BERNARDINIS (de Bernardini e talora, erroneamente, de Bernardis), Martino de
Di famiglia veneziana, ci è noto dapprima come alunno della pieve di S. Maria Formosa, quindi come canonico di Treviso e di Creta. Dal 1398, a Venezia, è pievano di S. Geremia, nel 1405 passa alla cura parrocchiale di S. Pantaleone, figurando anche come arciprete di Castello. Sempre nello stesso anno, quale rettore dei "citramontani" e vicerettore degli "ultramontani utriusque iuris ", assiste al dottorato di alcuni studenti dell'università di Padova. Nel 1423 gli viene affidato il priorato di S. Salvatore di Venezia, ciò che ha fatto pensare all'Ughelli che egli fosse frate dell'Ordine di S. Agostino. Questa opinione, condivisa dal Naldini e dal Terpin - i quali la fondano sulla lettera di "provvisione" in cui papa Martino V, nominandolo vescovo di Capodistria, lo chiama "augustinianus" -, è invece nettamente smentita dal testamento del Bernardinis. I suoi rapporti col priorato di S. Salvatore - dove peraltro si trovavano non dei frati, ma dei canonici agostiniani - furono infatti soltanto quelli di amministratore, come già dimostrarono il Cappelletti e il Babudri. Nonostante i molti incarichi in Venezia, egli stabilì la sua dimora abituale presso la Curia romana, soggiornandovi per tutto il periodo che va dal pontificato di Bonifacio IX a quello di Eugenio IV. Nel 1424 venne innalzato al vescovato di Capodistria, e in questa circostanza si mostrò accanìto oppositore di coloro i quali, pur godendo di benefici, venivano meno all'obbligo della residenza. Quattro anni dopo, nel 1428, venne trasferito al vescovato di Modone, nel Peloponneso, ma già l'anno seguente lo ritroviamo in Venezia, dove, in veste di delegato apostolico, conferma una sentenza del vescovo di Ceneda (Vittorio Veneto) in favore delle monache di S. Lorenzo, affermandone i diritti sulla chiesa parrocchiale di S. Severo. Nel 1431 è arcivescovo di Corfù. Qui si distingue per esser riuscito a ricuperare la ricca eredità in immobili e in denaro, in vasellame d'oro e d'argento, lasciata dal suo predecessore Giorgio Dolfin alla mensa episcopale e andata dispersa in varie mani. è di nuovo a Venezia nel 1445, presente alla transazione stipulata fra la Repubblica e il patriarca di Aquileia, Ludo vico Mezzarota Scarampi, in base alla quale il patriarca si riservava il potere temporale solo sulla città di Aquileia, su San Vito e San Daniele. Viene quindi inviato dal presule, in qualità di vicario, a prendere possesso di quei luoghi (1445-1446). Nel 1447, per delegazione apostolica, riceve l'incarico di fondere due monasteri femminili di Treviso, incorporando quello agostiniano di S. Girolamo in quello benedettino di S. Caterina.
I dati biografici del B. si ricavano soprattutto dal suo testamento del 14 dic. 1451, nel quale la preoccupazione di lasciare la memoria di quanto aveva operato non appare minore di quella per la salvezza della propria anima. Egli vi traccia un dettagliato curriculum della propria carriera ecclesiastica, dagli esordi alla assunzione dellamassima carica nell'arcidiocesi di Corfú, e tiene a sottolineare che non in virtù di benefici, ma per la sua operosità durante il soggiorno romano (una notevole parte del suo patrimonio era però stata giudiziosamente investita in "imprestiti" dei Monti veneziani) aveva potuto ammassare le cospicue sostanze delle quali dispose in favore della chiesa veneziana di S. Pantaleone, sede del suo monumento funebre, di S. Maria Maggiore in Roma e di una miriade di legatari. Col suo denaro aveva già rese libere dal sequestro, intimato dall'ufficio veneziano del Cattaver, le rendite della chiesa di Corfù, salvandola anche dallo stato di abbandono nel quale era stata lasciata per quattordici anni, priva di tetto e con le pareti cadenti. Nel 1443, sempre a sue spese, aveva anche fatto rinnovare il tetto di S. Maria di Cassopo.
Il B. morì in Venezia il 16 marzo 1452.
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