COLLA, Martino (Giovanni Martino Felice de)
Nacque a Finale il 24 ott. 1667 da Anastasio e Giulia Maria Gandulina.
Condotto a Milano ancora fanciullo, studiò lettere e filosofia presso l'Accademia Braidense. Conclusi gli studi in legge a Pisa, si laureò in entrambi i diritti a Pavia il 18 ag. 1690. Nel 1698 venne eletto prefetto del Consiglio dei nobili per il governo dell'università. Nello stesso anno fu inviato in missione dal marchesato di Finale con altri due oratori presso il marchese di Leganés, governatore di Milano, per il contratto dei sali.
Il C. molto si prodigò anche in seguito per la causa del marchesato di Finale onde impedire la sua vendita alla Repubblica di Genova, cessione data per certa fin dal mese di luglio del 1709nonostante le reiterate proteste dei Finalini, che già dal mese di aprile dello stesso anno si erano mossi in più direzioni scrivendo al marchese di Bagnasco, per sapere le intenzioni del duca di Savoia sul loro territorio, e inviando a Carlo d'Asburgo un memoriale per indurlo ad abbandonare il progetto di venderli alla Repubblica "dopo tanti secoli che vivevano sotto la protezione dell'Augustissima casa d'Austria, ed essersi segnalati per il maggior servizio di quella, e dato in tutte le occasioni vivi contrassegni della sua gran fedeltà" (lettera di Pietro Baciadonne dalla Pietra a Filippo Lomellino del 30apr. 1709 conservata nell'Archivio di Stato di Genova, Trattati per la compera del Finale, filza XX).
Il memoriale avrebbe dovuto essere presentato dal C. a Barcellona in quanto, risiedendo a Milano, aveva trovato, dopo minuziose ricerche d'archivio, documenti comprovanti che la Repubblica di Genova non aveva adempiuto agli obblighi prefissi dal privilegio di vendita del sale nel distretto finalese rimanendo così in debito di parecchi milioni verso la Camera imperiale. Venne perciò mandato a Barcellona per dimostrare, scritti alla mano, come l'alienazione del marchesato di Finale in favore dei Genovesi costituisse una grave perdita finanziaria per la corte imperiale.
A tale missioni, risoltasi negativamente, ne seguì un'altra nel 1712 presso l'imperatore Carlo VI alla corte di Vienna. Appena la Repubblica di Genova ebbe sentore di questo viaggio, ne diede comunicazione al suo inviato Domenico Maria Spinola - che trovavasi nella capitale per trattare la vendita con i ministri dell'imperatore - affinché osservasse le mosse del C. sventando qualsiasi possibilità di successo, invero assai improbabile, in quanto i suoi tentativi venivano osteggiati anche dal duca di Savoia, pure interessato all'acquisto del Finale. Quest'ultimo perciò, quando seppe la notizia dal conte Provana (dispaccio da Vienna del 9 novembre), cercò di frenare il C., assicurandogli che i Finalini erano disposti a cedere il loro territorio alla corte di Torino (Arch. di Stato di Genova, Lettere ministri,Vienna, mazzo XLII). Al suo arrivo a Vienna, il C. ottenne l'udienza desiderata con l'aiuto del principe Eugenio e del conte Stella, ma allorché portò il discorso sul contratto dei sali l'imperatore l'interruppe e lo congedò bruscamente, pregandolo di non approfondire la questione (Ibid., Riviera di Genova, mazzo IV, n. 6: Relazione del segretario Le Grange concernente l'accompra del marchesato di Finale da Genovesi,con il stato del reddito e delle terre di detto marchesato).
