GARATI, Martino (de Caratis, Carratus, Garratus, Garotus, Gazatus, Carcetus Laudensis, Martinus Laudensis)
Figlio di Andreolo, nacque a Lodi probabilmente nel primo decennio del sec. XV, dato che si addottorò in diritto civile nello Studio di Pavia nel 1430.
La famiglia apparteneva alla piccola nobiltà locale - il suo stemma partito di rosso e di blu reca tre stelle d'oro in campo rosso e due leoni rampanti che si affrontano in campo blu - e, a quanto pare, aveva preso parte alla vita cittadina: si possono ricordare in proposito Bocacius Garatus, anziano della fazione dei Sommariva, e un certo Basiano Garota, podestà, nel 1304, di un borgo nel Lodigiano. Pare tuttavia certo si trattasse di una dinastia di notai, come documentato da una cartella contenente atti di Cristoforo, Giacomo e Paolo Garati, attivi a Lodi negli anni 1433-34 (Arch. di Stato di Milano, Notarile, cart. 884), riguardanti in tre occasioni diverse lo stesso G. e suo fratello Boccaccio (detto anche Boccaccino).
Il G., nel periodo compreso tra il conseguimento della laurea in diritto civile e il suo ingresso nel mondo accademico, dovette addottorarsi anche in diritto canonico, dal momento che è detto "iuris utriusque doctor". Il 7 apr. 1431 era commissario e delegato del giudice dei dazi della città e del distretto di Lodi a nome del duca di Milano, Filippo Maria Visconti (Milano, Bibl. Trivulziana, Fondo Belgioioso, Pergamene diverse, cart. 298, n. 20). Sempre a Lodi lavorò quale causidico al fianco del fratello Boccaccino, egli pure causidico, e nel giugno 1435 console di Giustizia in quella città. Appare poi quale attore o testimone negli anni 1433-35 in alcuni atti rogati, sempre a Lodi, dal notaio Cristoforo Garati nell'abitazione comune nella vicinia di S. Tommaso, ove il G. aveva lo studio (Lodi, Arch. stor. civ., Notarile, Notaio Cristoforo Garati). Operò poi quale giurisperito anche a Pavia, come risulta da alcuni consilia sottoscritti da lui e da altri giuristi che vi si trovavano in quegli anni. È inoltre possibile che abbia prestato la sua opera anche alla corte del duca Filippo Maria, forse nel Consiglio di giustizia.
Iscritto nella matricola del Collegio dei giureconsulti pavesi in data 31 ag. 1438, il G. compare nei rotuli dell'Università ticinese, per gli anni 1439-40, incaricato "ad lecturam extraordinariam Digesti Novi et Infortiati"; da un atto del 22 ott. 1439 risulta che in quella data il G., "civis de civitate Laude", abitava a Pavia nella parrocchia di S. Eufemia (Lodi, Arch. stor. civ., Notarile, Notaio Cristoforo Garati). Nell'anno accademico 1441-42 il G. era incaricato "ad lecturam ordinariam iuris civilis"; mentre per gli anni 1443-44 risulta impegnato "ad lecturam ordinariam legum". Nel settembre 1444 abitava "in vicinia S. Agnetis" e leggeva "ordinariam iuris civilis" nello Studio locale (ibid.) e nel 1445-46 gli fu affidata la "lecturam ordinariam legum".
Qualificato come "clarissimus et celeberrimus utriusque iuris doctor", il G. riceveva stipendi più che ragguardevoli, soprattutto se confrontati con quelli percepiti da altri professori famosi al suo tempo (Soldi Rondinini, Il Tractatus, pp. 6 s.). L'agiatezza di cui pare godesse gli consentì, ad esempio, oltre all'acquisto di beni fondiari di cui agli atti notarili succitati, di commissionare una copia della famosa Lectura super Sextum Decretalium, di Domenico da San Gimignano (codice, con l'ex libris di mano dello stesso G., ora a Parigi, Bibliothèque Mazarine, 1335). Secondo la consuetudine del tempo prestava a pagamento - o affittava - agli studenti i codici giuridici sui quali insegnava. È quanto risulta da un atto notarile (Arch. di Stato di Milano, Notarile, cart. 884) con cui egli nominava il fratello Boccaccino suo procuratore per cedere "titulo venditionis" a Bernardo Crivelli e al di lui figlio il credito relativo appunto al "comodatus" fatto agli studenti pavesi per i codici "digestorum veterum et codicum" e quanto connessovi, al prezzo di 400 fiorini da versare in cinque anni.
