Maschera d'autore
La misteriosa Elena Ferrante, finalista al premio Strega 2015, è solo il caso più recente di una tendenza plurisecolare: molti scrittori, da Mark Twain a Fernando Pessoa, hanno usato pseudonimi. E nel Novecento la doppia personalità è diventata un cardine della letteratura.
Agli pseudonimi siamo abituati: molti attori, cantanti e personaggi dello spettacolo, anche i più famosi, hanno preferito un nome nuovo e più adatto alle scene rispetto a quello avuto in sorte dall'anagrafe: così Sofia Villani Scicolone è diventata Sophia Loren mentre Archibald Leach altri non è che Cary Grant. L'elenco è infinito. Si tratta comunque di scelte fatte alla luce del sole e volentieri il pubblico, goloso di infiniti 'segreti' sui suoi divi preferiti, accetta il nome d'arte accanto a quello, meno fascinoso, segnato sui documenti. Renato Ranucci era diventato Renato Rascel, dopo esser stato Rascele perché così voleva il regime fascista.
Ma se lo pseudonimo copre per intero l'identità di chi lo porta allora la faccenda è diversa.
Ovviamente non capita con gli attori che ci mettono la faccia e dunque hanno ben poco da nascondere, ma capita invece con gli scrittori e - è il caso di aggiungere subito - con i cospiratori che devono a tutti i costi mantenere l'incognito. Poco prima dell'estate appena trascorsa, la candidatura al premio Strega di Elena Ferrante (premio che peraltro non ha vinto) ha attizzato vecchie polemiche e nuovi pettegolezzi su questa autrice ormai consacrata anche all'estero (è recente il successo britannico e statunitense della tetralogia intitolata L'amica geniale) ma di fatto sconosciuta come persona. Si sceglie di usare il femminile perché tutti o quasi sono convinti che si tratti di una donna, ma alla fine non si sa. È giusto, si sono chiesti alcuni, premiare un fantasma? Ed è ricominciato il gioco del 'e se fosse…' tentando di svelare il mistero. Intanto qualcuno si è anche ricordato che sulla sua rivista "La critica" Benedetto Croce talvolta firmava don Ferrante alcuni articoli e che era capitato che sua figlia Elena usasse poi anche lei lo pseudonimo manzoniano, firmando dunque Elena Ferrante. Una curiosità erudita, ma forse non casuale, visto che Napoli è il fulcro della narrazione della misteriosa Elena Ferrante di oggi.
Comunque l'uso di pseudonimi è tutt'altro che raro tra gli scrittori, che spesso in passato sottolineavano il loro essere scrittori con la scelta di un nome adeguato; è il caso, per esempio, degli iscritti all'Arcadia: Giovanni Mario Crescimbeni, il primo custode dell'Accademia che teneva le sue adunanze nel Bosco Parrasio, era diventato Alfesibeo Cario e tanto per fare un altro esempio tra i moltissimi possibili (l'Arcadia ufficialmente è ancora viva oggi) Francesco de Lemene divenne Arezio Gateatico. Naturalmente il fenomeno riguarda il mondo intero e gli pseudonimi possono nascere nei modi più diversi. Da ragazzo Samuel L. Clemens ascoltava i barcaioli che sondavano la profondità del fiume Mississippi gridare mark twain! ("marca due braccia!") e decise poi che quello, Mark Twain appunto, sarebbe stato il suo nome da scrittore: uno scrittore diventato famoso narrando le gesta di un ragazzo, Tom Sawyer, sulle rive del fiume che lo aveva visto crescere. Il grande e prolifico poeta cileno Pablo Neruda si chiamava in realtà Ricardo Neftalí Reyes Basoalto, e scelse con ogni probabilità di chiamarsi Neruda in omaggio al poeta ceco Jan Neruda, vissuto nell'Ottocento.
Talvolta l'esigenza dello pseudonimo nasce da una valutazione estetica e così la scrittrice protofemminista Rina Faccio, agli inizi del Novecento, diventa Sibilla Aleramo, autrice (1906) di Una donna. Il nuovo nome lo suggerì il suo partner di allora (ne ebbe molti in seguito e tra gli altri lo scrittore Dino Campana) che si chiamava Giovanni Cena. Vivevano molto poveramente a Roma, in via Flaminia, dove Cena era approdato dal Piemonte come caporedattore di "La nuova antologia" e su di lui correva il calembour: "Giovanni…Cena, ma non pranza".
Una questione di semplice eufonia avrebbe guidato, molti anni dopo, Nazareno Caldarelli a diventare Vincenzo Cardarelli, il poeta freddoloso che anche d'estate, testimone Flaiano, sedeva con il cappotto davanti alla libreria Rossetti di via Veneto.
Tutti sanno che Alberto Moravia era nato Pincherle, mentre Luigi Malerba si chiamava in realtà Bonardi e aveva scelto un nuovo nome perché all'epoca del suo esordio c'era già un altro Bonardi che scriveva, di cui poi si son perse le tracce. Sempre in quel giro di anni - siamo tra i Cinquanta e i Sessanta del secolo scorso - Leo Paolazzi, funzionario editoriale della Bompiani, era diventato il poeta Antonio Porta (omaggio probabile a Carlo Porta) ed era come se esistessero due persone molto diverse tra loro.