Al problema del marchesato di Finale il C. dedicò numerosi scritti. Prima della sua partenza per Barcellona già aveva pubblicato un opuscolo riguardante la questione dei sali, cui ne seguirono ben presto altri. Alla Biblioteca Ambrosiana esiste una Raccolta di scritture diverse riguardanti la contesa insorta nel sec. XVIII tra l'Imperatore e la Repubblica di Genova intorno al dominio supremo del Finale contenente anche vari scritti del C. sull'argomento: Vantaggi della costruzione di un porto nel Finale, Milano 1712, a stampa; Rapporto del dottor Martino Colla oratore delFinale a sua M.C.C. del 14 ag. 1714 tendente a dimostrare i vantaggi della costruzione di un porto nel Finale, a stampa, in latino, con notevoli varianti rispetto al precedente; Rapporto a sua M.C.C. sull'aumento del prezzo dei grani. Sullo stesso problema, ma in altro volume possiamo leggere sempre del C. la Dissertatio politico-historico-iuridica de iustitia proscindenti tum ob publicam necessitatem,tum ob publicam utilitatem alienationem marchionatus Finarii factam in Serenissimam Rempublicam Genuae…, senza data né stampatore, alla quale sono legati gli scritti: Series facti,et iuris qua nullitas,et iniustitia actionis de negata vel retardata iustitia..., Genuae 1729; Veritas facti,et iuris qua excussis contrariorum pro republica fallaciis,vel eorum adductis iuribus,titulis,et documentis ostenditur Finarienses rite,et iuste conquestos coram Augustissimo Imperatore Supremoque Domino Carlo VI..., s. l. né d.; Vindiciae pro fide,et inocentia Finariensium a comite Ioanne Luca Pallavicino pessime multata quodam libello Augustissimo Caesari porrecto in causa novorum victigalium a Serenissima Republica Genuensi eis indictorum, s.l. né d. Nell'Archivio di Stato di Genova infine (Archivio segreto, mazzo XX) esiste il testo manoscritto dell'opuscolo Rappresentazione umiliata a S.M.C.C. per rimuoverla dall'alienazione del marchesato di Finale, s.d.
In questa istanza presentata all'imperatore il C. vuole dimostrare a Carlo VI quanto sia ingannevole la convinzione della inutilità del Finale per la corte imperiale. Ricorda come Filippo II di Spagna, superando gravi difficoltà, e in modo particolare l'opposizione della Repubblica di Genova, ne divenne legittimo possessore tramite la cessione da parte del marchese Andrea Sforza, ultimo dei Del Carretto. L'utilità di tale ingresso nel territorio italiano già riscontrata da Filippo II non viene ora meno, possedendo l'imperatore lo Stato di Milano, di Napoli e di Sicilia. Giudica poi irrisoria la cifra di 3.000.000 di fiorini richiesta per la cessione e fa rilevare che con tale atto non si potrebbe più verificare l'occasione della devoluzione all'Impero del Finale per l'estinguersi della linea dominante. Conclude infine invocando la benignità dell'imperatore e ascrivendo le sue parole al timore di veder pregiudicato l'interesse di Carlo VI e quello della propria patria, che da tale atto sarebbe rimasta oltremodo danneggiata, "sì perché perderebbe il nome e pregio di essere soggetta al maggior monarca della terra, sì perché passerebbe sotto la dominazione di un principe che l'ha rimirata in ogni tempo con occhio poco amorevole". Ma a nulla valsero le numerose perorazioni del C., e la vendita fu ratificata il 20 ag. 1713.
L'apprezzamento dei meriti dell'imperatore che il C. espresse più volte perorando la causa dei Finalini, non era tuttavia dettato dalla circostanza, ma derivava da quella profonda convinzione che lo spinse poi a partecipare alla battaglia giurisdizionalistica inaspritasi in Italia con la restituzione al pontefice di Comacchio (20 febbr. 1725) precedentemente occupata dall'Impero nel 1708, e con la vertenza intorno a Parma e Piacenza. A tale riguardo le scuole giuridiche di Milano e Mantova, avvicinate dall'amicizia intercorsa fra il Muratori e il conte Caroelli, e dai rapporti fra lo stesso Muratori e il C. (numerose lettere del quale si conservano nell'Archivio Muratoriano a Modena), revisore dell'edizione palatina del Rerum Italicarum Scriptores, proprio nel momento in cui stendeva la sua Apologia per la scrittura pubblicata in Milano l'anno 1707e Osservazioni critiche sopra l'istoria del dominio temporale della sede apostolica nel ducato di Parma e Piacenza pubblicata in Roma l'anno 1720 e sopra la dissertazione istorico-politica e legale della natura,e qualità delle città di Piacenza e Parma, I-III, Milano 1727, subirono fortemente l'egemonia culturale germanica, in particolare dell'accademia di Kiel impegnata nella controversia parmense, e dell'accademia di Tubinga concentrata nella polemica su Comacchio.
