MARTINO da Gemona
MARTINO da Gemona. – Nacque verso la metà del XIV secolo a Gemona, terzo centro urbano, dopo Udine e Cividale, del principato aquileiese. Il padre, Franceschino, era di origini toscane, la madre, Carissima di Beltramino de Brugnis, di ascendenza lombarda. M. ebbe almeno cinque fratelli: Beltrame (o Bertrando), Giorgio, Lodovico, Nicolò, Tommaso, detti della Villa dal borgo a nord di Gemona dove abitavano. Più tardi la famiglia prese il cognome Franceschini o Franceschinis.
M. studiò diritto canonico a Padova. Il 30 sett. 1367, nella casa del maestro Galvano di Bettino da Bologna (Becchini), «dominus Martinus filius prudentis et sapientis viri Francischini de Florentia civis Glemone habitans Padue, studens in iure canonico» nominò un procuratore (Gloria, II, p. 69 n. 1263). Il 1° sett. 1369 era ancora studente a Padova.
La familiarità con Galvano da Bologna forse fu il preludio di un trasferimento presso lo Studio felsineo, dove M. conseguì la licenza in diritto canonico il 16 ott. 1378, davanti al priore pro tempore del collegio dei dottori canonisti, Andrea da San Girolamo (Calderini), nipote di Giovanni d’Andrea e vescovo di Ceneda. I promotori furono i dottori in decreti Lorenzo de Pinu e Gaspare Calderini. Nel 1380-81 egli è menzionato come licentiatus e in data ignota, ma forse non troppo dilazionata, conseguì il dottorato. Nel 1389 è detto decretorum doctor.
Il 9 giugno 1380 M. emise una sentenza come uditore delle cause del cardinale Filippo Carafa, legato papale e amministratore della diocesi di Bologna. In tale sentenza egli si qualifica come arcidiacono d’Aquileia, dignità che tenne fino al 1394. Il 22 ott. 1381 fu testimone a un atto nell’episcopato bolognese, insieme con Andrea da San Girolamo e il celebre giurista Giovanni da Legnano. Il 5 febbr. 1384 saldò un debito di 37 ducati a Pellegrino Zambeccari, che poi gli avrebbe mostrato apertamente la sua stima. Questi pochi nomi indicano frequentazioni illustri e un buon inserimento nell’ambiente felsineo.
M. fu anche docente dello Studio. Per il biennio 1386-87 ebbe un incarico sulla cattedra di diritto canonico (Liber sextus e Clementinae); nel 1386 presenziò a una laurea in diritto civile nella duplice veste di commissario del cardinale legato e di canonico di Bologna.
Nel 1389 uno studente trevigiano si dichiarò suo debitore quale pigionante, probabile segno che egli ospitava allievi, secondo abitudini diffuse tra i maestri e corrispondenti anche alla sua esperienza giovanile.
M. continuò il suo impegno di giusperito a Bologna. Nel 1390 era uditore del vicario generale della curia vescovile, con grande soddisfazione del Comune, che attraverso Zambeccari chiese a un anonimo cardinale che M. non fosse allontanato dalla città, date le benemerenze acquisite. Il tenore della missiva si comprende alla luce della successiva carriera di M.; egli infatti prese la strada della Curia papale: fu chierico della Camera apostolica e il 2 genn. 1393 fu creato scrittore delle lettere apostoliche da Bonifacio IX.
Proprio durante questa sua fase riemerge un filo di rapporti con la cittadina natia, Gemona; filo che evidentemente non era mai stato reciso. Nel gennaio 1394 il Comune di Gemona decise infatti di corrispondere a M. 50 ducati per i servigi resi per una causa riguardante la pieve, che si era protratta in Curia tra il 1392 e il 1393.
Va forse datata al 1393 un’ulteriore lettera di Zambeccari indirizzata a Bonifacio IX con la quale, a nome delle autorità bolognesi, si chiedeva la nomina di M. ad arcidiacono di Bologna. La proposta non lascia dubbi sulla considerazione di cui godeva M., anche se la scelta cadde su Baldassarre Cossa (il futuro Giovanni XXIII). L. Frati, editore della lettera, la datò presuntivamente al febbraio 1395, ma tale ipotesi non si concilia con un altro dato: forse per compensare la mancata nomina ad arcidiacono bolognese, il 24 genn. 1394 M. fu eletto dal papa vescovo di Ceneda (ora Vittorio Veneto), nomina accettata dal Senato della Repubblica di Venezia l’8 luglio dello stesso anno. Contestualmente il papa trasferì a Guglielmo Carbone di Osnabruck i benefici detenuti da M.: i canonicati di Aquileia, Bologna e Ravenna e l’arcidiaconato di Aquileia, il cui valore annuo si aggirava attorno ai 650 ducati.
