Vedi MARZABOTTO dell'anno: 1961 - 1973 - 1995
MARZABOTTO (v. vol. IV, p. 896 e s 1970, p. 463)
Dal 1988, in concomitanza con il IX Centenario dell'Università degli Studi di Bologna, sono ripresi gli scavi da parte dell'Istituto di Archeologia dell'Università in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica dell'Emilia che ha riattivato a sua volta le attività di scavo a partire dallo stesso anno.
Le campagne condotte tra il 1970 e il 1975, indirizzate all'individuazione di un eventuale spazio pubblico paragonabile all’agorà delle città greche, hanno interessato un'ampia fascia centrale dell'area urbana (Regione III - isolati 2-5). Tale fascia è risultata molto povera di strutture, con isolati pressoché vuoti. Ciò nonostante, più che di un'area libera, destinata a uso pubblico, potrebbe trattarsi semplicemente di una zona con isolati privi di costruzioni perché non utilizzati, anche in considerazione del fatto che la fitta rete degli stenopòì non presenta soluzioni di continuità e i limiti degli stessi isolati, al pari dei tracciati stradali, furono tutti regolarmente realizzati al momento della pianificazione urbana. La città fu quindi concepita secondo un piano di insediamento assai più ampio delle sue effettive esigenze, per cui si ha l'impressione che le prospettive economiche e le previsioni di sviluppo che furono alla base del progetto inizîale siano state fortemente ridimensionate dagli eventi della prima metà del IV sec. a.C., quando Tintero sistema padano realizzato dagli Etruschi fu scardinato dall'arrivo dei Galli.
Questi stessi sondaggi nell'estremo lembo nord-orientale del pianoro hanno consentito inoltre di mettere in luce un impianto rustico di età romana (Regione I-isolato 2), parzialmente inserito entro i limiti dell'isolato etrusco, ma in parte edificato sulla sede stradale di una delle platèiai della città etrusca. Sono stati portati alla luce alcuni ambienti, un pozzo per l'acqua, varîe canalizzazioni e due fornaci per la cottura di ceramiche e laterizi. La povertà e la precarietà delle strutture, che i materiali ceramici consentono di datare tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., lasciano intendere che si tratta di una modesta fattoria, tendente all'autosufficienza, qui installata in funzione di un parziale sfruttamento agricolo dello stesso pianoro di Misano, come indica tra l'altro la collocazione dell'impianto nell'estremo lembo nord-orientale del terrazzo.
A queste consistenti campagne di scavo si sono affiancati alcuni interventi minori. Nell'area della platèia più meridionale (platèia D), proprio al limite del largo marciapiede laterale per i pedoni e la sede centrale carreggiabile, si è rinvenuto un pozzo per l'acqua la cui posizione e il cui apparato esterno (probabilmente un piccolo tetto di tegole e coppi, con relative antefisse a palmetta e tegole di gronda dipinte) fanno pensare a una sorta di fontana pubblica. All'interno del pozzo è stato trovato un coperchietto di pisside in avorio con gruppo plastico costituito da una quadriga, trainata da cavalli e da felini, sulla quale è un personaggio maschile seduto su un trono. La pisside, che appartiene all'Orientalizzante Recente e si data tra la fine del VII e gli inizî del VI sec. a.C., ha riaperto il problema della cronologia della più antica frequentazione del pianoro.
Per quanto riguarda gli scavi più recenti, i risultati sono ancora del tutto preliminari. Nell'isolato 2 della regione IV, è stato riportato alla luce un complesso edilizio di c.a 700 m2 utilizzato in parte come abitazione, in parte come luogo di produzione come dimostra la presenza di vasche per l'acqua e per l'impasto dell'argilla e di almeno quattro fornaci adibite alla cottura di ceramiche e laterizi. Nell'isolato 5 della regione V, è stata individuata parte di un'altra casa di abitazione e un settore della sede stradale della platèia A con il recupero di dati importanti sul piano cronologico per quanto riguarda sia le fasi più antiche che quelle più recenti.
Negli ultimi anni la Soprintendenza Archeologica ha provveduto allo svuotamento completo di alcuni pozzi per l'acqua situati nelle case di abitazione dell'isolato 1 della regione IV. Oltre ad alcune ceramiche molto recenti (inizio del II sec. a.C.) che però provengono dalla parte superiore dei riempimenti e non consentono di pensare al protrarsi dell'utilizzo dei pozzi fino a questa età, è stato trovato un interessante parapetto fittile da pozzo, di forma insolitamente quadrata, decorato a bassorilievo con palmette, fiori di loto, delfini e teoria di ippocampi (seconda metà del V sec. a.C.).
Dopo l'interruzione delle attività di scavo, a partire dal 1975, si sono intrapresi i lavori per l'allestimento del nuovo museo, inaugurato nel novembre del 1979 e ordinato secondo rigorosi criteri topografici, pur presentando una piccola sezione introduttiva con i materiali rinvenuti negli scavi del secolo scorso, privi ormai di ogni connessione con le rispettive aree di rinvenimento.
