ZACCARIA, Martino
– Nipote di Benedetto, figlio di Paleologo e di Giacomina Spinola, appartenenti a famiglie di origine genovese, Martino nacque negli ultimi decenni del XIII secolo; non si conosce il luogo di nascita.
Alla morte del padre, nel 1314, ereditò assieme al fratello Benedetto (II) il governo dell’isola di Chio e delle sue dipendenze, tra cui Focea, formalmente possesso dell’impero costantinopolitano, distinguendosi nel commercio dell’allume e del mastice. Non è possibile datare il matrimonio con Maria Ghisi, figlia di Bartolomeo, gran connestabile di Morea, che permise alla famiglia di essere annoverata tra la nobiltà franca locale.
Nel 1317, approfittando della crisi del Principato d’Acaia, conteso tra Angioini e Catalani, Zaccaria acquistò dal cavaliere Aymon de Rans la baronia di Chalandritsa, nell’entroterra di Patrasso, che comprendeva, oltre al capoluogo, i castelli di Stamira e Lysaria. Il secondo matrimonio, celebrato prima del 1325 con Jacqueline de la Roche, erede di un ramo cadetto della casa dei duchi d’Atene, gli portò in dote, inoltre, le baronie di Veligosti, in Messenia, e di Damala, nell’Argolide. Il centro dei suoi interessi, a ogni modo, rimase l’isola di Chio, il cui mastice era esportato in tutto il mar Mediterraneo e oltre, sino alle Fiandre e all’Inghilterra. Per salvaguardare i traffici, Zaccaria adottò una politica aggressiva nei confronti dei potentati turchi assestatisi sulla costa anatolica, occupando, nel 1317, il porto di Smirne.
Secondo Guglielmo de Adam, Martino e Benedetto (II) avrebbero mantenuto a proprie spese, a difesa dell’isola, un migliaio di fanti, cento cavalieri e due galee armate da utilizzare alla bisogna. Stando all’anonimo autore del Directorium ad passagium faciendum, risalente agli anni 1331-32, Martino avrebbe dotato alcune galee d’imponenti fortificazioni, rendendole capaci di ospitare più di quattrocento uomini.
In quello stesso anno, i capitani del popolo genovesi emanarono un devetum (bando) sullo smercio di materiale bellico ai Mamelucchi. Deciso ad assecondare tali intenti, Martino diede avvio a una serie di operazioni volte a contrastare il fiorente mercato schiavistico, operando anche contro cittadini genovesi; in particolare, il 23 luglio del 1319, coadiuvato dagli ospitalieri di Rodi, comandati da Alberto III di Schwarzburg, respinse, al largo di Chio, una flotta turca forte di trentadue galee proveniente da Aydın. Tali sforzi, portati avanti con il fratello Benedetto, furono ricompensati, il 5 marzo del 1320, da papa Giovanni XXII con l’autorizzazione, per i successivi due anni – reiterata il 25 giugno del 1322 per quattro anni e il 29 gennaio del 1325 per ulteriori tre anni – a commercializzare il mastice chiota ad Alessandria d’Egitto.
Secondo Giovanni Cantacuzeno, in breve tempo, il reddito dell’isola si sarebbe accresciuto esponenzialmente. Una chiara indicazione della prosperità degli Zaccaria in quanto signori di Chio si ricava, infatti, dalla coniazione di monete di ottima lega.
Il 20 febbraio 1323 e poi ancora il 28 aprile 1325, il papa concesse, inoltre, a Zaccaria e ai suoi stipendiarii un’indulgenza di tre anni, lucrabile in articulo mortis; ciò che porta a ritenere come la sua lotta fosse spendibile anche sul piano religioso. Non a caso, Marin Sanudo Torsello lo annovera tra le personalità su cui fare affidamento per l’organizzazione d’una nuova crociata. Senz’altro, la politica di contrasto alla pirateria turca ne favorì l’affermazione dinastica e – ancor più – personale. I guadagni derivanti dallo sfruttamento delle risorse dell’isola, nuovamente infeudatagli dall’imperatore Andronico II Paleologo nel 1319 e nel 1324, gli permisero, infatti, di estromettere il fratello Benedetto, ricompensato mediante un appannaggio annuo in denaro.