In virtù di questi contatti le due polemiche presentano caratteri similari e favoriscono il sorgere di un clima anticuriale in tutta la Valle padana, distinto per prerogative proprie dal contemporaneo anticurialismo piemontese e meridionale. Solo così ci si spiega la costituzione nel 1721 della Società palatina che stamperà anche gli Opera omnia Caroli Sigonii, a cura del Muratori, chiaro richiamo ad una tradizione storiografica "civile" (contro la fama di Cesare Baronio e del cardinale Bellarmino) secondo le intenzioni dell'Argelati, del Sassi e del C., animatori della Società e fautori di uno sblocco dei limiti tra storia sacra e profana, tanto da insospettire la Curia romana.
Addetto al fisco dal 1725, i meriti del C. verranno messi in particolare risalto con l'entrata in Milano di Carlo Emanuele III nel dicembre del 1733 e durante tutto il triennio dell'occupazione franco-sarda del Milanese, occupazione difficile sia per le ristrettezze finanziarie ed i continui gravissimi tributi imposti dalla corte francese, sia per l'avversione dei Milanesi alla casa Savoia, conosciuta dalla nobiltà come ferrea amministratrice dei propri beni ed assai meno permissiva, in materia di abusi pecuniari, del governo austriaco. Carlo Emanuele cercò in ogni modo di vincere tale avversione e tramite l'Ormea incaricò il C. di stendere il suo Parere circa l'indirizzo da darsi al governo (Memoria del fiscale Colla al Re e all'Ormea).
Lo scritto, del gennaio 1734, riflette le tendenze del patriziato, desideroso di mantenere cariche e privilegi, dimostrando pericolosa e impolitica la nomina di un governatore per il ricordo del negativo periodo di dominazione spagnola. Suggerisce perciò di creare una giunta secondo l'antica consuetudine e si rallegra che Carlo Emanuele sia deciso a non apportare alcun mutamento nella gerarchia esistente ricordando che come tale era stata conservata dagli antichi duchi, da Luigi XII, dagli Spagnoli e dagli Imperiali. Conclude con la saggia massima che "un principe nuovo, il quale studia conservarsi l'amore dei popoli deve procurare di non far mutazioni rispetto ai tribunali, perché essi popoli sono tenacissimi dei loro pristini istituti". Invita inoltre il re a voler alternare la sua dimora fra Torino e Milano "per restituirlo al suo pristino splendore, procurando introdurvi la popolazione e il commercio, come erano in tempo dei duchi, quando vi fiorivano per modo, che la rendevano la più ricca e la più possente città d'Italia". Come si vede l'accenno al periodo ducale è ricorrente, e diviene nella tradizione lombarda il termine di confronto obbligato, quasi una mitica età di benessere. Propone infine, per le cariche vacanti, la scelta di soggetti dotti, integerrimi e nobili, enumerando i titoli che a suo giudizio militavano a favore di ciascuno.
I suggerimenti non caddero nel vuoto in quanto Carlo Emanuele diede la presidenza del Senato al conte Carlo Castiglioni, elesse gran cancelliere il marchese Olivazzi, presidente del Magistrato ordinario il conte G. B. Trotti, di quello straordinario il conte G. Crivelli. Il C., avvocato fiscale con il Croce, fu eletto senatore. Il reggimento ordinario dello Stato venne affidato ad una giunta di governo di sette membri (i "reggenti"), scelti fra le persone cospicue del paese e già investite delle prime magistrature (marchese Olivazzi, marchese Castiglione, conte Trotti, conte Crivelli, marchese Rosales, C. e Cavalli). Ma queste sagge misure cozzavano con le difficoltà finanziarie: "Le stagioni avverse, lo sperpero delle biade, dei fieni, dei bestiami, i ladrocinii e i guasti delle truppe, sparse nelle campagne, produssero carestia, laonde rendevasi sempre più difficoltoso il pagamento della Diaria, gravosa a tal segno che gli arretrato sorpassavano i tre milioni di lire" (Cusani, Storia di Milano, p. 235).