A Pavia il G. scrisse il trattato De legitimatione (1443) e cominciò il De principibus, che può essere collocato, come data di composizione, tra il 1442-43 e il 1446-47. È quanto sembra risultare dalla lettera di dedica dell'opera a Filippo Maria Visconti: "opusculum hoc in tuo florentissimo Ticinensi gignasio [sic] superioribus annis inceptum, in quo octo annorum curriculis iuris imperatorii sedes ordinaria tui illustrissimi nominis litteris ab amplissimo Senatu tuo michi decreta fuit, et nunc in magnifica urbe Senensi, a qua in eandem sedem delectus sum, perfectum, cui de principibus nomen inscribo […]" (Milano, Biblioteca Trivulziana, 138).
Probabilmente nell'autunno 1446 ebbe luogo il suo trasferimento presso l'Ateneo di Siena, come si può dedurre dalle annotazioni in due registri del Concistoro, che documentano come il G. facesse parte di un collegio forse di periti per risolvere alcune delicate questioni legali (Soldi Rondinini, Il Tractatus, p. 7). Non rimangono invece tracce del suo insegnamento nei documenti dello Studio di Siena. In quella città conobbe probabilmente Giovanni da Capistrano, al quale pare abbia inviato un esemplare del De principibus e poi, perché lo esaminasse, anche il trattato De canonizatione sanctorum, scritto tra il 1446 e il 1448 durante il suo magistero senese e prima della beatificazione di Bernardino Albizzeschi (detto da Siena, morto nel 1444), in memoria appunto di Bernardino, forse su commissione degli stessi cittadini o su ispirazione del Capistrano. Nello stesso periodo compose alcune delle rubriche del De principibus: De legatis, De dignitate, De confoederatione, e il trattato De feudis, la cui stesura fu terminata durante l'insegnamento bolognese.
Nel 1448-49 il G. compare iscritto infatti nei rotuli dell'Università di Bologna, per la "lectura Decretalium de sero"; è probabile peraltro che egli vi avesse stabilito la sua residenza dal momento che aveva acquistato delle terre a Bagnarola, nelle vicinanze della città. Vissero a Bologna anche il fratello Boccaccino e i suoi figli Giovanni Andrea, Giovanni Agostino e Pier Paolo. A questo periodo il G. allude in una redazione del De principibus conservata manoscritta nella Biblioteca universitaria di Bologna (574 [1049], c. 5r). A quegli anni si possono ascrivere almeno due suoi importanti lavori: il trattato Centum quaestiones de cetu et auctoritate dominorum cardinalium (noto anche come De cardinalibus), attribuito per molto tempo al cardinale Juan de Torquemada e dedicato dal G. al governatore di Bologna, il cardinale e arcivescovo di Benevento Astorgio Agnesi, e il trattato De primogenitura databile attorno al 1449-50.
La tappa successiva fu lo Studio di Parma, ma di questa sua presenza rimane solo, finora, un'attestazione relativa alla sua partecipazione a un esame di laurea; è peraltro possibile che alcuni suoi consilia vadano attribuiti a questo periodo. Da Parma il G. passò a Ferrara, dove, nel 1451 e 1452, è attestato più volte quale esaminatore nei diritti civile e canonico e quindi nei rotuli di quegli stessi anni fino al 15 nov. 1452. Al periodo ferrarese appartengono i trattati De conscientia e De represaliis e almeno sei consilia. Forse egli operò anche a Torino: abbiamo una sola indicazione indiretta in proposito, sebbene si possa tener conto del fatto che lo Studio torinese era il solo che i sudditi milanesi potessero frequentare oltre a quello di Pavia, e che esiste oggi, presso la Bibl. naz. di Torino, un manoscritto (I.1.21) con sue opere in cui vi sono alcuni riferimenti alla sua attività di consigliere presso il duca di Savoia, Ludovico, o a favore di personaggi di rilievo del Ducato sabaudo (Soldi Rondinini, Il Tractatus, pp. 71 s.). Si può inoltre avanzare l'ipotesi che egli facesse parte del Consilium di Torino insieme con altri noti giuristi.
