MARTINO da Udine, detto Pellegrino da San Daniele
MARTINO da Udine, detto Pellegrino da San Daniele. – Nacque probabilmente nel 1467, a Udine o a San Daniele del Friuli, dal matrimonio fra il pittore e intagliatore Battista, detto Schiavone per la sua provenienza da Zagabria, e Chiara, forse originaria di San Daniele. Nel 1468 il padre abitava a Udine, dove morì nella tarda primavera del 1484.
M. è altrimenti noto come Pellegrino da San Daniele, appellativo la cui invenzione Vasari (p. 105) attribuiva a Giovanni Bellini, intendendolo come un elogio del giovane promettente considerato «nell’arte veramente raro», ma che si tende oggi a mettere in relazione con l’origine allogena dell’artista.
Se l’aneddoto vasariano si giustifica nella prospettiva di una formazione belliniana, di cui sono state indagate le possibili reminiscenze formali (Fossaluzza, 1996), la documentazione orienta verso tutt’altro ambiente. Nel 1487 M. risulta infatti presente al testamento di Domenico, allievo del pittore Antonio da Firenze, che veniva rogato nella casa di quest’ultimo sita in contrada di Sottomonte a Udine. Se qui verosimilmente condusse l’apprendistato, già nel 1488 si era trasferito nella bottega dello scultore e pittore Domenico Mioni da Tolmezzo. Questi, infatti, nel maggio 1489, comparendo al processo intentato contro Antonio da Firenze con l’accusa di sodomia, chiamava a testimoniare contro l’imputato un «quidam Martinus», domiciliato con lui da un anno e precedentemente dimorante presso lo stesso Antonio, delle cui molestie riferiva di essere stato vittima (Joppi, 1890, pp. 27 s.).
Che si tratti di M. è confermato dalla menzione del cognato Giovanni de Cramariis, pittore e miniatore che ne aveva sposato la sorella Anna, presente alla deposizione. Nella trascrizione del documento (attualmente irreperibile) pubblicata da Joppi, M. è detto avere sedici anni al momento della testimonianza; ma lo stesso estensore correggeva in nota l’età, riportandola a ventuno anni e ricavandone che il pittore era nato nel 1467. La data viene comunemente accettata in considerazione del fatto che nell’atto di due anni prima M. era ricordato con il titolo di maestro, qualifica che certamente non avrebbe potuto ottenere se a quell’epoca avesse avuto solamente quattordici o quindici anni.
Di lì a poco l’artista si sarebbe svincolato dal collega intraprendendo una duratura attività autonoma, documentata almeno a partire dal 1491, quando firmava insieme con l’orefice Giovanni Antonio De Viviani il contratto per l’affrescatura del coro della chiesa di S. Maria di Villanova presso San Daniele.
La decorazione, andata perduta nel corso del rinnovamento dell’edificio nel XVIII secolo, comprendeva l’Annunciazione, la Purificazione di Maria, la Natività di Gesù, Profeti e Dottori della Chiesa.
Tra marzo e dicembre 1493 M. ricevette pagamenti per la realizzazione di opere destinate al duomo di Gemona (gli Evangelisti nel coro, una tela per la cappella del Crocifisso di cui non si conosce il soggetto e un’altra tela raffigurante S. Tommaso), eseguite con la collaborazione dei maestri Giovanni e Antonio. In questa circostanza M. è ricordato per la prima volta come «M.° Pelegrin depentor de Udene» (Joppi, 1890, p. 29). Il 25 apr. 1494 «M.r Martinus nuncupatus Pelegrinus» (ibid., p. 31) perfezionava, con la fideiussione di Giovanni de Cramariis, un accordo con il Comune di Osoppo relativo all’esecuzione di una pala per la chiesa parrocchiale, compiuta entro il novembre 1495.