In questo modo siamo arrivati al punto più delicato dell'intera questione: proprio con il Novecento e l'acuirsi del bisturi psicoanalitico il problema della doppia personalità (o dei doppifondi della personalità) diventa un cardine della letteratura che indaga i segreti della coscienza, e non per nulla si intitola La coscienza di Zeno il capolavoro di Italo Svevo, nom de plume di Ettore Schmitz, scrittore segreto (persino in famiglia) poi svelato da Montale in un celebre articolo degli anni Venti. Insomma lo pseudonimo non è più un semplice aggiustamento, un ritocco dell'immagine: diventa talvolta un segnale molto più complesso. E qui è necessario fermarsi a riflettere sul caso più eclatante, quello del portoghese Fernando Pessoa che in qualche modo anticipa molto Novecento generando da sé stesso altri poeti e scrittori che si chiamano Alberto Caeiro, Ricardo Reis, Álvaro de Campos, tanto per citare gli eteronimi più noti. È preferibile dire eteronimi e non pseudonimi perché la complessità dell'operazione di Pessoa merita un'etichetta nuova. Infatti Pessoa (che in portoghese vuol dire "persona") non si limita a cambiare nome, ma genera un poeta diversissimo da lui, munendolo di una biografia, spesso di una professione e facendolo dunque non solo vivere, ma addirittura convivere con l'ortonimo - Pessoa stesso - e con gli altri eteronimi.
Siamo di fronte a un vero e proprio sdoppiamento (o meglio a continui sdoppiamenti), ben interpretati da Antonio Tabucchi che, in un suo suggestivo testo teatrale, Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa, immagina che gli eteronimi si rechino al capezzale di Pessoa e conversino con lui.
Pirandello? Kafka? Come ha sostenuto più volte Tabucchi, e come si è accennato sopra, Pessoa anticipa molto Novecento e - è il caso di dire - porta al punto critico l'innocente pseudonimo mutandolo in eteronimo, ovvero in generatore di realtà umane diverse eppure tutte riconducibili alla fine alla stessa matrice, alla stessa persona/pessoa: un impiegato dimesso, per nulla appariscente, legato a una vita anonima e sempre scandita dagli stessi ritmi.
Ciò che appunto Pessoa era in realtà, senza esserlo affatto.
La caccia agli pseudonimi è comunque infinita: persino l'autore di Pinocchio, Carlo Lorenzini, firmava con lo pseudonimo di Collodi e uno pseudonimo era anche Saba: il grande poeta triestino dalla vita inquieta si chiamava in realtà Umberto Poli, e Sabaz, da cui Saba, era uno dei nomi della sua balia e anche omaggio alla madre ebrea. E che dire di Céline che nel Viaggio al termine della notte racconta la vita del medico Bardamu e cioè di sé stesso?
All'anagrafe Céline si chiamava Louis Ferdinand Destouches ed era stato medico condotto nei quartieri poveri di Parigi.
Ma uno pseudonimo nuovo di zecca può servire a mascherare la vera identità di un autore, in realtà già noto con un altro pseudonimo. È il caso della scrittrice che ha creato Harry Potter, uno dei maggiori successi editoriali degli ultimi decenni. Quando propose il suo primo libro a un editore, Joanne Rowling (questo il vero nome) si sentì chiedere di camuffarlo un po' e nacque J.K. Rowling, dove il K sta per Kathleen, un nome pescato in famiglia. In breve, l'editore voleva che il lettore non pensasse subito a una donna. Ma dopo aver venduto milioni e milioni di copie dei vari Harry Potter la Rowling ha voluto riassaporare l'ebbrezza dell'esordio e ha scritto un giallo, Il richiamo del cuculo, firmandolo Robert Galbraith. La cosa è durata poco e presto si è scoperto chi c'era dietro quel nome, che ora ha al suo attivo anche un secondo giallo, Il baco da seta. Alla fine resisterà solo Elena Ferrante?
Pessoa e i suoi eteronimi
Fernando António Nogueira Pessoa (Lisbona 1888 ivi 1935), artefice principale del rinnovamento della letteratura portoghese nel 20° secolo, anticipò molte delle novità letterarie europee. Attraverso le varie esperienze poetiche del tempo s'impose nel modernismo, al quale ha dato l'awio nel suo paese con enunciazioni programmatiche dalla rivista "Orpheu". La validità della sua lirica, riconosciuta gradualmente e tardi a causa delle scarse pubblicazioni di essa, vivente l'autore, ne fa un poeta di valori universali, documentati anche dalla singolare imponenza della critica su di lui e delle traduzioni della sua opera. Pochi altri scritti, in versi e in prosa, aveva pubblicato come opera di vari 'eteronimi' o autori immaginari (Alberto Caeiro, Álvaro de Campos, Ricardo Reis, ciascuno fornito non solo di un proprio stile ma anche di propri dati biografici e perfino fisionomici), cui affidava il compito di rappresentare singoli aspetti della propria complessa personalità, dal lirismo bucolico venato d'ironia all'avanguardismo esasperato, al classicismo oraziano. Totalmente inedita era la maggior parte della sua produzione, rinvenuta dopo la morte in un baule contenente 27.543 documenti (ora catalogati nel Fondo Pessoa della Biblioteca nazionale di Lisbona), molti dei quali intestati a ulteriori eteronimi, come l'alter ego Bernardo Soares, aiutante contabile di Lisbona che annota i suoi pensieri nel Livro do desassossego, il filosofo neopagano António Mora, il poeta Coelho Pacheco e numerosi altri.
