Andrea Doria nella fase critica del conflitto franco-asburgico, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXXII(1951), pp. 10-13, 17, 23, 26 s., 50, 54 s.; R. Ehrenberg, Le siècle des Fugger, Paria 1955, p. 158; P. Lisciandrelli, Trattati e negoziazioni politiche della Repubblica di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXXV (1960), pp. 187, 191; D. Gioffrè, Gênes et les foires de change. De Lyon à Besançon, Paris 1960, pp. 21, 35, 134 s., 164, 174; G. Guelfi Camajani, Il "Liber nobilitatis genuensis" il governo della Repubblica fino all'anno 1797, Firenze 1965, pp. 121 s.