La tela, raffigurante la Madonna col Bambino in trono tra i ss. Pietro, Colomba, Giovanni Battista, Ermagora, Maddalena, Giacomo, Stefano, Sebastiano e cinque angeli musicanti, costituisce la più antica testimonianza dell’arte di Martino. Il dipinto inscena una parata di santi disposti a emiciclo contro un’esedra riccamente adornata, rivelando la personalità di un pittore originale ma ancora in formazione, in grado di recepire le suggestioni tratte da grandi maestri quali Giovanni Bellini e Andrea Mantegna (si vedano alcune figure ispirate alla pale di S. Giobbe e al trittico dei Frari del primo e alla pala di S. Zeno del secondo), ma incapace di sintetizzarle in un insieme organico e di orchestrarle con ritmo largo. Le stesse volumetrie appaiono costruite in modo incerto, celate sotto il panneggio affilato; e la concezione spaziale unitaria dei modelli cede a un effetto teatrale giocato anche sul punto di vista fortemente ribassato. Nel complesso si ravvisa un’attitudine eclettica, insolita per il coevo ambiente friulano, che pone il problema della formazione di M., apparentemente aggiornato sulla cultura figurativa non solo veneta ma anche ferrarese e lombarda, forse filtrata attraverso l’esperienza del cognato Giovanni de Cramariis, già attivo a Siena negli anni Settanta e sensibile a influssi milanesi.
Nel giugno 1495 M. stipulò un contratto con la Confraternita dei Fabbri per la realizzazione di una pala raffigurante i Ss. Giovanni, Sebastiano ed Eligio, da collocarsi sull’altar maggiore della chiesa udinese di S. Giovanni di Piazza, prendendo a modello la già realizzata pala per l’altare della Confraternita del Corpus Domini in duomo (entrambe le opere sono andate perdute). Nel dicembre dello stesso anno richiese al Comune il primo posto vacante di custode a una delle porte cittadine, promettendo in cambio di dipingere gli stemmi, i leoni di S. Marco e i tavolati per i palii. Tra gennaio e marzo del 1497 sposò Elena di Daniele Portonieri da San Daniele (in ottobre entrambi avrebbero dettato testamento alla vigilia di un viaggio per Roma, probabilmente mai intrapreso), che, anche grazie alle pressioni esercitate dal patriarca di Aquileia Nicolò Donà contro la riluttanza paterna, gli portò in dote i cospicui lasciti predisposti da uno zio sacerdote. Questa benevolenza da parte dell’autorità ecclesiastica si sarebbe concretizzata in un rapporto di committenza rinsaldato con l’avvento di Domenico Grimani, in occasione della cui visita a San Daniele M. fu incaricato di realizzare varie pitture, incluso lo stemma effigiato su una delle torri, per le quali l’artista venne pagato nell’estate 1498.
Di seguito a questi pagamenti, nel registro delle spese del Comune è annotata una somma versata a M. per la sua partecipazione con altri due cittadini a una delegazione presso il patriarca. Grimani, per il tramite del suo vicario, avrebbe ancora interceduto in favore del pittore perché gli venissero pagati gli arretrati da parte della Confraternita di S. Antonio Abate in San Daniele (ottobre 1498) e della menzionata Confraternita udinese del Corpus Domini (4 marzo 1499). Il primo di questi due compensi si riferisce alla fase più antica della decorazione eseguita da M. nella chiesa di S. Antonio Abate a San Daniele, alla quale vanno ricondotti gli affreschi con le figure di Cristo e degli Evangelisti tra Angeli nelle vele della volta della seconda campata del coro e dieci Sante ritratte nel sottarco. L’artista raffigurò inoltre un Profeta e Santi attorno alla finestra della parete destra sottostante, inscrivendo la firma e la data 1498 nello strombo.
Nel maggio del 1500 M. fornì al Comune di Udine il disegno per la pala raffigurante S. Giuseppe col Bambino e un giovane pellegrino (nella predella Adorazione dei pastori e Fuga in Egitto), tuttora conservata nel duomo presso l’altare di S. Giuseppe.
