marxismo
Teoria economica e politica che deriva dal pensiero di K. Marx (➔) e ne sviluppa il contenuto. Dopo essersi scontrato aspramente con altre dottrine concorrenti (proudhonismo, anarchismo, lassallismo), il m. si affermò nella seconda metà del 19° sec., anche grazie all’operosità e all’influenza di F. Engels (➔), come concezione dominante del movimento operaio e dei nascenti partiti socialdemocratici. In origine articolato come una teoria che del capitalismo ricostruisce sia le leggi di funzionamento sia le condizioni per superarlo storicamente (➔ marxista, teoria), il m. subì la sua prima ‘crisi’ quando lo svolgersi degli eventi, tanto sul piano economico (la stabilizzazione capitalistica legata agli esiti della grande depressione del 1873-96 e della successiva belle époque), quanto sul piano politico (la crescita dell’influenza parlamentare dei partiti operai), sembrò mettere sotto scacco la sua opzione rivoluzionaria.
A esprimere la necessità di abbandonare l’istanza rivoluzionaria fu il revisionismo di E. Bernstein, il quale si caratterizzò anche per il tentativo di confinare le lotte del proletariato al solo terreno sindacale. Contro il revisionismo si schierarono K. Kautsky (➔) e R. Luxemburg (➔). Il primo ribadì la centralità dei compiti politici e rivoluzionari del proletariato, ma, a differenza di Luxemburg, tese a scindere la questione dello sbocco rivoluzionario dalla costruzione della strategia del partito operaio. Contro ogni ipotesi di stabilizzazione capitalistica, R. Luxemburg tenne ferma poi la discriminante ‘crollista’, secondo la quale, in assenza di una domanda esterna al mercato capitalistico, l’accumulazione di capitale è destinata a incepparsi. Pur con argomenti diversi, anche Lenin (➔) insistette sulla contraddittorietà dello sviluppo capitalistico, se osservato su scala mondiale: concentrazione monopolistica, fusione fra capitale industriale e capitale bancario e prevalere dell’esportazione di capitale rispetto a quella di merci – insomma l’‘imperialismo’ – proiettavano il capitalismo verso una nuova fase di instabilità e verso la guerra, riaprendo alla classe operaia, specie nei Paesi semiperiferici, la strada della conquista del potere statale. Affinché ciò avvenisse, occorreva però rigettare ogni tentazione ‘spontaneista’ e ‘tradeunionistica’, organizzando il partito di classe in modo centralizzato e dotandolo di una ben preparata avanguardia.
La rivoluzione d’ottobre (1917), guidata da Lenin e dai bolscevichi, sembrò avvalorare queste posizioni, rinfocolando la polemica contro le illusioni riformiste dei partiti socialdemocratici e lasciando poco spazio ad altre ipotesi teorico-politiche. La rivoluzione d’ottobre e la fondazione della Terza internazionale diedero però anche vita a una rivisitazione dei fondamenti teorici del m.: G. Lukács e K. Korsch inaugurarono la tradizione del m. occidentale, fortemente critico verso l’indirizzo positivistico del m. della Seconda internazionale, attento al ruolo della coscienza e ai modi in cui essa è distorta (il feticismo). Dal m. occidentale si originarono gli studi della scuola di Francoforte, che ebbero in M. Horkheimer, H. Marcuse e T.W. Adorno, i principali esponenti; a tale filone è, in qualche modo, ascrivibile anche A. Gramsci (➔), il cui m., come in parte già quello di A. Labriola, è «filosofia della praxis», e cioè non tanto materialismo storico o teoria del valore, ma dimostrazione dell’attualità storica della dittatura del proletariato, da realizzare attraverso una combinazione di coercizione e consenso (l’egemonia).
Dopo la Seconda guerra mondiale, il m. ha avuto un carattere polimorfo: se a livello filosofico ha dominato la discussione sul legame fra Marx e G.W.F. Hegel e sul rapporto fra m. stesso e scienza (L. Althusser e G. Della Volpe), a livello storico-politico a diventare oggetto di dibattito sono stati la natura dell’URSS (con Trotsky), la transizione al socialismo nei Paesi non-occidentali (con il maoismo e il terzomondismo), le trasformazioni tecnologiche del processo produttivo e il ruolo svolto in esse dalla classe operaia (con l’operaismo). I temi economici più affrontati hanno invece riguardato la teoria del valore (➔ valore lavoro, teoria del) e la trasformazione dei valori in prezzi (lungo una linea che va da E. von Böhm Bawerk agli economisti neoricardiani: ➔ neoricardiana, teoria), nonché i problemi della pianificazione socialista (con i lavori di M. Dobb e di O. Lange), e i mutamenti del capitalismo americano (con le ricerche di P. Sweezy). Liberatosi, con la fine dell’URSS, da una pesante eredità ideologica, il m. ha ispirato approcci rilevanti in diversi ambiti, dagli studi sul ‘sistema mondo’ di I. Wallerstein e G. Arrighi all’analisi delle crisi del capitalismo e delle dinamiche dello sviluppo dei Paesi emergenti.