Le monete coniate in questo periodo riportano unicamente il nome di Zaccaria. Allo stesso modo, dal 1322, il papa lo individua quale unico destinatario delle sue lettere.
Nel maggio del 1325, Zaccaria ottenne da Filippo d’Angiò, principe di Acaia e imperatore titolare di Costantinopoli, il titolo di «re e despota dell’Asia minore», oltre alla signoria nominale sulle isole di Inusses, Marmara e Tenedo – da cui era possibile controllare il traffico attraverso i Dardanelli –, Lesbo – con le sue ricche allumiere, controllate dai genovesi Cattaneo –, Samo, Icaria e Kos, in cambio di un contingente di cinquecento cavalieri e di sei galee da utilizzare per la conquista della capitale imperiale. La spedizione non fu poi realizzata, ma la sua fama e il suo prestigio ne ebbero beneficio. Con tutta probabilità, lo schierarsi di Zaccaria con la parte angioina, allora al potere a Genova, fu all’origine, nel 1327, del tentativo di collegarsi con Venezia in una lega antiturca, anch’essa terminata in un nulla di fatto. L’impossibilità di ottenere aiuti da Genova, allora sottoposta a un duro assedio da parte dei ghibellini fuoriusciti, sostenuti dai Genovesi di Pera, tarpò sul nascere lo stabilirsi di una coalizione, permettendo ai turchi di impadronitisi delle fortificazioni del porto di Smirne, da cui avrebbero sferrato una serie di attacchi contro la Morea. La posizione di Zaccaria iniziò a vacillare, tanto più che alle difficoltà esterne si univa il malcontento della popolazione chiota, di fede greca.
Per impulso di Giovanni Cantacuzeno (promotore della ricostituzione di una flotta imperiale finalizzata a recuperare le posizioni perdute nell’Egeo), il nuovo imperatore, Andronico III Paleologo, tentò, dunque, di riconquistare Chio, approfittando anche delle rimostranze di Benedetto per il ritardato pagamento del suo appannaggio. Nel 1328, Zaccaria ricevette l’intimazione a interrompere i lavori di fortificazione intrapresi sull’isola e la convocazione a Costantinopoli per il rinnovo dell’investitura, ma non rispose. Nel settembre del 1329, una flotta di centocinque navi bizantine riconquistò Chio (grazie ancora all’appoggio di Benedetto, che rifiutò, però, la carica di governatore e metà delle entrate dell’isola offertegli in cambio; un suo successivo tentativo nel 1335 di riconquista dell’isola sarebbe fallito).
Martino fu tradotto a Costantinopoli, finendo in carcere, da cui fu liberato soltanto nel 1337 per intercessione di papa Benedetto XII e di Filippo VI di Francia, dietro l’impegno esplicito di non prendere le armi contro l’impero bizantino. Nel 1343, sfruttando i legami stabiliti con il Papato, guidò una spedizione organizzata contro Smirne da papa Clemente VI e da Ugo IV, re di Cipro, volta a contrastare la pirateria turca dell’emirato di Aydın. Non sappiamo se tra i suoi obiettivi personali vi fosse anche il riacquisto della base chiota, anche se ciò è molto probabile. Il 28 ottobre 1344, una flotta forte di una trentina di vascelli s’impadronì del porto della città di Smirne. Tuttavia, il 17 gennaio dell’anno successivo, nel tentativo d’assalire l’acropoli, Martino fu colpito a morte.
Gli succedettero i figli avuti da Maria, Bartolomeo (primogenito) e Centurione (I), che ereditarono un vasto dominio territoriale presso Patrasso e nell’Argolide. La sua scomparsa segnò un radicale mutamento nella politica degli Zaccaria, che, persi i domini nell’Egeo e abbandonato ogni interesse commerciale, si ritirarono nelle proprie baronie peloponnesiache. Già dal 1327, Bartolomeo risulta nominato marchese di Boudonitza e signore di Damala. Il vero artefice della svolta ‘continentale’ fu, tuttavia, Centurione (I), nato nei primi decenni del XIV secolo, verosimilmente a Chio.
Le fortune degli Zaccaria ‘peloponnesiaci’ si sarebbero sviluppate con il figlio di Centurione (I), Andronico, e soprattutto con figlio di questi, Centurione (II).
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