L’opera, non ancora terminata nel febbraio del 1501, venne licenziata probabilmente a ridosso del 12 luglio di quell’anno, giorno in cui il decano del capitolo inviava al patriarca una lettera in cui lodava il dipinto. Nel frattempo, il 28 giugno, il pittore aveva preso accordi con la badessa del convento di S. Maria in Valle a Cividale per l’esecuzione di un polittico raffigurante S. Giovanni Battista nel comparto centrale, i santi Benedetto e Giovanni Evangelista in quelli laterali (Cividale, Museo archeologico nazionale) e l’Assunta nella cimasa (perduta), da collocarsi sull’altare maggiore della chiesa. Il lavoro venne ultimato forse già entro l’anno; mentre alcuni versamenti al pittore e ai suoi garzoni nel 1503 potrebbero riferirsi all’effettiva messa in opera delle pitture. Questo gruppo di opere rivela il grado di maturazione dell’artista, che consolida un linguaggio sempre più sorvegliato e bilanciato anche nella costruzione spaziale. Caratteristica costante è il punto di vista ribassato, che nella pala di S. Giuseppe si concilia con la prospettiva eccentrica ispirata forse alla pala della Madonna dell’Orto di Cima da Conegliano e alla celebre incisione eseguita nel 1481 da Bernardo Prevedari su disegno di Donato Bramante. L’impaginazione si avvale di una calibrata contrapposizione di pieni e vuoti e su una misurata distribuzione degli elementi formali, incentrandosi sulla presenza imponente ma volumetricamente coerente dei personaggi. A questa fase dell’artista sono generalmente ricondotte due figure di S. Giovanni Battista e S. Pietro, effigiate su un verso di due portelle conservate al Museo di belle arti di Budapest (sull’altro verso compaiono la Vergine Annunciata e l’Angelo annunciante, apparentemente di altra mano).
A completamento di questa congiuntura densa di importanti commissioni, che culminò nell’elezione del pittore a consigliere comunale di Udine nel 1501, si colloca l’episodio relativo al polittico per l’altare maggiore della basilica patriarcale di Aquileia, che suggellò le buone relazioni fra l’artista e l’istituzione ecclesiastica.
I contratti per la costruzione (febbraio 1500) e l’indoratura (ottobre 1502) della struttura lignea permettono di seguire le fasi di esecuzione delle pitture, certamente concluse entro l’aprile 1503, quando vennero stimate. Il complesso dispositivo, collocato al di sopra della mensa romanica, completava il riassetto rinascimentale inaugurato nel 1495 con la nuova struttura dell’altare (dopo vari spostamenti nel corso del tempo, nel 2005 l’opera è stata ricollocata al centro della cappella di S. Pietro nell’abside di destra a seguito di un elaborato restauro). L’effetto scenografico, funzionale all’esaltazione del fulcro visivo e liturgico della chiesa, era accentuato da uno speciale meccanismo di scorrimento verticale che permetteva occasionalmente di sollevare la tavola centrale e nasconderla dietro la cimasa per scoprire la duecentesca statua policroma della Virgo Lactans. L’iconografia, che allinea nel registro inferiore i Ss. Ermagora e Fortunato nella tavola di sinistra, Pietro e Paolo in quella centrale, Giorgio e Girolamo in quella di destra (sul cui retro l’artista appose la firma «Peregrinus Pictor Utinensis» e la data 1503) e nella cimasa Cristo Risorto affiancato da Isaia e Davide, è stata interpretata in chiave di celebrazione della missione ecclesiale, culminante nella redenzione offerta dal sacrificio di Cristo (Francescutti - Buttazzoni) e incarnata dal protovescovo Ermagora, la cui investitura da parte di Pietro è illustrata nella predella a sancire l’autorità spirituale e temporale del patriarcato aquileiese (S. Pietro invia s. Marco ad Aquileia; Predica di s. Ermagora, S. Pietro consacra s. Ermagora vescovo di Aquileia). Il polittico porta a compimento gli sviluppi di questa prima fase matura dell’artista, riproponendo la tipologia e le pose delle figure della pala di S. Giuseppe, ancora fortemente scorciate dal basso e inserite entro una concezione spaziale che unifica i tre pannelli affidandosi interamente alla modulazione di spazi aperti e architetture di sapore bramantesco. Il ductus si fa morbido e meno angoloso, traendo vantaggio da una sapiente combinazione di luce e colore in funzione dell’impaginazione generale.
