CARACCIOLO, Martino Innico
Nacque a Martina Franca l'8 luglio 1713 da Francesco Maria duca di Martina e Eleonora Caetani di Sermoneta. Inviato a Roma (1720), si laureò alla Sapienza in utroque iure il 21 febbr. 1737. Referendario delle due Segnature e commissario, apostolico in diverse missioni, nel 1740 divenne prelato dell'Immunità ecclesiastica e dal 1741 ponente della S. Congregazione della Consulta. Destinato da Benedetto XIV alla nunziatura di Venezia, il C. fu a tale scopo ordinato sacerdote il 27 ott. 1743 e preconizza o arcivescovo di Calcedonia il 2 dicembre; fu consacrato il 21 dicembre dal papa stesso e il giorno successivo ebbe la dignità di assistente al soglio pontificio; infine l'8 genn. 1744 gli fu ufficialmente assegnata la nunziatura presso la Serenissima.
Affrontò con decoro l'alto incarico potendo contare sui proventi dell'abbazia di San Giovanni in Fiore, presso Cosenza, e su una rendita annua di 6.000 ducati frutto di denaro investito in luoghi di Monte dall'ava pateena. Raggiunta la sua nuova residenza l'11 marzo 1744, il C. si propose di non drammatizzare i rapporti con la Repubblica benché questa fosse impegnata in quegli anni in una politica di sempre più rigido giurisdizionalismo.
Già nelle prime udienze presso il Senato veneto il C. fu costretto a denunciare gli incidenti di confine avvenuti fra la Legazione di Ferrara e la Repubblica. Benché convinto che essi fossero sobillati e sostenuti dal governo della Serenissima, poiché tra coloro che con sempre maggiore frequenza passavano nel ferrarese per compiere azioni di disturbo e di vandalismo si erano notati numerosi soldati, il C., pur denunziando tale complicità, ammise che dei soprusi erano stati commessi anche da parte degli abitanti della Legazione, e lavorò per un accomodamento. Dopo lunghissimi negoziati svoltisi anche a Roma fra l'ambasciatore veneto e il segretario della Cifra, il C. poté concludere la controversia con il trattato di Ariano (15 apr. 1749).
Sul finire del 1749, però, il grave problema del patriarcato di Aquileia venne a turbare l'equilibrio dei rapporti fra la S. Sede e lo Stato veneto tanto che si giunse alla rottura delle relazioni diplomatiche.
Per risolvere una situazione insostenibile e venire in parte incontro alle richieste dell'Impero, Benedetto XIV aveva disposto con il breve del 29 nov. 1749 di dividere in due distinte diocesi l'antico patriarcato di Aquileia che, sebbene già dal XV sec. fosse tradizionalmente appannaggio di patriarchi di nascita veneziana, comprendeva nella sua circoscrizione vasti territori politicamente dipendenti dall'Impero sui quali le funzioni vescovili erano esercitate dal nunzio pontificio a Vienna. Per mettere ordine in questa situazione il breve stabiliva un vicario apostolico che risiedesse a Gorizia e, con le prerogative di vescovo in partibus, esercitasse la giurisdizione ecclesiastica sulle terre degli Asburgo. Tale nuova sistemazione fu annunziata dal concistoro del 1º dic. 1749. Venezia, colta di sorpresa, dapprima assunse un atteggiamento sostanzialmente moderato protestando presso il C. soltanto per non essere stata consultata prima della pubblicazione del breve (13 dic. 1749); ma, successivamente, decisa ad opporsi alla decisione papale, diede mandato ai cardinali Rezzonico e Querini e agli ambasciatori Foscarini e Cappello di persuadere il pontefice a sospendere ogni decisione e ad aprire nuovi negoziati. Il C. lavorò attivamente per appianare i contrasti facendosi interprete delle richieste della Serenissima presso la S. Sede, "sempre più acceso a contribuire per quanto può dal canto suo... al pacifico accomodamento di tante differenze" (Arch. Nunz. Ven. 16, f. 121v). Il breve d'istituzione del nuovo vicariato, emanato il 27 giugno 1750 dal pontefice nonostante le pressioni dei rappresentanti veneti a Roma, esasperò infine la Repubblica che, sobillata dal Querini, notificò al C. la sua espulsione e la chiusura della nunziatura (25 luglio 1750) e contemporaneamente richiamò da Roma il suo ambasciatore Pietro Andrea Cappello.
Il nunzio, lasciato a Venezia l'uditore Pietro Rocco, si ritirò a Ferrara il 15 agosto, mantenendo di lì contatti con la S. Sede e con i suoi informatori rimasti a Venezia. L'allontanamento del C. durò fino al 3 febbr. 1751, poi, di fronte all'irriducibilità del pontefice e poiché anche Vienna andava minacciando una rottura con la Repubblica, il Senato veneto ritenne opportuno il ritorno del nunzio (6 febbraio). In segno di pacificazione il C., appena rientrato a Venezia, estese anche alla Repubblica il giubileo (27 marzo 1751) per manifestare così "i paterni pontifici sentimenti". Ma fu una tregua solo apparente: infatti Venezia, costretta a piegarsi nella questione di Aquileia, con più decisione riprese la propria politica giurisdizionalista, momentaneamente accantonata durante gli infruttuosi negoziati con Roma.
Sin dal 23 apr. 1751 fu sottoposto allo studio dei consultori un progetto legislativo riguardante il licenziamento dei documenti pontifici. Quindi, il 9 dic. 1752, il doge Francesco Loredan trasmise tale incombenza al savio di Terraferma Sebastiano Foscarini, il quale presentò il 15 luglio 1753 al Senato una relazione (in realtà redatta dal canonico Montegnacco) che sosteneva il diritto inalienabile dello Stato di sottoporre al preventivo controllo di un revisore la pubblicazione di tutti i documenti ecclesiastici e pontifici, non escluse le bolle universali e le costituzioni, introdotti nella Repubblica. Pur rispettando l'autorità di Roma sul piano dogmatico, si colpivano così i documenti curiali riguardanti indulgenze, privilegi, e varie dispense, lautamente pagati dai ricorrenti laici ed ecclesiastici.
Il decreto, che sarà approvato il 7 sett. 1754, fu preparato nella massima segretezza, tanto che il C. non ne fece nessun cenno nei suoi dispacci fino al gennaio 1754, quando si concluse la sua missione presso il governo della Serenissima. Dal 20 dic. 1753 era stato infatti destinato alla nunziatura di Spagna, ma, raggiunta la sua nuova residenza il 6 maggio, non sopportandone il clima, si ammalò gravemente e morì a Madrid il 6 ag. 1754.
Fonti e Bibl.: Archivio Segreto Vaticano, Proc. Dat. 120, ff. 452r-464v; Ibid., Segreteria di Stato, Venezia 209-211; Spagna, 259; Ibid., Archivio Nunziatura di Venezia, 14, 16; Le lettere di Benedetto XIV al card. de Tincin, a cura di E. Morelli, I, Roma 1955, pp. 170, 180; II, ibid. 1965, ad Indicem; B. Cecchetti, La Repubblica di Venezia e la corte di Roma nei rapporti della religione, Venezia 1874, ad Ind.; A. M. Bettanini, Benedetto XIV e la Repubblica di Venezia, Milano 1931, passim; A. Stella, Chiesa e Stato nelle relaz. dei nunzi pontifici a Venezia, I, Città del Vaticano 1964, pp. 320, 323 s., 332; II, ibid. 1965, ad Indicem; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, 1, Roma 1953, pp. 432 s.; F. Fabris, La geneal. della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tav. XXV bis; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica..., VI, Patavii 1958, p. 161.