MARTINO da Verona
MARTINO da Verona. – Non si conosce la data di nascita di M., figlio di Alberto e abitante a Verona nella contrada di Ponte della Pietra, documentato negli estimi e in alcuni atti notarili compresi fra il 1408 e il 1412. Viene comunemente identificato con l’autore che firmava («Opus Martini») gli affreschi parietali disposti attorno al pulpito della chiesa cittadina di S. Fermo, realizzato dallo scultore Antonio da Mestre nel 1396 su commissione del giurista modenese Barnaba Morano. Si ritiene che M. sia identificabile con il «Magistrum Martinum pictorem» che nell’ottobre del 1407 fu scelto dal Comune per accompagnare due ingegneri incaricati dalla Serenissima di seguire un progetto di chiusura del Mincio, con il preciso compito di disegnare i luoghi perlustrati (Simeoni, p. 235). La scarna documentazione superstite concerne principalmente la vita privata dell’artista, contribuendo limitatamente alla conoscenza di quella professionale.
Dell’acquisto di metà di una casa, effettuato dal pittore nel novembre 1407, si viene a conoscenza tramite lo strumento di rivendita sottoscritto nel 1415 dalla vedova Giacoma del fu Zenone da Clocego, sorella del pittore Boninsegna (Brenzoni, p. 198). M. compare poi come testimone in due atti rogati rispettivamente il 1° maggio e il 25 giugno 1408 e in un contratto dotale del 21 sett. 1409 (ibid., pp. 197 s.); mentre l’estimo di quest’ultimo anno gli attribuisce 1 lira e 6 soldi (Gerola, 1909-10, p. 414 n. 2).
Solo nel 1411, nel testamento del menzionato Barnaba Morano, viene fatto diretto riferimento alla sua attività pittorica, dal momento che il testatore lascia 5 ducati a «maestro Martino pittore» a saldo di lavori compiuti (Simeoni, pp. 232-235, doc. II). Il pagamento viene comunemente messo in relazione non con la decorazione del pulpito di S. Fermo, bensì con quella della tomba dello stesso Barnaba Morano ubicata nella medesima chiesa.
La ricostruzione dell’attività artistica di M. si fonda principalmente sugli affreschi in S. Fermo, che forniscono anche le principali coordinate cronologiche. A partire da questi due complessi la critica è giunta concordemente a comporre per via attributiva un catalogo organico, sebbene sia difficile ancorarlo a precise datazioni.
I giudizi, tuttavia, sono difformi e contrastanti: in lui si tende a vedere, a seconda delle opinioni espresse, un allievo di Altichiero, dotato di caratteri originali e sensibile alle primizie quattrocentesche, oppure un suo seguace che ne allenta progressivamente la tensione formale, talvolta addirittura un grossolano imitatore che apprende la lezione del maestro per vie secondarie e la svilisce. Inquadrato nello svolgimento della pittura veronese fra i due secoli, M. viene complessivamente considerato una figura di transizione che, in una congiuntura scarsamente documentata e priva di autori di spicco, traghetta la cultura figurativa locale nel passaggio dall’affermazione del linguaggio narrativo e realistico di Altichiero alla diffusione di modi tipici del gotico internazionale, introdotti in città da Stefano da Verona. Ruolo, questo, assegnatogli tanto da chi ne ha valorizzato le doti artistiche (Van Marle, Sandberg-Vavalà, Flores D’Arcais, Pietropoli) quanto da coloro che ne hanno tracciato un profilo sostanzialmente negativo (Fiocco, Magagnato, Cuppini, Lucco, Moench Scherer).