Documentato a Udine nell’ottobre del 1503, M. ricompare a Ferrara nel gennaio del 1504. Le circostanze che lo condussero al servizio della corte estense, nei cui registri di spese è registrato il suo nome, non sono del tutto chiare. Nel corso dell’anno, M. realizzò quadri da cavalletto per il duca Ercole I e il suo successore Alfonso, lavorando anche per il cardinale Ippolito. La sua presenza in Emilia è intervallata da saltuari ritorni in patria: nel luglio 1505 firmava il contratto per un Crocifisso destinato alla sacrestia del duomo di Spilimbergo, e nel novembre dello stesso anno risiedeva a Ferrara con il figlio Antonio. Nel 1506 e per buona parte dell’anno successivo è documentato in Friuli, da dove si adoperava per ottenere una raccomandazione dal cardinale Ippolito presso il patriarca Grimani al fine di ottenere tre canonicati in favore del figlio.
Forse a questo periodo risalgono la Sacra Famiglia con s. Elisabetta d’Ungheria, proveniente dalla chiesa della Beata Vergine delle Grazie di Gemona (ora in palazzo Elti), e la Sacra Famiglia di Strasburgo (Musée des beaux-arts). Inizialmente datate al 1498-99 da Tempestini (1977) sono state poi fatte avanzare di qualche anno dallo stesso (in Pellegrino da San Daniele, 1999) in ragione di suggestioni ferraresi ravvisate nel modellato e nella cromia luminosa e di una semplificazione complessiva dell’impianto spaziale, che supera il calligrafismo degli esordi e permette alle figure di risaltare contro il fondale architettonico (la citazione dall’incisione di Prevedari è ripetuta nella tela di Strasburgo). Al 1506 è inoltre riferita da una fonte seicentesca una Madonna col Bambino (San Daniele, chiesa della Madonna di Strada), originariamente parte di un affresco più grande che comprendeva i ss. Giuseppe e Giovanni Battista.
Nell’ottobre 1507 M. rientrò a Ferrara, dove è ancora documentato nel mese seguente.
La sua attività per la corte ebbe un culmine nel 1508, quando affrescò con Bernardino Fiorini le logge del palazzo vescovile, realizzò la scena per la rappresentazione della Cassaria di L. Ariosto (uno dei primi esempi di scenografia prospettica noti), diresse la decorazione del teatro estense e dipinse l’ancona di S. Giacomo per Alfonso I. Sebbene la valutazione di queste opere sia preclusa dalla loro totale perdita, la copiosa produzione documentata testimonia dell’accresciuta importanza del pittore presso la corte estense, confermata dal fatto che nei due anni successivi egli riceveva uno stipendio annuale di 110 ducati. Inoltre, nel 1510 Sigismondo d’Este faceva consegnare a M. del colore azzurro e quattro fogli di carta da disegno; mentre altre spese sono registrate a nome del pittore nel 1511 per due quadri ordinati dal duca.
Tornato in Friuli, nel giugno 1512 M. stimò un’ancona di Giovanni Martini per la Comunità di Lauzacco e in ottobre venne pagato dai deputati della città di Udine per il disegno della composizione a chiaroscuro (raffigurante la Fede, la Giustizia e due volte la Fama) destinata a ornare il monumento al luogotenente veneto Andrea Trevisan sotto la loggia comunale, distrutto nell’incendio del 1876. In novembre fu nuovamente a Ferrara, dove è documentato nel gennaio 1513 e da dove venne definitivamente licenziato nel giugno successivo.
Forse si colloca in questa fase il trittico con S. Giovanni Battista, s. Giuseppe col Bambino e s. Pietro (Udine, Museo civico), che cita nella figura di Pietro l’Aristotele della Scuola di Atene di Raffaello e ricalca il s. Giuseppe della pala del 1501. Inoltre, un epigramma latino del poeta Francesco Pittiani di San Daniele informa che un crocifisso dipinto da M. fu donato a Giulio II in un momento non specificato del suo pontificato.