Il fenomeno Ferrante
Qualcuno sostiene che sarebbe nata a Napoli, pare nel 1943. Di sicuro, non ha mai svelato assolutamente nulla della sua identità. Molte sono state negli anni le attribuzioni, anche poderosamente motivate, a una o ad altra persona di questo pseudomino, ma nessuna è stata mai confermata. Ne La frantumaglia (2003) - opera nata forse per soddisfare la curiosità dei lettori e comprendente, tra l'altro, le poche interviste rilasciate e la corrispondenza con il suo editore - la Ferrante motiva la scelta del non apparire: il desiderio di autoconservazione, la volontà di non prestarsi ai giochi della promozione letteraria, e la ferma convinzione che i libri siano "organismi autosufficienti" che non hanno certo bisogno di una foto in copertina. Al romanzo di esordio L'amore molesto (1992), seguono I giorni dell'abbandono (2002), La figlia oscura (2006) ora riuniti nel volume Cronache del mal d'amore (2012). A un diverso filone narrativo appartiene L'amica geniale, un ciclo comprendente L'amica geniale (2011) e i seguiti Storia del nuovo cognome (2012), Storia di chi fugge e di chi resta (2013), Storia della bambina perduta (2014), ambientati nella Napoli dei rioni popolari: con quest'ultima opera entra nei finalisti del premio Strega 2015. Unico libro per bambini La spiaggia di notte del 2007. Le sue opere hanno un grande riscontro presso il pubblico statunitense e 2 registi italiani hanno portato sullo schermo i suoi soggetti: Mario Martone, L'amore molesto (1995 ) e Roberto Faenza, I giorni dell'abbandono (2005).
68 nomi per 1000 libri
Lauran B. Paine, nato Lawrence Kerfman Duby jr. nel 1916 in Minnesota e morto nel 2001 in California, è ricordato non solo per aver scritto più di 1000 libri ma soprattutto per aver utilizzato decine di pseudonimi: se ne contano 68. Questa scelta è stata dettata non da ragioni personali, di privacy o di separazione dei generi letterari - ha spaziato dal romanzo di ambientazione western alle biografie, dai libri storici ai romanzi d'amore che non gli piaceva scrivere ma che vendevano - quanto per una ragione pratica e contingente: i suoi editori non accettavano più di un numero di titoli di uno stesso autore. Dunque, Paine decise di cambiare il proprio nome quando era necessario. Iniziò a dedicarsi alla scrittura nei dormitori dei ranch nelle pause di lavoro per narrare il vero mondo western che trovava mal descritto da parte di altri. Autodidatta, scontroso e schivo, dopo i successi dei suoi primi racconti su alcune riviste vendette il grosso ranch di cui era proprietario per potersi dedicare solamente alla letteratura. Molti suoi libri in origine sono stati pubblicati esclusivamente in Gran Bretagna e solo di recente sono apparsi sul mercato nordamericano.
Elogio dell'invisibile
In un periodo in cui la privacy è molto ridotta per il proliferare dei social network, è tornata prepotentemente di moda l'invisibilità come mezzo di successo, di 'visibilità al contrario' in un certo senso, anche come arma contro quel Grande fratello che tutto vede e tutto controlla. Al di là dei casi letterari, molti altri sono gli esempi di questa tendenza: al cinema Il ragazzo invisibile di G. Salvatores, mentre per il teatro T. Ostermeier ha integrato in una sua messa in scena di Il nemico del popolo di Ibsen parti della controversa opera anarco-insurrezionalista L'insurrection qui vient, scritta da anonimi sotto il nome di Comité invisible. E non si dimentichi l'invisibilità nella politica e nella cronaca nera, prima tra tutti con i black bloc. Pierre Zaoui, che in l'Arte di scomparire. Vivere con discrezione (2015) a questa tendenza ha dedicato un saggio, in una intervista appoggia in pieno la definizione che della discrezione diede Marcel Proust ne I Guermantes: "Il privilegio di poter assistere alla propria assenza" e sottolinea come una delle grandi ambiguità della nostra epoca sia proprio questa: da un lato, la smania di essere visti, dall'altro, le infinite possibilità di non farsi vedere. E come l'invisibilità a conti fatti sia una forma di dissidenza o di resistenza.