L'ultima notizia diretta sul G. è contenuta in una lettera di Borso d'Este, datata 3 marzo 1453 e inviata ai riformatori cittadini, per informarli della malattia del Garati. La morte deve averlo colto a Bologna, dove era evidentemente ritornato, in data non rintracciabile, comunque da porre prima del 26 maggio 1453 (cfr. Di Renzo Villata, 1986).
Il 16 giugno di quell'anno il fratello Boccaccino comprò a nome dei figli "quondam famosissimi iuris utriusque doctoris d. Martini filii dicti quondam d. Andrioli de Garatis de Laude" cinque appezzamenti di terra con casa, colombaia e peschiera a Corticella (Arch. di Stato di Bologna, Notarile, rogito di Bartolomeo e Cesare Panzacchi, filza 1, n. 57). A Bologna il G. fu sepolto nella chiesa di S. Domenico, dove venivano accolti quasi tutti i giuristi famosi del suo tempo. La tomba, che si trovava nel chiostro della chiesa, nell'angolo verso la biblioteca annessa al convento, venne rimossa, con molte altre, probabilmente nel 1786.
La produzione del G. fu molto nutrita e può essere divisa in tre settori: letteratura esegetica (additiones, lecturae, repetitiones, commentarii), letteratura consulente, trattati. Appare fuor di dubbio - ed è stato rilevato di recente in modo autorevole (D. Maffei, Il trattato di M. G. per la canonizzazione di s. Bernardino da Siena, in Studi senesi, C [1988], Suppl., pp. 580-603, in partic. pp. 581 s.) - come la parte più importante di tale produzione concerna la trattazione monografica in cui egli ha rivolto l'attenzione al governo principesco e a tutti gli officia più rilevanti del governo stesso. Questo genere letterario gli permise infatti di considerare argomenti di diritto pubblico, privato, in materia di feudi e nel campo della canonistica, temi che sapeva disporre in modo abbastanza sistematico: pur nella concisione del discorso e nell'uso dei consueti metodi scolastici, egli elenca per ciascun tema le quaestiones, le relative soluzioni e conclusioni, le sue e altrui riflessioni, ottenendo larghi consensi dagli studiosi del suo tempo e almeno fino al secolo XVII.
Il suo lavoro più importante è il De principibus il cui codice originale, in pergamena (non autografo), è dedicato a Filippo Maria Visconti, duca di Milano (Milano, Bibl. Trivulziana, 138); un secondo esemplare, anch'esso pergamenaceo, è dedicato ad Alessandro Sforza signore di Pesaro (Bologna, Bibl. univ., 574), mentre un terzo, cartaceo (ibid., 573), fu inviato, come si è detto, dal G. a Giovanni da Capistrano "corrigenda et supplenda" (ultima carta, recto). Un quarto esemplare è il già ricordato manoscritto della Bibl. naz. di Torino che contiene anche i trattati De primogenitura, De moneta, De cardinalibus, De canonizatione sanctorum, De conscientia, De notis Bartoli e che presenta numerose e interessanti note marginali (per gli altri testimoni manoscritti dell'opera cfr. Baumgärtner, p. 349).