Conclusi gli impegni ferraresi, si aprì una nuova stagione lavorativa per il pittore, che il 26 luglio 1513 firmò l’accordo per la realizzazione di una seconda campagna di affreschi nella chiesa di S. Antonio Abate a San Daniele.
La decorazione, distribuita tra coro, presbiterio e navata, comprende effigi di profeti, evangelisti e dottori della Chiesa, fatti e personaggi biblici, episodi cristologici, storie di s. Antonio Abate e s. Antonio da Padova, figure di altri santi. Dall’analisi formale e materiale si evince che il lavoro si svolse in due fasi, la prima conclusa forse nel 1514, la seconda situabile a ridosso della stima delle pitture eseguita nel dicembre 1522 (Bonelli - Fabiani). In questa prima fase sarebbero da includersi la Crocifissione sulla parete absidale, Dottori della Chiesa e Profeti sulle volte, nonché il Miracolo del fanciullo annegato su una parete della navata. Vi si possono riscontrare i segni della trasformazione dell’arte di M., soprattutto a confronto col calligrafismo minuzioso e secco degli affreschi del 1498-99. Tuttavia il modellato risulta ancora nitido e rilevato; la stesura, compatta e caratterizzata da un marcato chiaroscuro e da un drappeggio greve. Molto diversi sono invece gli esiti delle restanti pitture, che proprio in virtù dell’evidente scarto linguistico vengono ritenute successive. M. sembra qui aggiornato sulle novità dello sfumato veneziano e attratto dal plasticismo di Giovanni Antonio de Sacchis detto il Pordenone, inserendosi in un clima artistico alimentato da modelli giorgioneschi e palmeschi, condiviso anche da artisti quali Gerolamo Romanino e Giovanni Luteri detto Dosso Dossi. L’apparente contatto instaurato con la pittura del più giovane ma già affermato Pordenone costituisce un aspetto non ancora chiarito dell’arte di Martino. Del resto, in assenza di prove consistenti, le tracce di una diretta relazione fra i due si riducono al contratto di allogazione della pala della Trinità nel duomo di San Daniele, firmata dal Pordenone nel 1535 alla presenza, tra gli altri, di Martino. Possibili interventi di collaboratori in questo ciclo e in altre opere coeve sono stati individuati a più riprese dalla critica. In particolare ricorrono i nomi, già annoverati da Vasari nella cerchia di M., di Gaspare Negro, Giovanni Greco, Luca Monverde e Sebastiano Florigerio.
Negli intervalli tra i due periodi di lavorazione nel cantiere sandanielese sono documentati numerosi contratti per dipinti, in buona parte perduti. Assai rovinata è la tavola raffigurante la Madonna col Bambino in trono fra i ss. Rocco e Sebastiano (Udine, palazzo arcivescovile), destinata alla chiesa di S. Rocco fuori Porta Poscolle a Udine, per la quale M. prendeva accordi nel novembre 1514. Nel luglio 1519 gli venne commissionata dalla Confraternita dei calzolai di Udine un’Annunciazione (Udine, Museo civico, in deposito dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia), portata a termine entro il dicembre successivo.
L’opera, firmata e siglata con due caratteristiche «P» intrecciate, presenta affinità compositive con l’Annunciazione affrescata da M. sull’arco trionfale della chiesa di S. Antonio Abate a San Daniele (l’angelo e il Padre Eterno ricalcano lo stesso disegno), e nell’impaginazione dimostra persistenti legami con la cultura belliniana e carpaccesca, combinati con un’intensa resa cromatica.
Nel settembre dello stesso anno M. consegnò il disegno per le portelle dell’organo in cornu Epistolae del duomo di Udine, raffiguranti all’interno i Dottori della Chiesa e all’esterno S. Pietro consegna il pastorale a s. Ermagora (Udine, Museo civico).
Ultimate nel 1521, le tele sono improntate a una marcata monumentalità che indaga il rapporto tra volumi corporei e architettonici, facendo emergere le figure dall’ombra in cui penetrano i colonnati colti in fuga prospettica. La peculiare sensibilità verso la prospettiva e gli effetti scenici manifestata da M. nell’arco della sua produzione approda qui a una sequenza di invasi spaziali scavati in profondità, che sembra riprendere ancora i moduli del Pordenone.