L’apparato decorativo affrescato sulla parete attorno al pulpito di S. Fermo si articola in due fasce verticali disposte simmetricamente ai lati del monumento scultoreo, raffiguranti Il roveto ardente ed Elia sul carro di fuoco nei rispettivi riquadri sommitali e Dottori e Padri della Chiesa in quelli sottostanti; mentre un terzo fregio più a destra contiene due Profeti a figura intera e altri dieci a mezzo busto con cartigli disposti entro cornici quadrilobe, con l’aggiunta di piccole teste di personaggi illustri. Alla mano di M. si ascrivono anche le pitture che ornano il pulpito: la Crocifissione sul fondo della nicchia, il Padre Eterno con angeli, i ss. Antonio Abate e Caterina nel pinnacolo centrale del baldacchino, Santi vescovi e stemmi nei timpani e infine due busti di un santo vescovo e di una santa monaca nelle cuspidi.
A parte il confronto fra la serie di Dottori raffigurati all’interno di studioli e il ciclo di domenicani illustri di Tomaso da Modena (Tomaso Barisini) nel chiostro di S. Nicolò a Treviso, per lo più ricondotto a tangenze superficiali e fortuite, la decorazione presenta evidenti consonanze con la pittura di Altichiero, soprattutto nella resa espressiva dei volti e nel chiaroscuro che rileva le vesti. M. cerca però nuovi accordi cromatici e drappeggia le figure con pieghe lunghe e acute che scendono ai piedi formando ventagli piatti.
Analoghe caratteristiche sono rintracciabili negli affreschi della tomba di Barnaba Morano, ritenuti più tardi. Del complesso, spostato nella cappella Brenzoni nel 1814, si sono conservati un frammentario Giudizio universale, l’Incontro dei tre re con le tre tombe scoperchiate, un S. Bartolomeo e un S. Geminiano (sono andati perduti il Cristo in gloria e i dodici Apostoli già nella lunetta e nel sottarco che sormontavano il sepolcro).
Ricorrono qui le tipologie fisionomiche e i panneggi del ciclo precedente, che compongono un lessico formale evidentemente consolidato e semplificato da riduzioni schematiche; mentre il colore appare decisamente schiarito e declinato secondo nuove assonanze.
Alla prestigiosa committenza di Barnaba Morano, facente parte dell’élite politica e culturale veronese, va probabilmente aggiunta anche quella dell’influente famiglia Cavalli, nella cui cappella in S. Anastasia si riconosce la mano di M. in buona parte della decorazione. A lui viene attribuita la Madonna col Bambino, donatore e angeli musicanti affrescata sulla lunetta della tomba pensile di Federico Cavalli, eletto capitano della città dai rivoltosi che nel 1390 si sollevarono contro i Visconti, recante un’iscrizione la cui data viene letta «1392» o «1397».
L’incertezza relativa all’interpretazione dell’epigrafe riflette l’esitazione della critica nel determinare la cronologia delle opere di M., che spesso contengono – come in questo caso – elementi di matrice altichieresca, soprattutto nel modellato, combinati con l’intonazione delicata dei colori e l’eleganza distaccata delle figure, soprattutto quelle snelle degli angeli assiepati intorno al gruppo centrale. Nell’immagine si fanno strada anche interessanti novità iconografiche, come l’angelo che presenta il donatore o la variazione sul tema della Madonna dell’Umiltà, seduta su un cuscino in un prato fiorito, non allattante.
Maggiormente incline al racconto si rivela il pittore nel Miracolo di s. Eligio raffigurato sull’abside, che spicca per l’ambientazione quotidiana. Non concorde è l’attribuzione del S. Cristoforo sulla lesena di destra, mentre tipiche di M. sono le fisionomie del S. Valentino e del S. Bartolomeo all’entrata della cappella, che ricordano i volti dei Profeti nel pulpito di S. Fermo.
Uno specifico e continuativo legame di committenza con le famiglie aventi diritto di sepoltura nella medesima chiesa costituirebbe un fattore di grande rilevanza nell’attività di M. qualora trovasse conferma l’attribuzione, sostenuta in diverse sedi critiche, degli affreschi nella cappella Pellegrini (Madonna col Bambino, i ss. Zeno, Giorgio, Caterina, Domenico, Antonio Abate, tre donatori della famiglia Bevilacqua e angeli musicanti, nella lunetta della tomba Bevilacqua-Pellegrini; Madonna col Bambino, i ss. Tommaso e Giovanni Battista e donatore, nella lunetta della tomba di Tommaso Pellegrini; S. Benedetto e S. Antonio Abate nell’intradosso) e di quelli sulla tomba della cappella Salerni (Santi).
