Martino
D. usa questo nome per indicare genericamente una persona (quanto dire Tizio o Caio): in Pd XIII 139 Non creda donna Berta e ser Martino, / per vedere un furare, altro offerere, / vederli dentro al consiglio divino; / ché quel può surgere, e quel può cadere; in Cv I VIII 13 Onde suole dire Martino: ‛ Non caderà de la mia mente lo dono che mi fece Giovanni ', e III XI 7 non diciamo Gianni amico di Martino, intendendo solamente la naturale amistade significare.
A conferma di tale uso nei tempi del poeta, il Torraca cita l'Arte notaria di Ranieri da Perugia (" Tu, donna Verta, matre del detto venditore; tu ser Martinu principale devitore "), e altri commentatori, come lo Scartazzini e il Casini, citano un brano del Passavanti (Specchio di vera penitenza VIII 5), nel quale si sostiene che all'interpretazione dei sogni sono più propensi gl'indotti (" Onde ser Martino dell'aia e donna Berta dal mulino più arditamente si mettono ad interpretare i sogni, che non farebbe Socrate e Aristotele "). Per donna Berta si veda anche VE II VI 5.