Carlo Emanuele fu costretto a chiedere offerte di prestito, ma visto che pochissimi risposero, la Giunta, come risulta da una lettera del C. (Memoria sugli avvenimenti del 1733…, p. 677) inviata al questore Gabriele Verri, fu costretta a stabilire singole quote. Anche in questa occasione il C. fece il possibile per indurre i tassati al pagamento, esponendo però all'Ormea le obiettive difficoltà in cui i Milanesi versavano. Il ministro piemontese, lodando lo zelo del C., cercava tuttavia di consigliargli una condotta più guardinga e meno pericolosa per il suo futuro, mettendolo in guardia, da buon diplomatico, su un possibile e vicino ritorno degli Imperiali. In seguito, appena vennero aperte le trattative di pace, l'Ormea non solo offrì al C. la carica di senatore a Torino, ma lo invitò a recarsi a Vienna per giustificarsi delle accuse mossegli. Il C., aiutato dal Martana, riuscì a riabilitarsi a tal punto presso la corte di Vienna, da poter conservare la sua carica di avvocato fiscale. In seguito venne chiamato a sostituire il Trotti (eletto vicegovernatore di Parma e Piacenza) nella giunta del censimento con menzione particolarmente lusinghiera facente riferimento alla sua "dottrina, zelo e cognizione" (Archivio di Stato di Milano, Trattati, cart. 75). Nel 1739 ottenne il titolo di marchese.
Morì a Milano il 21 ag. 1743, e venne sepolto nella chiesa parrocchiale di Gorgonzola.
Opere: oltre a quelle citate e ad abbozzi e appunti manoscritti di opere più organiche: Dissertatio de dignitate,praerogativis,ac immunitatibus Regiorum,et Ducalium Secretariorum in Cancelleria Status Mediolani, Mediolani 1715; Relazione giuridica,come delegato di S.M.C.C. per la regalia delle poste di Milano, Vienna 1726; Apologia per la legge,e disposizione generale,con cui ha l'Augustissimo Imperatore Carlo VI nostro clementissimo signore riunito alla sua real corona tutti gli officii del corso pubblico della sua gloriosa monarchia,e osservazioni fiscali che mostrano l'insussistenza delle pretensioni promosse per tal unione dall'Interessati nell'officio di Corrier Maggiore dello Stato di Milano,alla Scrittura Legale ad essi prodotta innanzi all'illustrissima Giunta destinata dalla Maestà sua a decidere la loro causa in giustizia, Milano 1731; Consultatio de sacris asylis, Mediolani 1732; Consulta,con cui il Senato amparò le Suppliche dello Stato di Milano per le Fazioni,o sianospese militari,dal medesimo sostenute in tempo de' Gallo-Sardi, Milano 1734; Rappresentazione a favore dello Stato di Milano in ordine alla diaria attrafata,pretesa dal signor Duca Maresciallo di Noailles, Milano 1736.
Fonti e Bibl.: P. Verri, Memoria sugli avvenimenti del 1733 e della dominazione gallo-sarda nel Milanese scritta in forma di cronaca da mio padre, a cura di F. Cusani, in Arch. stor. lombardo, VI (1879), pp. 677-679; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediol., IV, Mediolani 1745, coll. 2095-2097; D. Carutti, Storia del regno di Carlo Emanuele, III, Torino 1859, I, pp. 69-71; F. Cusani, Storia di Milano, Milano 1863, II, pp. 228-242; IV, p. 200; L. Vischi, La Societa palatina di Milano, in Archivio stor. lombardo, VII (1880), pp. 488-489; A. Tallone, La vendita del marchesato del Finale nel 1718 e la diplomazia piemontese, in Boll. storico-bibliogr. subalpino, I (1896), 4-5, pp. 264-282; A. Annoni, Gliinizi della dominazione austriaca, in Storia di Milano, Milano 1959, XII, p. 171; S. Bertelli, Erudiz. stor. in L. A. Muratori, Napoli 1960, pp. 120 ss.