Questa stessa attività di scelta e di riordino dei materiali per il nuovo museo, unitamente a un rinnovato interesse scientifico per l'area archeologica, hanno consentito in questi ultimi anni alcuni rilevanti progressi sul piano della ricerca e dello studio relativamente alla città etrusca nel suo complesso, alla sua organizzazione interna, alle sue attività produttive, al ruolo storico che essa ebbe nell'ambito dell'Etruria Padana, progressi che vengono in parte a compensare l'esiguità di nuovi dati di scavo.
Sul piano topografico è stato chiarito che l'impianto urbano si riallacciava alla viabilità extraurbana, dominando probabilmente un antico guado sul fiume Reno lungo la via che venendo da S univa l'Etruria tirrenica con Bologna, ricollegandosi inoltre a una serie di vie minori che raggiungevano le valli vicine.
Sul piano urbanistico, il progresso degli studi ha fatto registrare alcune importanti acquisizioni. Per quanto riguarda l'acropoli è stata portata l'attenzione su una dimenticata notizia ottocentesca relativa alla scoperta di una struttura in pietra situata sull'altura alle spalle della spianata con i templi, struttura interpretabile come l’auguraculum della città, cioè quell'osservatorio rituale da cui lo sguardo poteva abbracciare l'intero abitato e gran parte della chòra, secondo la ben nota testimonianza di Livio (I, XVII, 7) relativa all’inauguratio del re Numa. Una conferma della profonda connessione tra religiosità e stesura dell'impianto urbano, oltre che dal ben noto cippo con crux orientata situato all'incrocio delle platèiai A e C, è venuta inoltre dal riconoscimento nel podio Β dell'acropoli di un altare degli dei inferi, sacro a Dis Pater, altare che i Libri Rituales degli Etruschi ricollegavano esplicitamente ai riti di fondazione delle città, in particolare quelle dell'Etruria Padana, stando alle disposizioni impartite da Tarconte.
Per quanto riguarda le case di abitazione, da un lato si può rilevare che la tripartizione dei vani di fondo sembra riallacciarsi a strutture arcaiche con tre ambienti allineati e aperti su un unico vano trasversale; dall'altro è stato osservato che la loro planimetria mostra ormai formata la tipologia della domus, dato che nel vano centrale di fondo, aperto sul cortile, si riconosce un vero tablinum, mentre il cortile stesso, unitosi con il corridoio, ha dato luogo a un vero e proprio atrium con relative alae. Questo atrio aveva un tetto compluviato (atrium tuscanicum), coperto con apposite tegole trapezoidali di cui è stato possibile ricostruire ed esporre nel museo diversi esemplari in una ricostruzione parziale del tetto.
Già si è detto che la scoperta del coperchietto di pisside tardo-orientalizzante nel pozzo della platèia D ha riproposto il problema di una precisa definizione cronologica delle più antiche fasi di frequentazione del pianoro. Tra l'altro materiali approssimativamente coevi, cioè alcune ceramiche corinzie e due uova di struzzo, erano esposti nel vecchio museo di M., che poi fu distrutto durante la seconda guerra mondiale. Anche se mancano dati di scavo sicuri e almeno per alcuni di essi la provenienza da M. è tutt'altro che certa, va precisato tuttavia che ci sono anche fibule, spilloni e frammenti ceramici, varîamente datati all'interno delle fasi villanoviana e orientalizzante, i quali sembrerebbero confermare una frequentazione del pianoro anteriore alla metà del VI secolo. Questi materiali, tutti sporadici e in giacitura secondaria, non sono tuttavia sufficienti per alzare la cronologia dell'insediamento «coloniale», denominato Marzabotto I e caratterizzato da un consistente nucleo di capanne, il cui esordio resta fissato attorno alla metà del VI sec. o poco dopo, nell'ambito di quel radicale processo di riorganizzazione che interessò tutta l'Etruria Padana. I materiali più antichi vanno quindi probabilmente riferiti a un piccolo insediamento tardo-villanoviano od orientalizzante analogo a quelli vicini e presumibilmente coevi di Sperticano e Canovella, dislocati a poca distanza l'uno dall'altro lungo la valle del Reno, chiaramente in funzione itineraria, dato che il Reno costituiva la principale via di collegamento tra l'area padana e l'Etruria propria. Evidentemente soltanto uno di questi siti, cioè quello topograficamente più favorevole, attirò l'attenzione della piccola avanguardia venuta a esplorare la valle e a scegliere l'area su cui costruire la futura città.