L'editio princeps del De principibus venne stampata a Milano il 10 luglio 1494 da U. Scinzenzeler (cfr. Gesamtkatalog der Wiegendrucke [GW], n. 6120) tenendo conto dei quattro mss. sopra ricordati (per le successive edizioni cfr. Baumgärtner, p. 349); l'incunabolo comprende anche il testo ridotto del De cardinalibus (solo 45 delle 100 quaestiones del trattato), il trattato De primogenitura e la repetitio super tit. D. "De rei vindicatione" (D, 6, 1). Suddiviso dall'autore in dodici rubriche, il trattato De principibus concerne strettamente la materia de iure principum e si pone, pertanto, come una sorta di guida per il "buon governo" di uno Stato. Il G. considera, in successione, quelli che ritiene evidentemente gli aspetti di base per ben governare; tratta così: De consiliariis principum, De legatis, De castellanis, De officialibus, De milite, De bello, De crimine lesaemaiestatis, De confoederationibus et conventionibus, De privilegio et rescripto, De dignitate, De fisco. Per quanto riguarda il De principibus, che costituisce il fine e il cardine dell'intera opera, si possono enucleare almeno tre temi fondamentali, ossia il principe, il Papato e l'Impero, visti nei caratteri propri di ciascuno e nei loro reciproci rapporti, sulla base delle fonti civilistiche e canonistiche più accreditate, sottilmente interpretate onde le diverse opinioni non ostacolino la comprensione dei principî generali, aggiornati, in una certa misura, secondo le esigenze dei tempi in cui l'autore vive. Nel complesso dell'opera vi sono infatti brevi riferimenti ad altre realtà politiche, oltre al Ducato visconteo, chiaro segno della volontà di fornire un modello - ma non troppo ideale - della monarchia vagheggiata dagli umanisti della fine del Trecento e del primo Quattrocento sul fondamento della forza delle leggi che egli ben conosce. Certo della loro validità, l'autore intende così offrirne al principe - la monarchia è lo Stato ideale - un compendio che gli sia di guida. Nel De consiliariis il G. delinea la figura morale del consigliere del principe, i reciproci rapporti, i compiti che deve svolgere e come vadano svolti, insistendo sul fatto che è indispensabile che tali consiglieri siano persone esperte della materia che debbono trattare, perché nulla è più deleterio dell'improvvisazione. Nella rubrica De legatis viene trattato il problema della rappresentanza politico-diplomatica e della sua eventuale autonomia in materia decisionale, oltre a numerosi aspetti pratici delle ambascerie. Nel De castellanis il G. insiste sulla fedeltà del castellano e sul suo attaccamento al dovere, ma una lunga quaestio introduce il problema delle "terre separate": un caso che, dice il G., si verifica di frequente in Lombardia. Interessante il De officialibus per il collegamento delle varie magistrature principesche con quelle romane nell'intento di legittimarle dal punto di vista giuridico e istituzionale. Altrettanto importanti le rubriche De milite, De bello e De confoederationibus, quest'ultima dedicata ai principî fondamentali regolatori delle alleanze, dei trattati, dei patti federativi e delle norme che li guidano sulla base dello ius gentium, tema che ritorna nel De crimine lesae maiestatis, un trattato in seguito ripreso nelle sue definizioni da parecchi e importanti giuristi dei secoli XVI e XVII e che reca l'equiparazione, sulla base appunto del crimen suddetto, tra i principi "superiorem non recognoscentes" e l'imperatore. Nella stessa rubrica il G. si pronuncia anche contro le dottrine conciliariste. Nel De privilegio et rescripto il G. mostra di recepire la politica ecclesiastica perseguita dai Visconti (e poi dagli Sforza) in ordine al controllo del conferimento dei benefici ecclesiastici. Nel De dignitate riprende, tra l'altro, il problema della vendita degli uffici pubblici legittimandone la consuetudine, avvertendo tuttavia i principi che da tale vendita possono originarsi molti inconvenienti. L'ultima rubrica, De fisco, consta di ben 255 quaestiones che riguardano molti aspetti tecnici e politici relativi al fiscalismo, alla confisca dei beni, alla legislazione che regola i rapporti tra i debitori e il fisco e, in generale, dei rapporti in ambito fiscale tra Impero, Chiesa, città, signorie e sudditi. Il De principibus termina con una disputatio assai comune a quel tempo, "an nomine auctoris inscribere liceat" nella propria opera, il che il G. ritiene opportuno fare quando si voglia rendere onore al principe dedicandogliela.
Anche il De cardinalibus è un trattato di notevole rilevanza; per esso cfr. G. Soldi Rondinini, Per la storia del cardinalato nel sec. XV (con l'edizione del trattato De cardinalibus di M. G. da Lodi), Milano 1973 (per le precedenti edizioni cfr. anche Baumgärtner, pp. 339 s.). Ferma restando la plenitudo potestatis del pontefice, la giurisprudenza dell'epoca si era concentrata sulla definizione dei compiti giuridico-istituzionali del Collegio cardinalizio allo scopo di mantenere le forme di compartecipazione al governo della Chiesa, necessarie in ambito di dottrine conciliariste. Il G., andando controcorrente, riafferma il ruolo solo consultivo dei cardinali a fianco del pontefice distinguendo tra potencia ordinaria e potencia absoluta, che si fa più ampia solo sede vacante, sebbene essi assumano la giurisdizione papale solamente in caso di grande e imminente pericolo. Alla regalità pontificia i cardinali vengono peraltro equiparati, in quanto parte del suo corpo, nel crimen lesae maiestatis. Il trattato in questione può essere considerato un più che apprezzabile tentativo di avviare la "periculosa materia", come la definisce il G., a quelle soluzioni al di fuori della teologia, ma "ex iuris pontificii atque imperatorii fonte", che erano richieste dalla Chiesa nell'Europa del sec. XV.