Alla medesima temperie formale va ricondotto il polittico che nel 1525 M. si offrì di eseguire, concludendolo soltanto nel 1528 dopo una sospensione del lavoro, per la chiesa di S. Maria dei Battuti di Cividale (Museo archeologico nazionale).
Smembrato al tempo delle soppressioni napoleoniche e poi ricollocato entro una cornice ottocentesca, raffigura al centro la Madonna col Bambino, le ss. Tecla, Eufemia, Erasma, Dorotea, i ss. Giovanni Battista, Donato e un angelo musicante, ai due lati S. Sebastiano e S. Michele, e putti reggicortina negli scomparti laterali superiori (perduta è la cimasa col Padre Eterno). L’opera registra un’ulteriore evoluzione del linguaggio pittorico di M., sempre più dominato da figure plastiche robuste e da inquadramenti architettonici monumentali. L’accentuazione espressiva dei due santi laterali riconduce a plausibili contatti col Pordenone, mentre la struttura piramidale centrale risente di alcune composizioni di Palma il Vecchio (Iacopo Negretti). Tra i dipinti attribuiti a questa stagione artistica, sono ancora da segnalare due rovinati affreschi raffiguranti rispettivamente la Crocifissione (Concordia Sagittaria, cattedrale) e la Madonna col Bambino tra s. Giuseppe e un santo vescovo (Udine, Museo civico) e una tela con S. Marco tra la Giustizia e la Prudenza (Venezia, Ca’ Rezzonico, Pinacoteca Egidio Martini).
Fra terzo e quinto decennio una fitta documentazione attesta con continuità la presenza di M. tra Udine e San Daniele.
Tuttavia le notizie fanno riferimento principalmente a questioni private o a opere non più reperibili (affreschi per la chiesa dei Ss. Giusto e Biagio a Lestizza nel 1524, una pala con la Resurrezione e i Padri della Chiesa nel 1527, modelli di una pala per S. Stefano di Gradisca nel 1534, una pittura per S. Andrea a Paderno nel 1540, dipinti per la chiesa di S. Pietro a Udine nel 1542-43, la pala dell’altare maggiore della parrocchiale di Prata nel 1544, stemmi del palio di San Daniele negli anni 1532, 1538 e 1543), testificando anche una vasta produzione di gonfaloni per chiese del Friuli e della Carnia, oltre alla decorazione di statue e a varie stime di pitture.
Il lungo domicilio in patria venne interrotto da un pellegrinaggio compiuto ad Assisi nel 1534, di cui lo stesso M. lasciava traccia firmandosi sulla parete esterna della Porziuncola («Hic fuit Pelegr(inus) / pitore et la sua dona / de Udine d(el) Friulle / pp»).
La sigla con due «P» intrecciate, già adottata nella pala dei Calzolai e da alcuni sciolta in «pro pietate» come attestato di devozione, ha aperto un dibattito attributivo intorno alla paternità di un gruppo di incisioni marcate con identico monogramma, comprendente vari stati di un Trionfo della Luna, una Pietà, una Caccia al leone, S. Cristoforo, David, S. Girolamo e tre variazioni di Figure stereometriche. Pur restando ancora aperta la questione intorno all’identità del monogrammista, l’inerenza alla produzione di M. sembra essere ormai accettata sulla base di convincenti confronti tipologici e iconografici anche da chi inizialmente la rigettava.
Nel febbraio del 1547 M. si impegnò ad affrescare la sala conciliare dell’ospedale di S. Maria della Misericordia di Udine, in cambio di un piccolo compenso e di vitto e alloggio per sé e per un suo figlio. Completate entro l’agosto successivo, sono le ultime pitture realizzate da M., che morì a Udine il 17 dic. 1547.
La moglie Elena nel 1555 dettò testamento qualificandosi come vedova di M., pittore sepolto nel duomo di Udine.
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