Anche sull'ipotesi di una «colonizzazione» dall'esterno si sono fatti notevoli progressi sul piano degli studi. Che la città sia stata impiantata ex novo e presenti tutti i caratteri di una fondazione coloniale è ipotesi largamente consolidata, così come lo è quella di un apporto determinante a questo evento da parte di alcune città dell'Etruria settentrionale e interna, come Chiusi e Orvieto, e forse anche Volterra, sulla base di una certa affinità sul piano culturale. Tale ipotesi tuttavia va quanto meno attenuata alla luce della documentazione epigrafica. Nei gentilizi di M. infatti prevalgono in modo netto le forme tipicamente padane in -alu, mentre non sono fino a ora documentati gentilizi in -na, tipici e quasi generalizzati in area tirrenica. Ciò significa che la popolazione di M. doveva essere costituita prevalentemente da gruppi di origine padana. E poiché il popolamento della valle del Reno era troppo esiguo per contribuire in modo determinante al costituirsi della grande città del V sec., è stata fatta l'ipotesi di una inizîativa concepita altrove rispetto alla valle, ma non al di fuori dell'area padana, inizîativa per la quale corre l'obbligo di pensare a una consistente partecipazione di Felsina-Bologna o comunque degli Etruschi di quest'area.
Sul piano produttivo infine si è più volte portata l'attenzione sulla grande officina per la fusione del bronzo che, unitamente alle case-officina dell'isolato 1 della regione IV, lascia trapelare una forte caratterizzazione in senso metallurgico della città. All'interno di questa officina oltre a utensili e a statue di bronzo, si fondevano anche lingotti di rame con l'impronta del ramo secco, come è provato da un frammento di matrice in argilla che serba in negativo tale impronta. Ciò significa che la relativa concentrazione di questi lingotti a Ν dell'Appennino non dipende soltanto dal fatto che qui facevano capo le vie commerciali dei Celti, ma significa anche che le città padane erano in grado di coniare in proprio questa unità premonetale, da utilizzare ovviamente per gli scambi commerciali. Nella stessa fonderia si producevano bronzi di notevole pregio e di grande qualità artistica, in apparente contrasto con il carattere austero e poco appariscente della cultura figurativa della città, per cui si ha l'impressione che l'abilità dei fonditori fosse indirizzata prevalentemente alla fabbricazione di manufatti da destinare all'esportazione. Viene così ulteriormente evidenziata l'importanza della metallurgia nell'economia del centro che, pur fornendosi di metalli in area tirrenica (Populonia), era riuscito a creare al suo interno una formidabile organizzazione produttiva, naturalmente in funzione di un vasto mercato padano, e forse anche transalpino.
Bibl.: Un'ampia rassegna della bibliografia è in G. Sassatelli, Bologna e Marzabotto. Storia di un problema, in Studi sulla città antica. L'Emilia-Romagna, Roma 1983, pp. 104-127, lavoro al quale si rimanda anche per l'aggiornamento sui problemi della città etrusca e sullo stato attuale della ricerca. Per un ulteriore aggiornamento su questi temi e per una bibliografia completa sulla città si veda inoltre G. Sassatelli, A. M. Brizzolara, in BTCGI, IX, 1991, pp. 397-452, s.v. - Aspetti specifici: G. Gualandi, Grecia ed Etruria: monumentalizzazione delle aree di culto, in Studi sulla città antica, cit., pp. 33-63; G. Sassatelli, Marzabotto, in Civiltà degli Etruschi (cat.), Milano 1985, pp. 119-120; id., in AA.VV., Scavi e ricerche archeologiche degli anni 1976-1975 (Quaderni de «La ricerca scientifica», 112), Roma 1985, pp. 84-88 e pp. 90-93; G. Colonna (ed.), Santuari d'Etruria (cat.), Milano 1985, pp. 88-92 e pp. 113-115; id., Urbanistica e architettura, in Rasenna, Milano 1986, pp. 463-467 e pp. 473-474; AA.VV., La formazione della città in Emilia Romagna (cat.), Bologna 1987, pp. 105-110, 125-137 e pp. 316-325; M. Cristofani, Processi di trasformazione socio-economica nell'Etruria padana fra VI e V secolo a.C., in La formazione della città preromana in Emilia Romagna. Atti del Convegno, Bologna 1985, Bologna 1988, pp. 50-54; G. Colonna, Il lessico istituzionale etrusco e la formazione della città (specialmente in Emilia Romagna), ibid., pp. 34-36; AA.VV., I nuovi scavi dell'Università di Bologna nella città etrusca di Marzabotto (cat.), Bologna 1990; G. Sassatelli, Opere idrauliche nella città etrusca di Marzabotto, in Gli Etruschi maestri di idraulica. Atti del Convegno, Perugia 1991, Perugia 1991, pp. 179-207; id., Nuovi dati epigrafici da Marzabotto e ruolo delle comunità locali nella «fondazione» della città, in ArchCl, XLIII, 1991, pp. 693-715; id., Culti e riti in Etruria Padana: qualche considerazione, in Anathema: regime delle offerte e vita dei santuari nel Mediterraneo antico. Atti del Convegno, Roma 1989, Roma 1992, pp. 598-617.
(G. A. Mansuelli - G. Sassatelli)