Moduli analoghi si ritrovano in affreschi votivi conservati nelle chiese di S. Giovanni in Valle (Madonna della Misericordia con quattro angeli), S. Zeno (Madonna col Bambino, parete della scalinata destra), S. Stefano (Madonna in trono col Bambino entro mandorla, i ss. Giovanni Battista e Giacomo) e nella chiesa parrocchiale di Parona, nelle vicinanze di Verona (Madonna col Bambino tra i ss. Dionigi e Pietro, tomba di Bonaventura Luperio).
Oltre a queste composizioni incentrate sulla reiterazione del gruppo della Vergine col Bambino, il repertorio di M. si dispiega anche in impaginazioni di più ampio respiro, tuttavia risolte in un soffocante ma regolato assembramento di figure che riempiono interamente la superficie pittorica annullando l’effetto spaziale delle architetture traforate. Un gruppo unitario è costituito da tre affreschi aventi per soggetto l’Annunciazione, raffigurati sull’arco trionfale di S. Zeno e della Ss. Trinità e nel transetto sinistro di S. Stefano. Quest’ultimo, sormontato da un’Incoronazione della Vergine, rappresenta l’opera di M. forse più apprezzata dalla critica, per l’equilibrio compositivo e la sobrietà dei mezzi espressivi. Il senso di horror vacui che anima questi brani contraddistingue anche il frammentario Giudizio universale nel coro di S. Eufemia, in cui gli eletti prendono posto accalcandosi in schiere ordinate.
Ben più essenziale è la struttura compositiva del rovinato affresco che inscena forse la Messa di s. Gregorio (S. Zeno, cripta), recante un tempo la firma «Martinus», ormai illeggibile, in cui risaltano i volumi del celebrante rivolto verso l’altare al centro e dei due santi che lo affiancano. Nella stessa chiesa vanno dubitativamente riferiti a M. la Crocifissione e i Ss. Antonio, Pietro, Paolo e Benedetto negli spicchi dell’abside. Meno certa è invece la partecipazione, insieme con Battista da Vicenza, nel cantiere della cappella Maltraversi nella chiesa di S. Salvatore a Montecchia di Crosara, parte della cui decorazione gli è stata talvolta attribuita (Pietropoli, pp. 132-134). Di sua mano potrebbe essere stata una Madonna col Bambino firmata «Martinus» e datata 1400, conservata fino al 1788 in S. Barbara a Rovereto e poi andata distrutta.
A fronte di una copiosa attività di frescante, la produzione di M. su tavola è poco nota.
Vi si includono generalmente otto pannelli con Storie della Vergine e dell’infanzia di Cristo e una Madonna col Bambino (Princeton, University Art Gallery), un trittico raffigurante la Madonna della Misericordia, S. Paolo e S. Pietro (Verona, Banca popolare), una Natività (Strasburgo, Musée des beaux-arts) e quattro pannelli di polittico con Storie di s. Eligio (due di ubicazione ignota, gli altri conservati nella John G. Johnson Collection del Museum of art di Filadelfia e all’Ashmolean Museum di Oxford).
Infine, da più parti sono stati rilevati motivi di contatto con la miniatura lombarda, soprattutto nel ductus netto e tagliente, tanto che gli sono state ascritte le decorazioni dei corali del duomo di Salò (ora nella Biblioteca dell’Ateneo: Mellini) ed è stata accostata ai suoi modi il frontespizio della Matricola dei notai veronesi del 1409 (Magagnato; Moench Scherer).
