marxismo
L’insieme delle dottrine economiche, politiche, filosofiche elaborate da K. Marx (ma anche il pensiero di F. Engels viene generalmente considerato parte integrante del m.) nonché i loro sviluppi a opera degli intellettuali che si sono richiamati a quel nucleo originario. Si cominciò a parlare di marxisti, come sostenitori delle posizioni di K. Marx, ai tempi della prima Internazionale (1864-76); ma l’elaborazione teorica allora conosciuta di Marx era considerata solo un contributo, pur geniale e decisivo, alla eclettica cultura socialista del tempo. Il socialista K. Kautsky fu tra i primi a farsi assertore del m. come un pensiero coerente con aspirazioni sistematiche e come «scienza della storia dal punto di vista del proletariato». Con il prevalere del m. nel socialismo tedesco e nell’Internazionale, iniziarono la crescita di partiti operai di stampo socialista e, di conseguenza, la diffusione nei Paesi europei del m. politico. Un passo decisivo verso la strutturazione teorica del m. fu compiuto da F. Engels, che dopo la morte di Marx curò la pubblicazione del secondo e del terzo volume di Das Kapital (da Marx ampiamente elaborati, ma rimasti inediti), fornendo, anche con la pubblicazione di saggi filosofici, un corpus teorico che comprendeva il materialismo storico, la critica dell’economia politica e una concezione dialettica della natura. Sotto questa forma di filosofia generale il m. penetrò nella cultura europea, variamente ripreso e sviluppato da intellettuali socialisti (in Italia da Antonio Labriola). La prima crisi del m. coincide con un attacco sferrato da Eduard Bernstein all’ortodossia marxista nella socialdemocrazia tedesca, evidenziando una dicotomia tra riformisti e rivoluzionari che sarebbe riemersa anche in seguito. Fino alla Prima guerra mondiale è visibile un ampliamento dei temi oggetto della ricerca marxista, come la questione agraria, il problema della nazionalità, la teoria del partito del proletariato, il capitale finanziario, la questione coloniale, l’imperialismo. Dopo la Rivoluzione russa del 1905 emerge una sinistra marxista più radicale e meno fiduciosa nella strategia parlamentare. Quasi negli stessi anni la socialdemocrazia russa si divide (1902) in due correnti, bolscevica e menscevica (entrambe marxiste), sul ruolo che la classe operaia avrebbe dovuto svolgere nel processo rivoluzionario. Si andava disgregando il m. ortodosso, incalzato dalla crisi del positivismo, dai nuovi irrazionalismi, dall’estendersi dei movimenti di massa a strati sociali sempre più ampi, dalla modifica degli equilibri internazionali. Detonatore della crisi del m. fu lo scoppio della Prima guerra mondiale, che determinò il radicalizzarsi della polemica tra riformisti e rivoluzionari, e la Rivoluzione bolscevica, che portò al potere per la prima volta un partito marxista. Il m. di Lenin (aspramente criticato da Kautsky) assunse enorme importanza: negli anni Trenta, in URSS, si venne costruendo una sintesi, definita m.-leninismo, che assunse il ruolo di filosofia ufficiale del partito. Nel resto d’Europa alcuni intellettuali comunisti, (G. Lukács, K. Korsch) ai quali si deve un rinnovamento nell’approccio all’opera di Marx, vissero spesso un rapporto travagliato con i propri partiti, sotto la minaccia di condanne ideologiche. Comunque il m. si era ormai radicato come componente insopprimibile della cultura occidentale, tale da pervadere ogni ambito disciplinare storico, economico, filosofico, sociologico. Negli anni Novanta la crisi del m. si è accentuata anche in seguito al crollo del «socialismo reale».