Un altro scritto da considerare è il De canonizatione sanctorum composto, come si è detto, per la beatificazione di Bernardino da Siena. Edito di recente per la prima volta da D. Maffei (cit.) il De canonizatione… è il primo trattato in materia nella giurisprudenza medioevale: fu scritto raptim e strictim per condurre a buon fine le pratiche per la canonizzazione di Bernardino probabilmente tra il 1446 e il 1448, ed è contenuto in otto mss. miscellanei (cfr. Maffei, p. 591). Poco dopo il bolognese T. Malvezzi avrebbe scritto il suo De canonizatione sanctorum che, rifacendosi quasi interamente al G., pur citandolo assai poco, ne avrebbe usurpato la fama anche per i secoli seguenti.
In ordine di importanza, in quanto legati alla mercatura, si possono considerare i trattati De represaliis e De moneta. Il primo ricalca le orme di Bartolo (per i manoscritti e le edizioni, oltre a quella milanese del 1494, cfr. Baumgärtner, p. 350), mentre il secondo appare ispirato alla contorta politica monetaria gestita durante i ducati di Gian Galeazzo Visconti e dei suoi successori (per i manoscritti e le edizioni cfr. ibid., p. 347; v. anche Soldi Rondinini, Politica, pp. 315 ss.). Il De bello (Soldi Rondinini, Il diritto) dopo l'edizione milanese del 1494 ebbe sette ristampe nel sec. XVI. Il trattato De crimine lesae maiestatis, molto seguito e citato dalla giurisprudenza del Cinque-Seicento, fu stampato nell'edizione milanese del 1494 ed ebbe 9 ristampe tra il 1506 e il 1584 (cfr. ibid., pp. 338, 342 s., rispettivamente per i manoscritti e le edizioni). L'opera De legitimatione, in cui il G. affronta problemi molto sentiti nella società del tempo, deriva da una disputatio tenuta il 13 apr. 1443 nel corso dell'insegnamento pavese; fu stampata a Milano per i tipi di U. Scinzenzeler intorno al 1498 (GW, n. 6118; per i manoscritti e le successive edizioni cfr. Baumgärtner, pp. 345 s.). Il De primogenitura affronta un altro dei temi importanti negli Stati del sec. XV in ordine alla successione al trono o, comunque, a un titolo nobiliare o a un governo. Già edito unitamente al De principibus a Milano nel 1494, fu in seguito stampato a Bologna nel 1490-95 circa (GW, n. 6119; per le ulteriori edizioni cfr. Baumgärtner, p. 348) e fu spesso copiato senza essere citato.
Altri trattati da ricordare sono il De concilio et eius auctoritate, il De conscientia, il De ordinibus ecclesiasticis e il De potestate imperatoris, tutti inediti (cfr. ibid., rispettivamente alle pp. 340 s., 348). Anche la letteratura esegetica annovera numerose opere edite e manoscritte (per le quali cfr. ibid., pp. 322 s.) I consilia del G. sono molto importanti per la conoscenza degli ambienti in cui egli operava, per lo più nell'Italia settentrionale padana, e dei modi con cui si muoveva nel campo della pratica giuridica e per lo stesso sviluppo del diritto. I consilia, che trattano molteplici materie, ebbero numerose edizioni in luoghi e anni diversi (cfr. ibid., pp. 234-279).