Fra i primi a congratularsi per la promozione furono i Gemonesi. M. prese possesso dell’episcopato tramite il fratello Giorgio. Il governo della diocesi conobbe tensioni con Venezia, che dal 1388 controllava di nuovo l’area. In particolare con il nobile Perazzo Malipiero il conflitto verteva su un contratto di locazione di diritti patrimoniali e giurisdizionali concluso dal vescovo predecessore, Marco de Porris, che aveva compromesso le finanze della sede ed evidentemente disturbava la sensibilità giuridica di Martino. La locazione fu riscritta in termini più vantaggiosi, sebbene non ritenuti soddisfacenti. Rimase tuttavia aperta la questione dei diritti e dei privilegi della Chiesa di Ceneda che da tempo erano stati intaccati dai Veneziani. Nel 1398 furono inoltre stabiliti i confini tra la giurisdizione del vescovo-conte su Ceneda e la contermine podesteria veneziana di Serravalle (Bernardi, p. 192).
Al momento della nomina vescovile M. era solo diacono e forse tale ragione spiega il ritardo nella celebrazione della prima messa, avvenuta nell’ottobre 1398. Per l’occasione il Comune di Gemona, che fu avvertito della cerimonia dallo stesso M., donò al concittadino 25 ducati d’oro, mentre la Comunità di Udine offrì una coppa d’argento dorato.
M. morì all’inizio dell’aprile 1399, a Ceneda, dove gli erano vicini il fratello Beltrame e i nipoti Francesco e Pantaleone, figli del defunto fratello Nicolò. Il successore all’episcopato, Pietro Marcello, designato dal Senato di Venezia, fu provvisto dal papa il 24 apr. 1399.
Fonti e Bibl.: Cronaca bolognese di Pietro di Mattiolo, a cura di C. Ricci, Bologna 1885, pp. 25 s.; Monumenti della Università di Padova, a cura di A. Gloria, Padova 1888, I, p. 352; II, pp. 69, 79; I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese…, a cura di U. Dallari, IV, Bologna 1924, p. 12b; P. Zambeccari, Epistolario, a cura di L. Frati, Roma 1929, pp. XIII, 116 n. CII, 160-162 nn. CXLIV-CXXXXV; C. Piana, Nuove ricerche su le Università di Bologna e di Parma, Florentiae-Quaracchi 1966, pp. 4, 435-438; C. Cenci, Senato veneto. «Probae» ai benefizi eccelsiastici, in C. Cenci - C. Piana, Promozioni agli ordini sacri a Bologna…, Florentiae-Quaracchi 1968, p. 347 n. 3; G.N. Pasquali Alidosi, Li canonici della Chiesa di Bologna…, Bologna 1616, p. 23; G.G. Capodagli, Udine illustrata da molti suoi cittadini, così nelle lettere, come nelle armi famosi…, Udine 1665, pp. 466 s.; J. Bernardi, La civica aula cenedese con li suoi dipinti…, Ceneda 1845, pp. 190-192; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori… dell’Università di Bologna, Bologna 1847, p. 203 n. 2027; V. Baldissera, Uomini degni di ricordanza in Gemona, Udine 1888, pp. 10, 15; P. Paschini, Gli arcidiaconi di Aquileia, in Aquileia nostra, XXIII (1952), c. 50; Id., M. di G. vescovo di Ceneda e i suoi, in Ce fastu?, XXXIII-XXXV (1957-59), pp. 33-38; C. Piana, Nuovi documenti sull’Università di Bologna…, Bologna 1976, p. 185; G. Tomasi, La diocesi di Ceneda. Chiese e uomini dalle origini al 1586, Vittorio Veneto 1998, I, p. 110; Hierarchia catholica, I, p. 180.