Il 21 giugno 1412 veniva registrata una scrittura legale nella sua abitazione (Brenzoni, p. 197). Dettò le ultime volontà il successivo 27 settembre: all’atto era presente il pittore Jacopo del fu Silvestro, noto come Jacopo da Verona, che nella circostanza estinse per metà un debito di 60 ducati contratto col testatore. Morì entro il successivo 20 ottobre, quando venne redatto l’inventario dei suoi beni alla presenza della vedova.
Come solo bene immobile risultava la casa sita in contrada Ponte della Pietra; fra i beni mobili erano annoverate un’ancona, pietre per tritare i colori e pietre da scolpire per cornici, fregi e cofani (Simeoni, p. 236). M. lasciò probabilmente la bottega al figlio Zenone, pittore già emancipato nel 1413 e documentato fino al 1456, il quale a sua volta avrebbe tramandato l’arte ai figli Martino e Antonio, e tramite questi al nipote Zenone di Martino. Non è chiaro il rapporto che legò M. a Iacopo da Verona, citato nel testamento del 1412, da molti avvicinato ai suoi modi e alternativamente proposto quale suo collaboratore oppure condiscepolo presso la bottega di Altichiero.
Fonti e Bibl.: G. Gerola, Il pittore Boninsegna da Clocego e la famiglia di M., in Atti del R. Ist. veneto di scienze lettere ed arti, LXIX (1909-10), 2, pp. 407-418; L. Simeoni, Il giurista Barnaba da Morano e gli artisti M. da V. e Antonio da Mestre, in Nuovo Arch. veneto, n.s., X (1910), 1, pp. 216-236; A. Mazzi, Gli estimi e le anagrafi inedite dei pittori veronesi del secolo XV, in Madonna Verona, VI (1912), 1, p. 57; G. Gerola, Opere perdute di pittori veronesi, ibid., XI (1917), 2-4, pp. 112 s.; R. Van Marle, The development of the Italian school of painting, IV, The Hague 1924, pp. 197 s.; E. Sandberg-Vavalà, La pittura veronese del Trecento e del primo Quattrocento, Verona 1926, pp. 218-258; Id., A chapter in fourteenth century iconography: Verona, in The Art bulletin, XI (1929), 4, pp. 376-412; G. Fiocco, La Valpolicella, in Arte veneta, V (1951), p. 193; Da Altichiero a Pisanello (catal.), a cura di L. Magagnato, Verona 1958, pp. 23-25; L. Magagnato, Arte e civiltà nel Medioevo veronese, Torino 1962, pp. 91-93; G.L. Mellini, Miniature di M. da V., in Arte illustrata, II (1969), 17-19, pp. 62-75; M.T. Cuppini, L’arte gotica a Verona nei secoli XIV-XV, in Verona e il suo territorio, III, 2, Verona 1969, pp. 324, 326; Id., Pitture murali restaurate, Verona 1970, pp. 74-81; A. Dani, Affreschi inediti di M. da V. e Battista da Vicenza alla chiesa di S. Salvatore a Montecchia di Crosara, Vicenza 1971; R. Brenzoni, Diz. di artisti veneti, Firenze 1972, pp. 196-199; F. Flores D’Arcais, La pittura nelle chiese e nei monasteri di Verona, in Chiese e monasteri a Verona, a cura di G. Borelli, Verona 1980, pp. 455-459; M. Lucco, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, I, pp. 125 s.; II, p. 636; E. Moench Scherer, in La pittura nel Veneto. Il Quattrocento, a cura di M. Lucco, I, Milano 1989, pp. 151-153; E. Moench, Les primitifs italiens du Musée des beaux-arts de Strasbourg, Strasbourg 1993, pp. 78 s.; F. Pietropoli, in Pisanello. I luoghi del gotico internazionale nel Veneto, a cura di F.M. Aliberti Gaudioso, Milano 1996, pp. 48-52, 63 s., 85-89, 98-100, 108-112, 132-134, 356; C.B. Strehlke, Italian paintings 1250-1450 in the John G. Johnson Collection and the Philadelphia Museum of art, Philadelphia 2004, pp. 237-241; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 182 s.