Le opere del G. conobbero notevole fortuna soprattutto nel Cinquecento. Nell'impossibilità di darne notizia completa, si citano quali esempi due grandi giuristi del sec. XVI: il patrizio milanese Egidio Bossi e Girolamo Giganti (o Gigante) di Fossombrone, che si rifecero nei loro trattati a molte delle opere del G. soprattutto per quanto concerne il crimen lesae maiestatis e il diritto e la figura del principe, argomenti nella cui trattazione il G. fu all'epoca all'avanguardia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, cart. 659; Bologna, Bibl. universitaria, 614: Th. Diplovatatius, De praestantia doctorum, c. 245; M. Mantua Benavides, Epitome virorum illustrium - Vitae recentiorum iurisconsultorum, Venetiis 1555, n. 168; Codice diplomatico laudense, a cura di C. Vignati, II, Milano 1855, p. 398, n. 398 (per fonti sulla famiglia del G.); Araldica della nobiltà lodigiana, a cura di A. Degrà, Lodi s.d., p. 141; Memorie e documenti per la storia dell'Università di Pavia, I, Pavia 1876, p. 47; Lodi. Monografia storico-artistica…, con documenti inediti, Milano 1878, cap. VIII, n. 110; Irotuli dei lettori… dello Studio bolognese, a cura di U. Dallari, I, Bologna 1888, p. 25; Codice diplomatico dell'Università di Pavia, a cura di R. Maiocchi, II, Pavia 1913, p. 284; Th. Diplovatatius, Liber de claris iuris consultis, pars posterior, a cura di F. Schulz - H. Kantorowicz - G. Rabotti, in Studia Gratiana, X, Bononiae 1968, pp. 367 s.; L. Frati, M. G. da Lodi, in Arch. stor. lombardo, XLVI (1919), pp. 322-325; G. Secco Suardo, Lo Studio di Ferrara a tutto il XV secolo, in Atti della Deputazione ferrarese di storia patria, VI (1891), pp. 161 s., 225 s., 234 s.; K. Binder, M. Gazati der Verfasser der Kardinal Juan de Torquemada O.P. zugeschrieben "Centum quaestiones de coetu et auctoritate dominorum cardinaliusm" in Codex Barberini 1192 und 1522, in Angelicum, XLVIII (1951), pp. 139-151; E. Pellegrin, La Bibliothèque des Visconti et des Sforza, ducs de Milan, au XVe siècle, Paris 1955, p. 37; G. Soldi Rondinini, Il diritto di guerra nel secolo XV, in Nuova Riv. storica, XLVIII (1964), pp. 275-306; Id., Ambasciatori e ambascerie al tempo di Filippo Maria Visconti (1412-1427), ibid., XLIX (1965), pp. 313-344; Id., Il Tractatus De principibus di M. G. da Lodi, Milano 1968 (con l'ediz. critica della rubrica De principibus); M. Sbriccoli, Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna, Milano 1974, pp. 81, 90, 109, 112 s., 127, 137, 190, 213, 217, 306, 341, 354, 360, 384; G. Soldi Rondinini, Politica e teoria monetarie dell'età viscontea, in Nuova Riv. storica, LIX (1975), pp. 288-330; M.G. Di Renzo Villata, Diritto comune e diritto locale nella cultura giuridica lombarda dell'età moderna, in Diritto comune e diritti locali nella storia d'Europa, Milano 1980, pp. 335-344; C. Piana, Il "Liber Secretus juris Caesarei" dell'Università di Bologna 1451-1500, Milano 1984, p. 49; I. Baumgärtner, Martinus Garatus Laudensis. Ein italienischer Rechtsgelehrter des 15. Jharunderts. Dissertation zur Rechtsgeschichte, Köln-Wien 1986; M.G. Di Renzo Villata, Dal Pozzo, Giacomo, in Diz. biogr. degli Italiani, XXXII, Roma 1986, pp. 221, 223; G. Soldi Rondinini, Per la storia della moneta medioevale: economia, politica, dottrina nel caso di Milano alla fine del Quattrocento, in Cultura e società nell'Italia medievale. Studi per P. Brezzi, Roma 1988, pp. 795-809; C. Storti Storchi, Aspetti generali della legislazione statutaria lombarda in età viscontea, in Legislazione e società nell'Italia medievale, Bordighera 1990, p. 79; P. Margaroli, Diplomazia e Stati rinascimentali. Le ambascerie sforzesche fino alla conclusione della Lega italica (1450-1455), Firenze 1992, passim; G. Soldi Rondinini, Per la storia della giurisprudenza alla metà del Quattrocento: il giurista visconteo M. G. da Lodi, in corso di stampa; C.U. Chevalier, Répertoire des sources historiques du Moyen âge, I, col. 1680; J.A. Fabricius, Bibliotheca latina mediae et infimae latinitatis, III, coll. 77 s.; V, col. 123.