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LAVIN, Mary

di Giuseppe Serpillo - Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)
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LAVIN, Mary

Giuseppe Serpillo

Narratrice irlandese, nata a Walpole (Massachusetts) l'11 giugno 1912. Dall'età di nove anni è sempre vissuta in Irlanda.

Scrittrice molto prolifica, ha pubblicato diversi volumi di racconti (Tales from Bective Bridge, 1942; The long ago, 1944; The Becker wives, 1946; At Sallygap, 1947; A single lady, 1951; The patriot son, 1956; A likely story, 1957; The great wave, 1961; In the middle of the fields, 1967; Happiness, 1969; The second best children in the world, 1972; The shrine, 1977; A family likeness, 1985) e due romanzi, The house in Clewe Street (1945) e Mary O'Grady (1950). Il corpus completo dei racconti è raccolto in The stories of Mary Lavin (3 voll., 1964, 1973 e 1985). Ne è stata pubblicata nel 1985 una silloge in traduzione italiana (Eterna: racconti verosimili, trad. e nota di R. Birindelli).

Molti i premi e i riconoscimenti ottenuti, fra i quali un James Tate Black Memorial Prize (1943) conferito alla sua prima raccolta di racconti, un Katherine Mansfield Prize (1962), l'Eire Society Gold Medal (1974), un Literary Award of the American Irish Foundation (1979), l'Allied Irish Banks Literary Award (1981), oltre a due borse di studio della Guggenheim Foundation (1959-60 e 1960-61), che le permisero di trascorrere tra l'altro alcuni mesi a Firenze. L'University College di Dublino, dove si è laureata nel 1937 con una tesi su Jane Austin, le ha conferito una laurea ad honorem nel 1968. È stata anche presidentessa della prestigiosa Irish Academy of Letters (1971-73).

La L. predilige storie solo apparentemente banali di gente normale in una società governata da regole di condotta che scoraggiano ogni libertà individuale e puniscono ogni infrazione ai codici morali e di divisione in caste che la contraddistinguono. I personaggi femminili sono tratteggiati assai meglio di quelli maschili, sia che si tratti di madri di famiglia cui l'assoluta devozione al loro compito spesso turbato da difficoltà di ogni genere dà una dimensione, se non eroica, certamente memorabile, sia di vittime dolenti dell'incomprensione e della violenza del loro ambiente che le ha condannate a mai realizzarsi compiutamente. Personaggio centrale nella narrativa della L. a cominciare dagli anni Cinquanta è quello della vedova (scelta cui non è estraneo forse il trauma della morte del primo marito della L. avvenuta nel 1954): nella vedovanza le donne della L. sembrano trovare non solo maggiori energie per rispondere alle aumentate responsabilità e difficoltà che la loro condizione comporta, ma addirittura l'affermazione della propria personalità. Altre volte l'apparente piattezza del quotidiano è interrotta da un'esperienza terribile, da un momento repentino, capace di segnare per sempre, in bene o in male, la vita di un essere umano: e questo la L. sa renderlo senza forzature che la facciano scivolare nel sensazionale o nel melodrammatico. Le potenzialità tragiche di esistenze che vengono progressivamente private di tutto, anche della loro stessa ragione di essere, o di essere mai state, si alleggeriscono però di frequente in un umorismo di tipo pirandelliano nel quale il tragico è stemperato in una malinconica visione della sostanziale futilità perfino del sentimento del tragico.

La prosa della L. non presenta invenzioni particolari: è scorrevole ma tradizionale, e invano vi si cercherebbero accenni della sperimentazione che ha caratterizzato la letteratura irlandese in lingua inglese nel corso del secolo. In alcuni racconti, soprattutto delle prime raccolte, sono presenti cadenze dialettali che ricordano Synge, ma tali echi scompaiono nelle raccolte successive.

Bibl.: F. O'Connor, The lonely voice: study of the short story, Cleveland-New York 1963, pp. 202-13; Z. Bowen, M. Lavin, Lewisburg 1975; R. Peterson, M. Lavin, New York 1978; A. Martin, Afterword, in M. Lavin, Mary O'Grady, Londra 1986, pp. 383-91; S. Absee, Narrative strategy and reader response in M. Lavin's ''The Becker wives'', in Journal of the Short Story, Angers, Spring 1987, pp. 93-101; E. Boland, Mary Lavin talking with Eavan Boland, in Writing lives: conversations between women writers, a cura di M. Chamberlain, Londra 1989, pp. 138-45.

Vedi anche
melodramma In letteratura, il testo poetico destinato alla musica, soprattutto nei casi in cui tale testo ha importanza rilevante rispetto alla musica o ha avuto una sua vita indipendente (come nel caso dei melodramma di P. Metastasio); negli altri casi, si parla correntemente di libretto d’opera. ● Per il significato ... Mary Wollstonecraft Shelley Shelley ‹šèli›, Mary Wollstonecraft. - Scrittrice inglese (Londra 1797 - ivi 1851), figlia di W. Godwin e di M. Wollstonecraft, fu seconda moglie di P. B. Shelley, delle cui opere curò la prima edizione critica (post., 1847). Pubblicò i romanzi: Frankenstein, or the modern Prometheus (1818), uno dei ... umorismo La facoltà, la capacità e il fatto stesso di percepire, esprimere e rappresentare gli aspetti più curiosi, incongruenti e comunque divertenti della realtà che possono suscitare il riso e il sorriso, con umana partecipazione, comprensione e simpatia (e non per solo divertimento e piacere intellettuale ... prosa Espressione linguistica orale o scritta, non vincolata dalle regole metriche e ritmiche proprie della poesia; il termine è riservato specialmente all’espressione letteraria. prosa d’arte Nel linguaggio della critica letteraria, la prosa tipica dei frammentisti, in voga in Italia negli anni precedenti ...
Vocabolario
lavìnio
lavinio lavìnio agg. [dal nome di Lavinia, personaggio della mitologia latina, figlia di Latino e sposa di Enea (dopo la sua vittoria su Turno), che da lei denominò la città di Lavinio], letter. raro. – Discendente da Lavinia ed Enea (quindi...
lavina
lavina s. f. [lat. tardo labīna, der. di labi «cadere, scivolare»]. – Valanga di neve invernale o primaverile; talvolta col nome di lavine si indicano le frane di pietrame, mentre le valanghe di neve polverosa vengono dette slavine.
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